Milano

Milano, l’eccellenza lombarda che manca al Pronto soccorso dell’Ospedale Sacco

26 Febbraio 2018

Dimenticate la tanto decantata «eccellenza» della sanità lombarda. Benvenuti all’inferno del Pronto soccorso dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano. Ci sono barelle  dappertutto, nelle sala d’attesa interne e lungo i corridoi del Pronto Soccordo. Vedo due poliziotti tenere a bada una trans che dà in escandescenze. Uno dei due indossa una mascherina. Appena entrato dentro, incrocio un ragazzo con la gamba ingessata e l’occhio tumefatto. Alla mia sinistra ci sono tre persone sdraiate in barella. Un via vai di personale infermieristico. Davanti, un’altra serie di barelle con sopra delle persone. Sono sole. Due, molto anziane. Uno ha la bocca spalancata e il volto bianchissimo. Immobile. Fa impressione guardarlo. Nelle foto, appositamente tagliate  oppure oscurate, per non rendere riconoscibili i volti delle persone, potete vedere quanto hanno incontrato i miei occhi.

Vedo un medico e quattro infermieri che si dannano per fare quello che possono. Ad un certo punto il ragazzo con la gamba ingessata vuole camminare in piedi, mentre l’infermiere lo insegue con una carrozzella per farlo stare seduto. Provo un senso d’angoscia. I malati sembrano lasciati al loro destino, mentre gli infermieri passano da un’emergenza a un’altra. «Oggi possiamo definirla una giornata assolutamente calma – osservano con ironia – Passi lunedì e vedrà quali condizioni troverà».

Davanti a me c’è un paziente obeso, anche lui sdraiato in barella, con la mano sul volto. È il volto del dolore. Quando esco da questo girone dantesco approdo alla sala d’attesa esterna. C’è una signora – in evidente stato di alterazione mentale – che in mezzo alla sala d’aspetto, dove decine di persone aspettano il loro turno per essere visitati, si lava i denti con uno spazzolino. Lo fa con una lentezza angosciante. Gira vestita in pigiama, ma non è una ricoverata. Si tratta di una senza tetto. Ormai la conoscono tutti e le consentono di fare dentro e fuori dall’ospedale. «È capitato, mentre facciamo il nostro lavoro in nosocomio,  di assistere proprio all’ingresso a una sparatoria con colpi d’arma da fuoco. Un giorno un’infermiera è stata aggredita e con un pezzo di vetro, sventrato da una porta finestra, è stata minacciata e sbattuta contro la parete con il vetro all’altezza del collo».

Qui, in questa condizione di assoluta precarietà, si fa quello che si può. È sabato pomeriggio e ci sono tre codici rossi. I pazienti in alcune circostanze non sono monitorati. Sono semplicemente da soli, perché il personale non ce la fa a seguirlo. Ad un certo punto vedo anche uno che in barella sta leggendo il giornale. Un altro ancora, mi dicono, è in corsia da tre giorni «ma abbiamo avuto un caso in cui siamo arrivati a tenere un paziente in corsia 104 ore».

Alle mie spalle c’è una sala d’attesa.  Ma anche lì ci sono delle persone in barella. Vedo una signora molto anziana. Anche lei sdraiata, quasi esanime. Bianchissima in volto. La bocca spalancata. A destra ci sono una serie di sale asettiche, piene di macchinari. In ognuna, una persona in codice rosso (foto qui sotto). Sono monitorati da una sola infermiera. Il rapporto dovrebbe essere uno a uno.

“Qui vicino abbiamo anche due grandi campi rom: ci sono delle sere in cui – dicono – c’è da avere paura”.

A proposito di microcriminalità una persona  che chiede di restare anonimo aggiunge:  “Un giorno un camioncino ha sfondato l’ingresso del pronto soccorso. I poliziotti? Vengono due, tre giorni la settimana”. Avete mai chiamato i giornali per raccontare cosa succede qui?

«Sì,certo che li abbiamo chiamati, ma alla fine in genere quando vogliamo denunciare arriva la telefonata del tuo collega: mi dispiace non posso pubblicare».

Sanità pubblica lombarda, Ospedale Sacco, Milano, un giorno di fine febbraio 2018. Con me ha accettato di venire Angelo Capelli, relatore della legge di riforma della Sanità in Lombardia. Ha lasciato la maggioranza  in Regione, in polemica proprio sull’applicazione di questa legge, da cui ha dichiarato di essersi sentito tradito. Da un po’ di tempo insisto perché venga con me a vedere queste realtà. Ha accettato di accompagnarmi. Gira anche lui tra le barelle. In silenzio. “Non era questo quello che avrei voluto”. La politica quando vede il volto del dolore, diventa umana. No, qui l’eccellenza proprio non c’è. Eccellente sarebbe che tutti i politici – vecchi e nuovi – qui ci venissero. Una volta al mese.

 

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