Milano
Per chi suono la campana (in Europa)? Per la classe dirigente europea.
Il Centro Studi Circolo Caldara si interroga: per chi suona la campana a morto in Europa? Su questo tema di grande attualità e rilevanza si sono confrontate autorevoli personalità del panorama economico e politico, tra cui Pietro Modiano, Giorgio Gori e Maria Letizia Giorgetti
Negli ultimi giorni ho letto e ascoltato con vivo interesse la cospicua produzione del Centro Studi Circolo Caldara in merito ai temi dell’Europa e le sfide future. Ho ascoltato, letto e condiviso molte delle riflessioni che sono state fatte nel corso del convegno di lunedì 14 aprile, in cui sono intervenuti fra gli altri Giorgio Gori, Maria Letizia Giorgetti, Pietro Modiano, Giorgio Arfaras, oltre ai contenuti presenti nel folders Per chi suona la campana (in Europa) scritto da Marco Vitale, Silvia Pugi, Stefano Rolando, Mario Mazzoleni, Pierfrancesco Maran, Marco Ghetti, Pier Virgilio Dastoli, Piero Bassetti, Luciano Pilotti e Diego Castagno
Il mio contributo nasce da questo, nella modesta speranza di poter offrire qualche elemento in più che possa essere di stimolo e riflessione per altri, così come il lavoro fin qui svolto lo è stato per me.
Cercherò prima di sintetizzare lo stato dell’arte del pensiero caldariano. Si è partiti dalla constatazione che il sistema dell’Unione Europea sta mostrando i propri limiti e si è cercato di comprendere come si possano affrontare le sfide attuali e del prossimo futuro, individuandole in un quadro così come delineato dalle analisi di Mario Draghi: politiche comunitarie, difesa, industria e politica estera.
Usando una metafora sportiva, ci si è accorti che i risultati della squadra sono stati deludenti nel corso di sfide cruciali e ci si interroga su come cambiare questa tendenza in vista di un fitto calendario di match molto duri.
Io però mi voglio discostare dal percorso della riflessione e non entrare nel merito delle “sfide” dell’Europa o discutere su cosa si debba fare per il prossimo futuro. Questo è stato ampiamente dibattuto in modo efficace e tenace, in una discussione caratterizzata da un certo (e comprensibile) spirito ottimistico…forse esagerando un po’.
Prendo come esempio la questione dell’Intelligenza Artificiale sollevata dalla Professoressa Giorgetti nel corso del convegno ed indicata un po’ da tutti come area in cui impegnare ingenti risorse economiche per poter competere con i maggiori attori globali al fine di non dipendere dalla tecnologia altrui. In questa sede non voglio affermare un giudizio sull’asserzione e addentrarmi negli intricati meandri del proposito, le problematiche che solleva e i numerosi piani incidenti che tocca.
Mi limito a dire che il modello di AI lanciato nel 2020 da OpenAI è stato sviluppato nei cinque anni precedenti in un contesto tecnologico industriale di sviluppo del deep learning, una tecnologia che è letteralmente esplosa dopo il 2010.
Così, oggi, nel 2025, discutiamo di investire per sviluppare una tecnologia che ha richiesto agli americani una decina d’anni sviluppo; lo facciamo non avendo la loro l’Industria hi-tech e con già cinque anni di ritardo sul primo lancio pubblico e massivo. Constato, quindi, che se l’investimento si facesse domani, saremmo già in partenza 15 anni in ritardo.
Secondo una tesi nata negli ambienti delle Big Tech americane, in Unione Europea non si è sviluppato nulla a causa delle numerose leggi che ne hanno limitato la crescita. Giorgio Gori, nel suo intervento pubblico al Caldara, ha sostenuto che in Unione Europea si è scelto di “fare leggi” perché “era la cosa meno costosa”.
In verità, io non penso che lo sviluppo tecnologico e legislazione siano in contrasto o alternativi. La società Qwant francese che ha sviluppato un motore di ricerca senza bolle di filtraggio e senza profilare gli utenti, ne è la dimostrazione.
La scelta legislativa in ambito tecnologico è stata una delle poche iniziative di successo che consente ai cittadini e alla democrazia occidentale di difendersi da un’evoluzione tecnologica che, parafrasando la Professoressa Taddeo, proviene dal mercato e non ha sensibilità per i diritti.
Molto più semplicemente io penso che negli ultimi dieci anni (almeno) in UE siano state fatte delle scelte sbagliate. Questa affermazione vale per le politiche industriali, per le politiche comunitarie, per le relazioni internazionali e per lo sviluppo tecnologico.
Marco Vitale ha scritto di “tradimento”, i preferisco parlare di fallimento. Ma sarebbe sbagliato attribuire le colpe delle sconfitte all’Unione Europea come istituzione, piuttosto bisogna indicare come responsabile principale la classe dirigente (e quindi non solo politica) europea.
