Economia civile
Progettare per non essere progettati: nasce a Milano la Scuola dei Quartieri
Tutti dovrebbero progettare per evitare di essere progettati.
La creazione è un atto di guerra, non un armistizio con la realtà.
(Enzo Mari)
Cosa hanno in comune il chiosco di Giacomo in Piazzale Corvetto, la libreria per bambini Punta alla Luna, il giovane Atish che tiene aperta la sala prove Lorenzo Furfari e il presidente della storica cooperativa La Strada, impegnato a rivitalizzare il mercato di Piazza Ferrara? Sono tutte belle storie di periferia. Sono state raccolte dalla viva voce dei protagonisti e pubblicate – le prime di una lunga serie – sul sito lascuoladeiquartieri.it.
Da qualche settimana, un team di ricercatori e animatori di comunità setacciano le strade di Milano in cerca di esperienze che “hanno fatto qualcosa di positivo per il loro quartiere”: associazioni, cooperative, comitati, spazi sociali, ma non solo. Anche esercizi commerciali, botteghe artigiane, mercati comunali o locali pubblici che sono diventati dei punti di riferimento per la propria comunità. Piccole storie di innovazione più o meno consapevole che, in molti modi diversi, fanno la città.
Milano è ricchissima di realtà come queste, spesso capaci di tenere insieme dimensione economica e impegno sociale. Dietro ci sono persone di tutte le età che hanno cercato una risposta progettuale e collettiva ai propri bisogni individuali, rendendo migliore la loro vita e quella del posto in cui vivono.
Belle storie non è una mappatura. Ci sono già molti progetti, anche di ottimo livello, che ci hanno raccontato quante cose interessanti accadono nelle zone lontane dal centro di Milano. È invece il punto di partenza di una nuova iniziativa dell’Assessorato al Lavoro e Attività produttive del Comune per contribuire alla trasformazione delle periferie partendo dai desideri, dai bisogni e dall’energia di chi ci abita. Per dirla con le parole degli addetti ai lavori, si tratta di una scuola civica e popolare di innovazione e imprenditorialità sociale. Ma l’idea è proprio di uscire dalla “bolla” degli innovatori, a cominciare dai nomi che si danno alle cose. Per questo abbiamo deciso di chiamarla semplicemente La Scuola dei Quartieri.
Sarà pubblica, gratuita e aperta a tutti. Nessun limite di età o titolo di studio. Non un luogo fisico ma una serie di attività diffuse nelle periferie. Durerà 3 anni, sostenuta dalle risorse europee del Pon Metro Milano, con la speranza che sia solo l’inizio di un lungo percorso.
È pensata per tutte le persone che vogliono imparare a progettare, cioè a trasformare un’idea, un interesse o anche solo la voglia di mettersi in gioco in qualcosa di utile per sé e per il quartiere: un’impresa, un progetto, una rete di mutuo aiuto, un servizio, uno spazio sociale. Insomma, qualcosa capace di stare in piedi con le proprie gambe.
Sarà itinerante e funzionerà per cicli. Ogni 6 mesi in una nuova zona della città, estendendo man mano il proprio raggio d’azione. La prima fase si svolgerà nella periferia sud ovest, a Lorenteggio Giambellino, e a sud est, a Corvetto, Chiaravalle, Porto di Mare.
Non ha aule ma si svolgerà nei luoghi dove le persone vivono e lavorano: nei locali pubblici, nei negozi, nelle biblioteche o nei retrobottega.
Una scuola popolare, quindi, ma con un’offerta didattica di alto livello. Per realizzarla il Comune ha selezionato con gara d’appalto una compagine composta da realtà di territorio, attori di primo piano del mondo della ricerca, dell’economia sociale e del microcredito e da alcune delle più autorevoli organizzazioni che si occupano di innovazione sociale in Italia.
Il progetto si ispira alle scuole civiche e serali del Comune di Milano, un’incredibile esperienza di innovazione istituzionale ha segnato la storia della città. Da oltre 150 anni, nei momenti di grande cambiamento, la municipalità ha investito in formazione e apprendimento per consentire alle persone di lavorare, diventare autonome e partecipare alla vita della comunità. Cosa vuol dire attualizzare questa tradizione?
In questi tempi incerti, qualunque cosa ci aspetti nel futuro, siamo convinti che saper progettare – cioè imparare a far accadere le cose – sarà importante come leggere, scrivere e far di conto. E non riguarderà solo chi vuole fare impresa o innovazione ma chiunque, e in ogni aspetto della vita. Oggi realizziamo un investimento in conoscenza pubblica e gratuita in un’area di totale fallimento di mercato, perché crediamo che questo tipo di competenze chiave non possano essere trasmesse solo nei master post laurea. Per questo abbiamo immaginato una serie di strumenti e iniziative per trasmettere conoscenze e competenze per l’imprenditorialità, la progettazione sociale e il design dell’innovazione ad un numero di persone il più ampio possibile.
