Milano
Pisapia faccia il capolista degli arancioni, e finiamola con questa manfrina
Proviamo a raccontare quello che sta dietro la cortina di fumo e di interviste che da stamane hanno informato la cittadinanza milanese del fatto che Francesca Balzani, candidata alle primarie del centrosinistra e classificatasi seconda con circa il 34% dei voti pari a 20 mila preferenze, non sarà “capolista di una lista arancione”. Balzani non metterà la faccia su un’operazione politica di sostegno alla candidatura di Sala, non sarà la front-woman di una lista di sinistra in grado di “coprire” Sala in quel pezzo di sinistra in cui, per tante ragioni, la sua candidatura è più debole ed esposta. A questo punto, un’operazione di scissione sul modello ligure, naturalmente allontanata a parole da Balzani, è più probabile e facile nei fatti. La candidatura simbolo di una sinistra civico-giustizialista di Gherardo Colombo torna in campo come un’ipotesi almeno concreta, visto che proprio l’ex Pm aveva escluso di scendere in campo come candidato sindaco almeno fino a quando Francesca Balzani fosse stata esplicitamente in campo a sostegno di Sala. Ma adesso che non c’è più, chissà.
Balzani ci spiega che è tutta una questione di programmi. Ah, i programmi. La mitologica araba fenice della politica italiana. La vicesindaca dice che per lei mica è importante avere una poltrona sicura nella giunta di domani, ma che vuole con certezza che le idee che lei rappresenta e sulle quali è stata votata da 20 mila milanesi di sinistra abbiano piena cittadinanza. Sulle bacheche dei suoi sostenitori più convinti (invero meno numerosi, come ovvio, di quando la battaglia delle primarie ferveva) si leggono spiegazioni e adesioni estasiate a una scelta di coraggio, chiarezza e ancora la convinzione che la decisione sia maturata sulla base di distanze programmatiche rispetto a Sala. A questo punto, però, non si capisce bene perché Balzani, mentre spiega che non sarà candidata, afferma che è a disposizione della coalizione per contaminare il più possibile il programma (che doveva essere il problema irrisolvibile, non la soluzione a portata di mano, perché se era a portata di mano allora non si capisce perché non candidarsi) e i candidati al consiglio comunale che l’hanno finora sostenuta. Naturalmente le poltrone della eventuale giunta di domani non c’entrano nulla, sia chiaro, conta solo il programma. Programma e poltrone, in una visione della politica matura e realistica, stanno peraltro abbracciati. Perché i pesi di una squadra decidono in maniera importante quali politiche la squadra attuerà. E, ancora più a monte, a decidere pesi, squadra e politiche, in questa lurida democrazia, sono i voti che si prendono. I consensi, maledetti loro. Sia consentito, a questo punto, fare un piccolo gioco: di immaginazione, ma neanche troppo ardita.
Siamo ai primi giorni di Giugno. Francesca Balzani non ha mai rilasciato l’intervista da cui partiamo. Anzi, è stata capolista della lista arancione, quella che doveva garantire l’innesto della continuità più solida e pura di Pisapia nel nuovo corso guidato dal “corpo estraneo” Beppe Sala. Si va al ballottaggio, la partita non è ancora chiusa. Chi vincerà? Vedremo. Per capire i fatti di oggi, per assurdo, non è quasi importante sapere se vincerà il manager Sala o il manager Parisi, ma quanto hanno preso le liste e i singoli candidati. Ad esempio, nel nostro gioco, la lista arancione ha preso il 6/7 %, circa 40 mila voti, e Francesca Balzani ha preso 7 mila preferenze. Oltre dodicimila voti in meno di quelli che sembravano “suoi” appena quattro mesi prima a febbraio. Se Sala vincerà, questa lista arancione non sarà in grado di rivendicare la propria decisività in termini di poltrone & programma (vedi sopra). Se Sala invece perdesse, in questo scenario, la lista arancione e la sua capolista non solo avrebbero visto ridimensionata la loro capacità all’interno del centrosinistra, ma finirebbero con l’essere svillaneggiati dai loro amici di sinistra-sinistra, che a Sala avevano detto no dall’inizio. Questa scena ovviamente ha diverse variabili, che poco cambiano la sostanza. Ad esempio: Balzani si candida nelle liste del Pd, misurando il suo peso all’interno del partito e cercando – vedi sopra – di pesare in termini di voti, quindi di potere, quindi di scelte politiche e programma. E però – sempre a titolo di esempio – prende meno preferenze di Maran, di Majorino, e magari anche di qualcun altro.
Un sospetto, al di là di poco chiare obiezioni programmatiche proprio adesso che il programma va davvero scritto, però viene: a motivare davvero la scelta di Balzani sembra essere stata la paura di un brutto risultato elettorale, che faccia svanire di colpo la possibilità di rivendicare quei ventimila voti. E mentre viene il sospetto, non viene meno però la memoria di chi sia il vero depositario di quei voti e di questo piccolo casino politico. Un bravo sindaco di Milano, che di nome fa Giuliano Pisapia. Ha raccontato, con poca convinzione e senza convincere, che queste sono state belle primarie, che il centrosinistra è arrivato compatto alla meta. Abbiamo visto un finale diverso, e oggi lo vede sicuramente anche lui. Una via d’uscita però c’è, e solo lui può farla imboccare. Si metta lui a capolista della lista arancione che sosterrà Sala. Faccia valere il suo peso e la sua credibilità in prima persona. Contamini così, in modo positivo, la partita del programma e rivendichi la funzione di competition piene sulle idee, i programmi, gli interessi legittimi. Così tornerà al centro Milano e la politica e in un cassetto finiranno, speriamo per i prossimi anni, i narcisismi travestiti da programmi.
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