Nel decennio 2010-2020 in Unione Europea si sono susseguite 3 Commissione Europee (Junker I e II, Von Der Leyen I) che hanno essenzialmente avuto una forte trazione più tedesca che franca, questo soprattutto grazie alla leadership fortissima e incontrastata nel Continente che Angela Merkel ha avuto. Aggiungiamo, che le condizioni di debolezza dei singoli stati erano molto più evidenti all’ora di quanto lo siano oggi.
Si tratta di condizioni alquanto favorevoli (quantomeno politicamente) per realizzare l’auspicata integrazione europea che l’ottimo Pierfrancesco Maran ha indicato come bloccata.
La recessione economica globale di quegli anni poteva costituire la scusante per attuare delle politiche economiche e di investimento comuni, mentre invece si sono scelti parametri (per altro disastrosi) lasciando ai singoli paesi autonomia per attuarli. In questo contesto la prospettiva “comunitaria” è stata politicamente presentata sempre come suppletiva e punitiva, come accaduto in Grecia.
Tra il 2010 e il 2020, niente è stato fatto dal punto di vista dei trattati costitutivi. Si tratta dell’unico decennio dalla fondazione dell’UE in cui questo non è avvenuto: Maastricht 1992, Amsterdam 1997, Nizza 2001, Lisbona 2007.
Anzi, al momento, quello è l’unico decennio in cui l’unico Trattato che è stato sancito è quello per la fuoriuscita di un paese: la Gran Bretagna. Evento che ha stabilito un precedente importante, su cui non è stata fatta alcuna riflessione politica seria a livello europeo e che viene presentato all’opinione pubblica, tanto dalla politica quanto dai media, con l’odiosa formula semplicistica della scelta dei cretini e degli stupidi contro la razionalità.
Ancora, nel 2009 Tesla presenta la sua berlina elettrica, nel 2010 è la volta della cinese Gelly, dando il via ad una stagione di sviluppo considerevole del settore. Negli stessi anni il settore automobilistico europeo si riprende e realizza importanti avanzamenti (es. nascita di FCA nel 2014), contestualmente sceglie di schiararsi contro l’elettrico (vedasi le dichiarazioni di Marchionne nel 2017), senza tuttavia presentare nessuna credibile alternativa per l’enorme problema della transizione ecologica.
Tra il 2010 e il 2020, Algeria e Sudan hanno cambiato regime, Tunisia e Egitto sono entrati in crisi profonda, sono scoppiate guerre civili (oggi non finite) in Libia, Siria e Yemen, il Libano è fallito sia economicamente che politicamente, Israele e Hamas hanno combattuto due volte (2012 e 2014) e due volte due crisi hanno portato a qualche migliaio di morti (2018 e 2019). A questi si aggiungono le tensioni tra Kosovo e Serbia, il fallimento della Bosnia Erzegovina come paese e ovviamente Euromaidan, l’invasione russa della Crimea e l’inizio della guerra civile in Ucraina. Ciascuno degli esempi citati ha avuto e sta avendo ancora oggi conseguenze sul Continente, senza che l’Unione Europea abbia mai realmente fatto qualcosa (né allora, né oggi) per svolgere un ruolo diplomatico e politico risolutivo.
Sono questi dieci anni che spiegano perché siamo oggi così impreparati di fronte agli eventi dell’ultimo quinquennio e che abbiamo passivamente subito o inseguito cambiando una posizione dietro l’altra.
Se è certamente vero che l’UE e l’idea di Europa hanno una lunga storia di successi – di cui la “Pace per 80 anni” è solo uno dei –, bisogna ammettere che questa parte di storia dell’Unione Europea è fallimentare per l’idea di Europa che abbiamo.
Bisogna avere il coraggio di dirlo facendo autocritica e indicando i nomi e cognomi di chi ha sbagliato. La prima colpevole è certamente Angela Merkel che di fronte alla possibilità di diventare una delle più grandi politiche europee ha scelto di essere la più grande Cancelliera della Germania Federale. In seconda posizione ci sono almeno le ultime 3 Commissioni Europee insieme alla costosa ed elitaria burocrazia europea. Le grandi banche e i gruppi finanziari e il management delle grandi Aziende europee che hanno spesso pensato più alle operazioni e alchimie di borsa piene di bonus e dividendi piuttosto che ad investimenti strategici. In terza posizione l’Europarlamento, unica istituzione europea eletta, che non è stato in grado di produrre un’immagine di sé diversa da quella di un vuoto palcoscenico.
Solo se la Politica e chi fa Politica farà una seria riflessione su questi temi e su cosa non ha funzionato in questa Unione Europea, solo spiegando il perché dell’oggi si potrà discutere il presente e progettare il futuro.
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