Milano
Piccolo, nella successione a Ronconi si gioca il futuro del teatro italiano
L’altra sera, al Teatro Due di Roma, al termine di una replica di I Taccuini di Mosella Fitch, scritto da Stefano Massini, l’attrice Barbara Valmorin ha interrotto gli applausi per dedicare lo spettacolo al suo maestro Luca Ronconi. È solo uno dei tanti omaggi fatti a Ronconi dopo la sua scomparsa. Di fatto, anche per la sua grande capacità pedagogica, Ronconi ha lasciato un grande vuoto tra allievi, più o meno noti. Tanti “orfani” e altrettante “vedove” si uniscono nel rimpianto di un artista generoso.
Ronconi ha lasciato anche un grande vuoto al Piccolo Teatro di Milano, dove dal 1999 era consulente del direttore Sergio Escobar, e Che succederà adesso nel primo teatro italiano? Chi prenderà le redini artistiche del Teatro d’Europa che fu di Strehler e Grassi, poi di Ronconi?
Alla direzione “manageriale” resta saldo Escobar, incaricato ancora per tutto il 2016. Forte del suo stipendio di 228mila euro l’anno (dato 2013), guida bene l’azienda con un budget di oltre 20 milioni di euro, in cui ben figura lo sbigliettamento grazie a un pubblico fedele e attento (formato per il 47% da giovani sotto i 26 anni).
E se pure Antonio Calbi, attuale direttore del Teatro di Roma, non ha mai negato di puntare allo stesso ruolo aMilano come coronamento del personale e vivacissimo percorso, al momento non si discute di Escobar, ma la scomparsa del “consulente artistico” apre una inquietante voragine.
L’impressione che si ha, infatti, è che al Piccolo non fossero così preparati a gestire la successione. Abituati come erano alla tempra e alla sua instancabile creatività di Ronconi, speravano tutti che il Maestro fosse eterno. Tant’è che il Teatro ha presentato al Ministero un progetto per il futuro triennio incentrato sulla presenza e il lavoro di Ronconi. Invece, proprio nel momento in cui il sistema teatrale italiano vive, o forse subisce, la complicatissima riforma voluta dal Mibact, il Piccolo si trova costretto a guardare, e pure in fretta nell’anno dell’EXPO, al futuro.
La questione non è solo di “occupare” una poltrona prestigiosa, ma di dare smalto, energie, visioni nuove al prossimo triennio, tenendo conto delle mille sfaccettature della prestigiosa istituzione. Il Piccolo, si sa, è sempre stato un “simbolo”: da quando fu fondato, nell’ormai lontano 1947, da due intraprendenti ventinovenni, Giorgio Strehler e Paolo Grassi, ha creato un modello, un’idea di teatro come “servizio pubblico” ancora di grande importanza. Dunque, si tratta rilanciare quell’idea, adeguarla al respiro internazionale, reggere il confronto con un pubblico esigente come quello milanese, mantenere l’alto livello della scuola. E soprattutto preservare e specificare l’identità del Piccolo di Milano.
Allora, inizia la ridda di nomi, di ipotesi, di disegni strategici. Alcuni girano da tempo nell’ambiente, ma nessuno al momento si è imposto. Chi sarà in grado di farlo?
Tra i più papabili è l’amatissimo Toni Servillo, il cui valore è incontrovertibile. Il Piccolo ha co-prodotto le ultime avventure registiche di Servillo, che hanno avuto riscontro in tutto il mondo. Lui, che come è noto si divide tra cinema e teatro, porterebbe in dote un ampio consenso e un lunghissimo percorso artistico: ha mosso i primi passi al Teatro Studio di Caserta, poi è confluito in Teatri Uniti di Napoli e oggi è uno degli attori più impegnati. I puristi potrebbero obiettare che il Piccolo è sempre stato un teatro di “regia”, mentre Servillo forse è più un “neo” capocomico, ma tant’è: il successo sarebbe assicurato.