Alcune attività – già in corso – sono ad accesso libero. Basta iscriversi per partecipare a incontri e laboratori aperti a tutta la cittadinanza. L’obiettivo è fornire a chi ha un’idea anche acerba o un progetto nel cassetto, strumenti di base e relazioni per incamminarsi nella direzione giusta. A maggio prossimo verrà pubblicato il primo bando per accedere ad un percorso di formazione intensiva rivolto a gruppi informali di cittadini: 10 settimane per passare dalla teoria alla pratica. Al termine della formazione, il Comune metterà a disposizione borse progetto fino a 25.000 euro e servizi di affiancamento personalizzato per il primo anno di attività.
Il principale valore aggiunto della Scuola, però, è la creazione di una comunità di sostenitori. La raccolta delle belle storie, infatti, è solo un primo passo per coinvolgere le realtà più attive nei quartieri e invitarle a collaborare per far nascere e crescere esperienze nuove e utili alla comunità locale. Ogni sostenitore può contribuire a proprio modo: mettendo a disposizione uno spazio fisico dove svolgere un incontro, condividendo la propria conoscenza del contesto o offrendo un aiuto concreto a chi vuole cominciare. Si parte da ciò che c’è e da quel che il quartiere può insegnare. Si costruisce, insieme, quel che potrebbe essere.
La Scuola dei Quartieri è appena nata. Il progetto è partito sotto traccia nei primi giorni del 2019 ed è stato lanciato ufficialmente l’ultimo weekend di marzo, con una allegra e animatissima Festa delle Idee a Cascina Casottello. Ma non è un’iniziativa estemporanea, né isolata.
Per un verso è una parte del sistema di interventi dedicati alla cura delle periferie della città: il Piano Quartieri, i bandi annuali per le associazioni sociali e culturali, il sostegno al volontariato e i patti di collaborazione civica, gli interventi di urbanistica tattica, le iniziative del programma LaCittàIntorno di Fondazione Cariplo e altre cose ancora.
Nello stesso tempo, la Scuola si inserisce in una strategia più ampia sull’innovazione economica e sociale messa a punto dall’Assessorato al Lavoro e Attività produttive attraverso il confronto con una rete di città europee, tra cui Parigi, Torino, Danzica e Barcellona. Il tema scelto da Milano è “La città a due velocità” e ha portato a identificare cinque linee di azione per contrastare le dinamiche di polarizzazione e crescente disuguaglianza tipiche delle metropoli a capitalismo avanzato.
Sull’argomento sono state realizzate due ricerche (a breve disponibili), sostenute anch’esse dal Pon Metro Milano, e che costituiscono la premessa degli interventi della Scuola: uno studio del Politecnico di Milano per costruire un modello di valutazione di impatto basato sull’analisi delle politiche di sostegno all’imprenditorialità realizzate negli ultimi anni, e un’indagine sulle pratiche di innovazione inclusiva che mette a confronto Milano e altre metropoli globali, con un focus sul sostegno alla manifattura urbana per creare posti di lavoro di buona qualità per la classe media e “battere la gentrificazione”.
Tutto questo prosegue – e adatta ad un contesto in continuo mutamento – l’azione del Comune in materia di sviluppo economico e smart city, centrata sul binomio innovazione e inclusione. Di fronte alle tensioni sociali, politiche e ambientali che ci si parano di fronte, crediamo che la sfida per l’innovazione sociale, il city making o comunque la si voglia chiamare, sia abbassare la soglia di accesso, aprire spazi, creare opportunità e offrire occasioni di protagonismo a quante più persone possibile.
Come ha scritto di recente Cristina Tajani, sostenere queste forme di piccola o grande innovazione diffusa non vuol dire andare in cerca dell’idea geniale che renderà ricco un singolo fortunato vincitore, né trasformare il welfare nell’arte di arrangiarsi, sfruttando la passione e l’inventiva di qualche benemerito. Si tratta, invece, di far nascere e sostenere un’ampia schiera di mediatori sociali o di broker, capaci di fare la città e di tenere insieme le comunità. Anche per portare nuova linfa ed energia nel mondo dell’economia sociale, in una logica di innovazione aperta.
Mentre il terzo settore cambia pelle e si moltiplicano speranze e investimenti – dai fondi a impatto sociale, ai percorsi di alta formazione, ai concorsi per startup – bisogna evitare che questo sistema di opportunità risulti inaccessibile ai più; e che la forbice si allarghi, invece che restringersi: da una parte chi propone soluzioni, dall’altra chi esprime solo bisogni.
Stiamo realizzando una “Scuola” perché siamo convinti che la conoscenza resti il primo e più importante ascensore sociale; l’abbiamo chiamata “dei quartieri” perché è nella prossimità che si possono immaginare le migliori soluzioni. Soprattutto nelle parti di città e di società dove nascono i problemi che si vogliono affrontare.
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