Ambiente

Piazza d’Armi. Se un vincolo toglie credibilità al Paese e blocca un nuovo parco

25 Maggio 2019

Il 17.5 la Soprintendenza di Milano chiede al Comune informazioni sulla Piazza d’Armi di Baggio per conto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali , in seguito alla “segnalazione da parte di una Associazione inviata al Superiore Ministero, che prefigura massicci interventi edilizi con ingenti volumetrie nell’area della Piazza d’armi di cui viene richiesto il vincolo”.

Il 22.5 senza aver atteso la nostra documentazione veniamo a conoscenza dalla stampa che la richiesta dell’Associazione è diventata un avvio di procedimento di vincolo (che blocca qualunque iniziativa sull’area fino a quando non viene definito il tipo di vincolo, o viceversa negato il vincolo stesso, come appena viso nel caso del QT8).

Basterebbe questo per definire centralisti i nuovi vertici della struttura del Mibac, non capaci di comprendere la complessità di una città come Milano, entrando in modo prepotente su questioni che non conoscono e non hanno approfondito adeguatamente, fidandosi di una segnalazione e senza nemmeno coinvolgere le altre istituzioni.

Il Ministro Bonisoli risponde al Sindaco Sala che protesta di “leggere meglio le carte”. Anche in questo sta l’approssimazione del Ministero dato che noi non possiamo conoscerle perché non ci è stato ancora fornito o pubblicato nulla, a parte una nota stampa che il Ministero ha fatto trapelare alcuni minuti prima dell’uscita di un comunicato di soddisfazione del Movimento 5 Stelle.

Il vincolo, secondo quella nota, parrebbe richiedere di non edificare nulla nelle aree attualmente non edificate. Questo punto è coerente con quanto previsto nel Piano del Governo del Territorio recentemente adottato dal Consiglio comunale di Milano e che verrà per legge approvato ad ottobre. Si tratta quindi di un intervento ridondante che nulla aggiunge agli obiettivi fissati dalla città, probabilmente inficiati però dalla seconda parte del vincolo. Tuttavia un vincolo rigido sul verde che ne impedisca ogni nuova struttura fa una scelta a monte ad esempio su eventuali iniziative sportive. Ricordiamo che la società Visconti ha sede in quell’area, ci siamo impegnati a confermarla, e il quartiere potrebbe volere in parte del parco delle strutture sportive che lo tengano vivo e frequentato. Giusto o sbagliato che sia, discutiamone, non vincoliamoci al fatto che non possono esserci qualora prevedano edificazioni come gli spogliatoi, i locali di servizio, piccole tribune ecc.

Parrebbe poi che il vincolo irrigidisca di molto i vincoli sulle aree già edificate, quelle attualmente occupate da ex magazzini militari senza particolare pregio. Il Ministero non ha titolo per definire gli indici volumetrici nell’area ma può dare prescrizioni atte nei fatti ad impedirne la realizzazione. Questo diventa invece un problema perchè per realizzare il parco e altri servizi che servono al quartiere, come spiegherò, serve che qui si creino le condizioni economiche che lo permettono.

Facciamo quindi un po’ di storia. La Piazza d’Armi è un’area di circa 416mila metri quadri, di cui circa 70mila occupati dagli ex magazzini. Circa un quarto dell’area non edificata è soggetta ad occupazioni abusive su cui vi è un ordine di demolizione della Prefettura, probabilmente non più applicabile senza autorizzazione ministeriale nel momento in cui interviene una procedura di vincolo. Specie in quest’area vanno fatte anche analisi ambientali per verificare eventuali inquinanti nei suoli, indagini non possibili fino a che le aree saranno occupate abusivamente.

La Piazza d’Armi può diventare potenzialmente uno dei luoghi più belli di Milano ma servono investimenti per recuperarla e toglierla dall’attuale stato di forte degrado, su cui le proteste sono giustamente veementi.

E’ un’area che il Ministero della Difesa ha ceduto a una società dello Stato che si chiama Invimit, a quanto risulta per circa 60 milioni di euro. Statutariamente Invimit deve evidentemente rientrare dell’investimento fatto (a meno che lo scopo dello Stato non sia creare società atte a fallire) e ha acquistato le aree con una chiara e dettagliata relazione sui vincoli previsti, compresi quelli paesaggistici, che ne giustificavano il valore.

