Milano

Perdere Milano

10 Novembre 2015

Tre considerazioni, solo tre, per inquadrare l’imbarazzante situazione delle prossime elezioni comunali di Milano.

La prima riguarda l’a.d. di Expo Giuseppe Sala. Si sa da mesi che sarebbe stato il legato e candidato di Renzi. Inutile cadere dal pero. Ma chiunque ne parli come Sindaco, a favore o a sfavore, lo fa pregiudizievolmente. Perché si tratta di un manager, probabilmente bravo, che nulla ha mai detto su Milano e sul futuro di questa città. Non un pensiero, un commento, una proposta che sia una sulle prospettive della città che si dice, disposto a governare. Non lo amo, non è certo un candidato che mi spingerà a tornare a spendermi in una campagna elettorale ma anzi, e probabilmente, mi convincerà a tornare astensionista consapevole e attivo.

Ci sono tutte le premesse perché sia il pupazzo del ventriloquo Renzi, la cui marcia di occupazione dell’intero Pd è, complice l’inconsistenza dei suoi militanti, è ormai inarrestabile. Così come si è sicuramente legittimati a pensare che si tratti di un futuro Sindaco che si limiterà a seguire l’onda di una città che, in verità, è sempre andata avanti da sola, superando persino personaggi come Borghini o la Moratti, curando esclusivamente che non entri in rotta di collisione con Roma. Ma ciò non giustifica l’avversione a priori di tutti coloro che si sentono orgogliosamente a sinistra del Pd e che continuano a sventolare, un po’ pateticamente, un drappo arancione. Un’avversione rispetto a Sala che in mancanza di un programma o di una ben che minima proposta rimane priva di fondamento. Un rifiuto di pancia che difficilmente ne eviterà la candidatura.

E qui si inserisce la seconda considerazione che riguarda l’incapacità di quel frastagliato mondo a sinistra del Pd di trovare una ben che minima quadra. L’incapacità di dare alle visoni di cui è satollo, la forma necessaria a farle diventare realtà, quella forma per cui non sia necessario “l’uomo della salvezza” , ma basti trovare chi ne rappresenti, primo tra pari, la legittimità e concorra, con tutti gli altri, alla loro realizzazione.
All’egocentrismo renziano, che tutto omogeneizza e normalizza seguendo l’istinto dell’uomo al comando, sarebbe necessario contrapporre una visione condivisa e collegiale della res-publica. Ma di questo concezione veramente partecipativa della politica non ve n’é traccia neanche nelle mille sfaccettature del mondo non allineato. Un mondo che, sempre attento a ogni tipo di distinguo, non riesce a proporre nessuno in grado di meritarsi l’eredità del racconto Interrotto nel maggio 2011. Un mondo che Pisapia ha saputo illudere per raggiungere l’ambita poltrona e che, nonostante i segnali fossero chiarissimi, non si è reso conto che la rotta promessa non era più quella seguita. Un errore di valutazione che, confidando sempre nel condottiero senza paura e senza macchia, evitandogli ogni tipo di critica con una passionalità quasi amorosa, non ha permesso, in questi cinque anni, di costruire una coesione, una compagine, una politica in grado di presentarsi tranquilla e sicura alla prossima scadenza elettorale.

Bruciate le figure di valore in un’inutile lotta intestina, sono rimaste le comparse a cui molti milanesi non sono disposti a riaffidare la città.
Anzi, la lotta è continuata anche dopo “il gran rifiuto”, al punto di rischiare di screditare il lavoro fin qui fatto, pur di non veder crescere la candidatura di un ex compagno di squadra. È questo ha aperto la strada, l’ha spianata all’arroganza del fiorentino assetato di conquista.
Ma questa situazione, come nei migliori gialli, un colpevole c’è l’ha. Un colpevole che nessuno nomina, che tutti proteggono, di cui nessuno cita, pubblicamente, le responsabilità. Come il tradito rifiuta, fino all’ultimo di vedere e riconoscere pubblicamente il tradimento, così lo sfasciato popolo arancione continua a negare la responsabilità di Pisapia in questo disastro. Che non si riduce all’aver interrotto a metà strada un percorso incominciato insieme, ma nel non aver mai cercato di costruire un futuro che prescindesse dalla sua presenza.

Le false richieste di ricercare un candidato “civico” che dia consistenza alle primarie di coalizione si scontra con il lavoro di smantellamento di quel mondo che questo candidato lo avrebbe potuto esprimere. Un lavoro iniziato con l’opposizione alla presentazione di una lista veramente Civica è concluso subito, il 31 maggio 2011, quando la città è stata riconsegnata ai partiti, o meglio, alle faide interne al Pd. Ma di questo, miracolosamente nessuno parla e nessuno pubblicamente ne fa menzione.

Mentre il parlarne, al di là di levare qualche sassolino da qualche scarpa, ci permetterebbe di non rifare gli stessi errori.
Superando la logica del “dopo di me, il diluvio” che tanto piace a chi fa terra bruciata, dobbiamo avere la volontà, perché la forza non basta, di prospettare un alternativa collegiale che sia rappresentativa di un governo di condivisione di tutti i cittadini. Non uno ma dieci, non dieci ma cento, non cento ma mille alla guida della città di cui si sappiano, già da oggi nomi, competenze, capacità e… visioni.

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