Milano

Passioni primarie

13 Febbraio 2016

Sta per chiudersi la settimana delle passioni primarie a Milano, culminate con la vittoria di Sala e l’annunciata sconfitta dei due candidati più di sinistra. Torniamo a parlarne per l’ultima volta, prima di iniziare il racconto della nuova avventura delle comunali di giugno, in occasione del dibattito di un paio di giorni fa, che cercava di fare il punto su quando accaduto nelle votazioni di domenica scorsa.

Una sala colma di gente, nell’aula magna di Scienze Politiche, a discutere sui motivi e sulle conseguenze delle scelte dei milanesi per la corsa del centro-sinistra alla carica di sindaco. Con in prima fila il nostro direttore Jacopo Tondelli, Simone Spetia di Radio24, Michele Salvati e, soprattutto, Pietro Bussolati, segretario del Pd metropolitano, al quale si è cercato di estorcere le ultime decisioni prese dalla coalizione. Sì, perché il tema principale della discussione era abbastanza ovvio: cosa faranno, alle prossime comunali, quegli elettori e quelle aree politiche che non si sentono del tutto rappresentate dal candidato vincitore delle primarie, Giuseppe Sala?

Al centro del dibattito le analisi delle risposte fornite dagli stessi elettori di domenica, mentre in coda aspettavano il loro turno per votare. Due elettorati molto diversi e, forse, difficilmente riconducibili ad una scelta unitaria. Quelli di Majorino e Balzani che si proclamavano per la maggior parte di sinistra, mentre quelli di Sala si trovavano pienamente intorno all’etichetta di centro-sinistra. Il giudizio sul governo Renzi positivo per il 90% degli elettori di Sala, e soltanto per uno stentato 50% tra gli altri elettori. Alta fedeltà, qualunque candidato avesse vinto, tra i primi; forti perplessità (per oltre il 30%) nel considerare il voto per Sala alle comunali, per gli adepti di Majorino e Balzani.

Come riconciliare dunque questi ultimi con il risultato delle urne? Le proposte maggiormente prese in considerazione ruotavano intorno all’idea che si presentasse una lista “di appoggio” a Sala, chiamata provvisoriamente “lista Balzani”, per riuscire a bilanciare a sinistra l’afflato più centrista del manager di Expo. Con il coinvolgimento di Sel, i cui elettori nelle urne domenicali avevano scelto in massa i due candidati sconfitti. Il tutto, dicevano i rappresentanti del Pd, per evitare ciò che potrebbe accadere a Torino, dove la scelta di Sel (appunto) di correre da solo, in contrapposizione al sindaco uscente Fassino, avrebbe la possibile conseguenza di favorire la vittoria al ballottaggio delle altre forze maggiormente competitive (i 5 stelle a Torino, il centro-destra a Milano).

Una riconciliazione comunque ardua da realizzare, tra le ricorrenti voci di una possibile agguerrita lista autonoma, con personaggi influenti del calibro di Civati e Dalla Chiesa a sostenerla, capace di diventare una spina nel fianco del Pd e della sua coalizione di centro-sinistra (o forse, come sostengono i votanti di Majorino e Balzani, di centro-centro-sinistra). Di parziale conforto, per il Pd, il fatto che la maggioranza di chi aveva votato Pisapia, alle scorse primarie, in questa occasione ha comunque scelto Sala, nonostante i differenti suggerimenti del sindaco uscente.

Ma nell’aria, tra le righe di tutto il dibattito, a diminuirne in parte la “gravità”, aleggiava la domanda provocatoriamente avanzata da Simone Spetia: non è che Milano, tutto sommato, si governa da sola? E’ poi così importante la scelta di un sindaco di questa o quella parte politica? Al di là di onestà, trasparenza e pulizia nella gestione del comune, gli amministratori possono davvero fare la differenza per il futuro della città metropolitana?

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