E’ chiaro che un nuovo vincolo modifica il quadro, rendendo carta straccia quella valutazione.

Questo approccio non causa solo un rischio specifico di ricorsi ma in generale il più grave pericolo di una perdita di credibilità del Paese su future cessioni di suoi beni, tutti potenzialmente sottoposti a inasprimenti arbitrari di vincoli. Il Governo ha previsto un piano di valorizzazioni immobiliari da 18 miliardi. Ma davvero qualcuno può andare ad investire sapendo che le regole possono cambiare dopo le cessioni nonostante garanzie scritte precedenti?

Può davvero bastare la segnalazione di una associazione perchè il Ministero apra in maniera acritica procedure di vincolo su un’area che lo stesso ha già valutato pochi anni prima, per di più senza nemmeno interpellare le Istituzioni locali?

Va considerato che l’avvio della procedura di vincolo genera una incertezza sull’esito finale addirittura più rilevante del valore di un eventuale futuro vincolo, che anche se rigido ha elementi certi, rendendo in questa fase improbabile che qualunque investitore si avvicini al progetto.

Negli anni il Comune di Milano ha lavorato per ridurre le volumetrie presenti sull’area. L’importante lavoro dell’ex assessore Ada Lucia De Cesaris ha portato a una riduzione dell’indice edificatorio previsto dal piano Masseroli più o meno della metà, scendendo a 0.7 metri quadri su metro quadro, il massimo ottenibile in quella fase. Su questi numeri Invimit ha fatto una gara pubblica per cedere l’area, andata tuttavia deserta meno di 2 anni fa, a dimostrazione del fatto che non stiamo parlando esattamente del miglior investimento economico possibile secondo il mercato, ma di un’iniziativa complessa, di difficile realizzazione, che necessita di forte collaborazione istituzionale per essere portata a termine con successo.

Il mio lavoro in questi 3 anni è stato volto a creare condizioni economiche per avere un grande parco per Milano, realizzato nell’ambito della valorizzazione dell’area e su questo ho trovato in Invimit una grande collaborazione. Ciò ha portato il Consiglio comunale, nel nuovo PGT, a dimezzare ulteriormente le volumetrie (da 0.70 a 0.35 mq/mq), prevedendo di concentrarle sull’area già edificata dagli ex magazzini (quindi con l’ipotesi di abbatterli, eccetto i pochi già precedentemente vincolati, e costruire nuove strutture), in modo da realizzare un grande parco pubblico sull’area mai edificata recuperando a verde quella con costruzioni e occupazioni abusive. Se parliamo in termini economici Invimit, società pubblica, deve rientrare dei 60 milioni di investimento, e l’intervento deve generare oneri sufficienti a realizzare il parco e le altre urbanizzazioni necessarie (circa 40 milioni ipotizzati). Amiamo il verde, vogliamo un grande parco e sappiamo che servono le risorse economiche per realizzarlo e gestirlo. Non solo ma il quartiere ha bisogno di nuovi servizi che oggi non ha e che potrebbero essere realizzati nella parte dei magazzini insieme alle iniziative che finanziano tutta l’operazione rendendola realizzabile.

In questo quadro Invimit aveva individuato un investitore istituzionale disposto a seguirli in questo percorso, ben conscio del quadro dei vincoli presenti al momento dell’acquisto dell’area, accettando senza osservazioni la riduzione di volumetria proposta dal Comune nonché di non edificare nelle parti che oggi non lo sono.

A tal proposito ad aprile ho avviato un tavolo insieme alle associazioni ambientaliste Legambiente, WWF, Fai, Italia Nostra – CFU, Lipu, Giardiniere al fine di individuare un progetto di gestione per l’avvio del nuovo parco e a ricercare finanziamenti da bandi per sostenerlo.

Questa mossa del Ministero penso blocchi tutto per ancora diversi mesi, lasciando l’area nell’attuale stato di degrado.

Segnalo a riguardo anche il comunicato di Italia Nostra Milano che si conclude con questa significativa frase: “Dispiace invece vedere che anche questo vincolo prescinde da queste necessarie premesse, con finalità in gran parte diverse dalla tutela e dalla valorizzazione, con il rischio di cristallizzare uno stato di fatto che può portare a ulteriore degrado”. “

Ritengo sia un modo deprecabile di lavorare da parte del Mibac, già visto nel caso di QT8 e del Monte Stella, volto non a risolvere situazioni complesse, ma ad entrare a gamba tesa, prendendo la posizione più estremista ed irragionevole e facendone la posizione del Governo.

