Milano
Per l’Expo si cambia anche l’Inno Nazionale
Largo ai vecchi
E’ stata proprio una bella cerimonia quella per l’apertura dell’Expo. Presenti le massime autorità dello Stato e tra queste, come poteva mancare, il Presidente Renzi che ha manifestato ancora una volta il suo spirito decubertiano ricordando il lavoro che per ottenere l’Expo aveva fatto l’ex sindaco Letizia Moratti che il sindaco Pisapia aveva dimenticato di ringraziare. La Moratti confusa nella folla e non prevista tra le autorità si è commossa sino alle lacrime e ha ottenuto anch’essa, come giusto, un lungo applauso. Insomma tutti erano contenti e soddisfatti prevedendo un grande successo dell’esposizione come i primi giorni, secondo quanto dice il Direttore Generale, fanno prevedere.
Nel quartiere Magenta di Milano intanto la guerriglia urbana invadeva le strade ma a Rho Fiera tutto si svolgeva perfettamente e la cerimonia si concludeva con il canto dell’inno di Mameli da parte di due cori uno dei due era composto solamente da bambini con le loro vocine acute. Per loro l’inno nazionale era stato modificato nell’ultima frase che dice “…siam pronti alla morte l’Italia chiamò” con “…siam pronti alla vita l’Italia chiamò”.
Poveri bambini non sanno che la vita, secondo Schopenhauer, è assai peggio della morte e il giovanile romanticismo del buon Mameli, che oggi suona persino un po’ ridicolo, è corretto dalla sua morte in battaglia a Villa Glori. Poveri bimbi il volenteroso buonismo dei funzionari ministeriali sarà pagato, come per tutti, dal faticoso dramma dell’esistenza e dalla “noja” nel senso greco della parola. Dietro alla piccola modifica del testo di Mameli c’è, senza che le direttrici didattiche e i volontari della solidarietà lo sospettino, la grande disperazione del mondo moderno e l’aspirazione scientista all’eterna gioventù da sempre frustrata. Tutte cose sulle quali è meglio tacere per non disturbare gli eventi così ben riusciti salvo, ahimè, che nel padiglione Turco, frettolosamente messo in piedi, si è staccato un pezzo di soffitto che è caduto sulla testa di una delle prime visitatrici. Non è grave anche perchè prontamente il servizio sanitario interno l’ha portata all’ospedale.
A Roma intanto si celebrava il 750° anno dalla nascita di Dante Alighieri e l’attore Benigni leggeva in una sala del Senato l’ultimo canto della Divina Commedia, quello che termina “…l’Amor che move il sole e l’altre stelle. ”. Dove l’Amor è Dio. Anche le altre due cantiche finiscono con la parola stelle (“…E quindi uscimmo a riveder le stelle.” e “…puro e disposto a salire alle stelle.”). Al colto e prestigioso pubblico Benigni per non sbagliare aveva letto l’ultimo canto del Paradiso ma lunga per Dante era stata la via per giungere a quelle ultime stelle. Una via che attraversa la terribile avventura degli uomini che è proprio la vita. Non so fino a che punto la classe dirigente del Paese rappresentata in quella sala del Senato fosse in grado di capire che la Storia è complessa e non consiste solo nello striscione d’arrivo ma in un lungo e spesso indecifrabile cammino. Noi abbiamo la modesta idea che sarebbe stato meglio per quel pubblico che Benigni avesse letto qualche canto dell’Inferno.
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