Sicuramente “regista” a tutto tondo è Mario Martone, anche lui ex Teatri Uniti e anche lui molto candidato alla guida del Piccolo: se Ronconi aveva diretto prima lo stabile di Torino, poi quello di Roma, Martone vanta nel suo curriculum il percorso contrario. Prima la direzione di Roma (nell’anno del Giubileo) e ancora oggi quella di Torino, che ha portato tra l’altro alla qualifica di teatro Nazionale. Come Ronconi, attivo in prosa e lirica, Martone presta forse meno attenzione al coté pedagogico-formativo, per quanto sia capace di circondarsi sempre di ottimi attori. Servillo e Martone godrebbero certo del sostegno della sinistra italiana, cui non hanno mai fatto mistero di appartenere.
Si fa gran parlare, poi, del giovane Damiano Michieletto, astro nascente della regia lirica: e francamente non si capisce bene perché. Per quanto i suoi allestimenti in opera si facciano decisamente apprezzare, facciano discutere e addirittura scandalizzino il pubblico di mezzo mondo, in prosa Michieletto appare ancora ben lungi dal poter governare una corazzata produttiva come quella del Piccolo. Veneziano, 38 anni, diplomato alla “Paolo Grassi” di Milano, Michieletto nei suoi recenti allestimenti in prosa (Goldoni, Gogol) ha mostrato certo talento, ma non al pari di quello espresso in lirica. Eppure Michieletto è molto “portato”: l’insistenza sul suo nome è martellante, come mostra l’intervista a tutta pagina pubblicata proprio oggi dal Corriere della Sera. A giorni debutterà proprio al Piccolo, con un desueto testo di Ramón María del Valle-Inclán, affidato a un cast di ottimo livello. Il rischio è che questo spettacolo diventi una sorta di “esame di maturità” per il regista: ma il problema, peraltro, non è tanto far bene un lavoro o due, quanto avere un disegno, un progetto culturale adeguato.
Se si tratta di puntare su un “giovane”, non mancano i nomi di artisti che potrebbero esprimere anche intriganti visioni progettuali: da Claudio Longhi a Carmelo Rifici (che sono stati anche assistenti di Ronconi in fasi diverse); da Fabrizio Arcuri, che ha mostrato un bel respiro internazionale e organizzativo, a Valerio Binasco, regista e attore di gran razza che ha avuto anche esperienza di direzione di teatri pubblici, fino naturalmente ad Antonio Latella, forse il regista più “internazionale” in attività.
In questa ottica, appaiono quantomeno un po’ “datati” altri nomi che girano: artisti di assoluto livello, per carità, ma ben più agée e un po’ abusati. Dall’eterno Peter Stein, oggi “artista residente” al Nazionale di Roma; al grande Lluis Pasqual, il catalano che segnerebbe un ritorno al pre-Ronconi, essendo allievo di Strehler, ma che sta facendo ancora un ottimo lavoro nella sua Barcellona; fino al bravo Franco Branciaroli, che con Ronconi lavorava già al Laboratorio di Prato a metà anni Settanta ed è stato spessissimo protagonista delle sue creazioni: l’attore è notoriamente vicino a Comunione e Liberazione, e gode di qualche appoggio nel cda del teatro presieduto da Claudio Risé.
Eppure sono tanti i nomi che sono circolati nell’ambiente: ma quel che preme, oltre al divertente totonomine, è pensare a un teatro capace di rinnovarsi nella tradizione, come fecero già Strehler e Ronconi. Allora, forse per questo, vengono immaginate soluzioni alternative. E dunque, perché non una donna? Registe come Emma Dante, che ha “domato” La Scala, punta di diamante della scena italiana. O Serena Sinigaglia che da anni lavora bene al “fronte” di Milano. O attrici come Maria Paiato o Laura Marinoni. Perché non un attore, come Massimo Popolizio, pilastro di innumerevoli allestimenti ronconiani? E infine: perché non una scelta dal respiro diverso e alternativo come Romeo Castellucci? Staremo a vedere. Qua si gioca, in buona parte, anche il futuro di tutto il teatro italiano. Nel malaugurato caso in cui il Piccolo dovesse perdere smalto, ne risentirebbero tutti.
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