Questo vincolo non crea un affatto nuovo parco, già previsto dal PGT di Milano, ma rischia seriamente di impedirne la realizzazione, bloccandone la fonte di finanziamento a causa di una tutela, in forme ancora non note, di magazzini che a giudizio recente della Soprintendenza non hanno alcun pregio. Fino a che non avremo un documento finale del Mibac, peraltro, sarà inutile lavorare a progetti futuri perché non conosciamo le nuove regole.

Dubito inoltre che questo vincolo crei le condizioni di recupero dei magazzini stessi, chiunque si rende conto che quella è una spesa e non un introito. E in ogni caso cade il percorso per cui lì si producono gli utili che consentono di realizzare il parco e i servizi per il quartiere.

Un vincolo rigido su edifici ammalorati complessi lo stiamo già vivendo sull’ex istituto Marchiondi, che è indubbiamente un bene di pregio ma con vincoli così rigidi da renderne molto difficile il recupero senza ricorrere a ingenti investimenti pubblici. Però lì stiamo parlando del Marchiondi, non di magazzini senza specifiche qualità.

Spero che il Mibac torni presto alla ragionevolezza. Non penso che il problema sia solo il Ministro, ma una struttura tecnica che in questo momento ha una visione errata della città di Milano e del ruolo che il Ministero può esercitare nella tutela e valorizzazione del territorio che dovrebbe essere uno stimolo, non un freno che porta all’immoblismo e preserva uno stato di degrado e abbandono.

Quella da vincolare sarà la Piazza d’Armi, gioiello di Milano dopo le azioni di recupero, non quella di oggi!

Milano in questi anni ha dimostrato di sapersi rigenerare senza dire “no”, ma creando i presupposti per uno sviluppo sostenibile. Questo è stato possibile anche perché prima d’ora tra i mille ostacoli non ci siamo ritrovati questo approccio del Mibac, troppo romano e ben poco milanese. Viene anche da domandarsi se oggi avremmo quartieri come Porta Nuova se il Mibac allora avesse ragionato così.

Cosa fare oggi?

Se il Mibac vuole dare una mano è sempre il benvenuto purché rispetti la città di Milano, le sue Istituzioni e i suoi cittadini. Penso che sarebbe bene che lunedì, finita la campagna elettorale, venisse revocata la procedura di vincolo e si ripartisse insieme da zero. Se l’obiettivo è tutelare il verde ed avere un grande parco, questo è prima di tutto obiettivo dei cittadini milanesi, che però vogliono anche decidere che tipo di parco e come fare il verde. Se l’obiettivo è ridurre le volumetrie salvaguardando l’operazione in maniera realistica da un lato sia la Giunta Pisapia, sia quella Sala hanno già dimostrato di aver ottenuto, nero su bianco, risultati significativi ma si può fare, volendo, un passo in più.

La Regione ha proposto di accorpare l’Ospedale San Paolo e San Carlo (adiacente alla Piazza d’Armi) in una nuova struttura unica da creare a San Cristoforo. E’ una scelta regionale che non tocca al Comune né condividere né approvare ma non posso che essere preoccupato del futuro dei palazzi degli attuali ospedali, oltre che dei servizi erogati al territorio. Però se Regione e Invimit trovassero un accordo parte delle volumetrie della Piazza d’Armi potrebbero essere spostare sul San Carlo che essendo un servizio è si un grosso edificio ma per le regole urbanistiche non ha volumetria.

Questa soluzione, che ho già proposto mesi fa, potrebbe portare a un ulteriore diradamento dei diritti edificatori che insistono sui magazzini e riuscire a dare maggiore solidità alla riconversione del San Carlo. E’ fattibile ma servono appunto Stato e Regione.

Contemporaneamente il Mibac può sedersi al tavolo col Comune, le associazioni, il Municipio 7 per ragionare su una proposta di costruzione e gestione del parco che avrà dimensioni pari al Parco Sempione e deve essere la porta di accesso al sistema dei parchi dell’ovest di Milano.

Al lavoro perché non ci servono vincoli, ma un nuovo parco.

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