Milano
Per una stella
testo Anna Maini
progetto di Marta Galli, Anna Maini e Roberto Rampi
regia Stefano De Luca
scene e costumi Linda Riccardi
disegno luci Claudio De Pace
luci e fonica Marco Grisa
consulenza musicale Marco Mojana
consulenza storica Marco Cimmino
con Tommaso Banfi e Marta Comerio
produzione ArteVOX Teatro in collaborazione con LupusAgnus
con il patrocinio di Museo Storico del Trentino e Museo Centrale del Risorgimento di Romarcando
Foto di Copertina di Roberto Finizio
La scenografia è scarna, costituita da assi e blocchi di legno grezzo, che si trasformano mano a mano in mattoni, trincee e binari. Sullo sfondo, due bandiere: una dell’impero austro-ungarico, l’altra del regno di Italia: le riconosciamo ancora, ma non significano più niente ormai.
Poi appaiono due persone: un uomo in divisa e una donna con un lungo cappotto. Non sono poi così connotati, potrebbero essere due hipster qualunque. Comincia così “Per una stella”, un progetto non solo teatrale basato su fatti realmente accaduti durante la Prima Guerra Mondiale, quella che ancora si chiama “La Grande Guerra”. Pietro (Tommaso Banfi) e Rosa Anna (Marta Comerio), un ventenne italiano e una ragazzina austriaca, vivono la guerra da due fronti opposti: Pietro si arruola nell’esercito italiano – in memoria del fratello cappellano – e Rosa Anna aspetta che il padre – un Kaiserjäger – torni e le porti una stella alpina.
Inizialmente entrambi i protagonisti, nonostante l’età differente, sembrano non rendersi conto di cosa sia la guerra, spinti dalla frenesia, dalle dicerie sullo straniero, sugli italiani dalla testa di scimmia. Questa forse è la parte più debole dello spettacolo, quando per forza di cose la recitazione è sul bilico della naïveté e i dialoghi non possono avere molta profondità.
Poi, a contatto con l’orrore della guerra, entrambi cambiano e maturano profondamente: morte, diserzioni e feriti circonderanno i due protagonisti. In questa evoluzione gli interpreti sono lucidi e sobri, mai sopra le righe, eppure coinvolgenti.
La scelta della narrazione di una vicenda così lontana nel tempo, che a prima vista potrebbe sembrare poco interessante (per me è stato così, in effetti) si dimostra in realtà un ottimo mezzo per riflettere sull’atrocità della guerra, perché in scena c’è solo la verità, non c’è l’ingombro di memorie personali, di vecchi rancori. E poi, la Grande Guerra non è stata una guerra qualunque: come giustamente narra Pietro, l’esperienza della trincea fu intensa e snervante. Ai soldati veniva fornito del Cognac per “spingerli” all’attacco; e poi, nelle lunghe attese, nei riti della vita quotidiana, si faceva strada il cameratismo tra i soldati, l’unico legame umano possibile in quella logorante esperienza. E, alla fine della guerra, il problema dei reduci: un’esperienza stressante come quella della trincea provocò reazioni contrastanti; da una parte, una forte spinta al pacifismo, e la nascita della “Società delle Nazioni”, una prova generale dell’ONU; dall’altra la spinta ai totalitarismi. E cosa sarà accaduto a Rosa Anna e Pietro, dopo la Guerra? Avranno aderito al fascismo? Saranno diventati partigiani?
La pièce termina, forse un po’ sbrigativamente, con il loro incontro e con la nascita del loro amore. E forse è giusto che certi interrogativi rimangano solo nella mente dello spettatore.
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