Milano

Passion Fruit al Teatro Fontana: intervista a Rossella Lepore

13 Ottobre 2020

Tornare ad appropriarsi dello spazio teatrale in presenza, recuperare le relazioni, tessere nuovamente – pur nei limiti e difficoltà – la trama di un percorso che in scena, e solo in scena, trova la sua vera essenza. Nonostante le incertezze sul futuro prossimo il Teatro Fontana di Milano presenta la sua ripartenza, con un cartellone ricco di appuntamenti che spaziano dai grandi classici alla stand up comedy, passando per serate musicali, nuove produzioni, ospitalità, corsi di formazione. Una stagione quasi intima, dato il numero limitato di posti a disposizione per le norme anti Covid19, ma tenace, appassionata, capace di dare frutti, come richiamato dal claim scelto dalla direttrice artistica Rossella Lepore: “Passion fruit“. Si segnalano in particolare le quattro nuove produzioni Elsinor: La grande abbuffata firmato da Michele Sinisi e coprodotto con il Teatro Metastasio di Prato (11-23 maggio), Festen. Il gioco della verità coprodotto con Tpe e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con la regia di Marco Lorenzi (2-14 marzo), Very shorts. La possibilità di un’isola, progetto in video realizzato da Marco Lorenzi ed Eleonora Diana e 1 e 95, stand up comedy show prodotto con Teatri di Bari e firmato da Giuseppe Scoditti (4-7 febbraio), ma il calendario è davvero denso di appuntamenti.

Abbiamo parlato del nuovo cartellone con la direttrice Rossella Lepore.

Una nuova stagione molto particolare per il Teatro Fontana come per tutti i teatri d’Italia in questa fase di difficile convivenza con la pandemia. Occorre coraggio per mettere in campo un cartellone ricco e con diverse nuove produzioni: al di là delle ovvie considerazioni legate alla “sopravvivenza” dei teatri, quali sono stati gli elementi che più vi hanno spinto a creare una proposta che, anche grazie alle sue novità, potesse riportare gli spettatori a teatro?

Abbiamo anzitutto cercato di allontanare da noi un “pensiero improduttivo” scoraggiante che a lungo andare diventa vizio anche sociale e ricostruire la nostra comunità di artisti intorno a progetti anche a lunga gittata. E’ affidata a loro la possibilità di parlare al presente e già questo è un elemento di novità.

Nei mesi difficili di lockdown e post lockdown come avete mantenuto vivo il rapporto con gli spettatori? Si può dire che esiste una scena fuori dalla scena, in termini di relazioni e legami?

Nei mesi di chiusura l’interazione col virtuale paradossalmente ha consentito al teatro di continuare ad esistere nello spazio/tempo della rete e l’imprescindibilità di questo processo di relazione col virtuale e l’evoluzione nel rapporto col pubblico che ne consegue ha sollecitato – ad esempio – l’immaginario di Michele Sinisi che ha di fatto riaperto i battenti del Fontana con Macbeth, una storia teatrale di trasformazione spaziale on line nella sola giornata del 15 giugno.La comunità virtuale che si è costituita in un momento storico in cui era fisicamente impossibile stare nello spazio tradizionalmente chiamato teatro ci ha insegnato che il teatro è essenzialmente relazione col tempo presente e non è una “formula estetica statica, non è un brevetto da utilizzare”(rubo le parole a Sinisi) In questo senso la scena fuori dalla scena esiste ed è tutta da esplorare e da riguadagnare, è un rapporto tutto da ricreare.

Delle quattro nuove produzioni tre sono fortemente legate al mondo filmico, al video, all’immagine su pellicola. La distanza da scena e pubblico ha in qualche modo influito sull’esplorazione di questo tipo d’intersezione o erano progetti già in cantiere prima del grande periodo della mediazione da schermo?

La genesi degli spettacoli ispirati a materiali cinematografici è ante-covid e penso che siano 2 gli elementi che hanno giocato a favore di questa scelta, la possibilità di libertà espressiva che offre un materiale filmico e la presa su un immaginario collettivo che i materiali di Ferreri (mi riferisco in questo caso alla Grande abbuffata) hanno oltre al fatto che si tratta di un autore irregolare, sporco, scorretto anche nella sua grammatica espressiva e proprio per questo rimosso dal panorama. in realtà è stato un grande incubatore di temi che nella nostra contemporaneità possiamo toccare con mano nella loro deriva tragica, dal tema del nutrimento, della dittatura materialistica dell’oggetto sia esso il cibo, il corpo, il sesso. Un elemento importante che sta alla base di questa scelta è anche la riflessione che al nostro interno va avanti da un po’ sulla produzione di immaginario “popolare” che il teatro sembra aver in gran parte reciso come se non gli importasse intercettare l’inconscio collettivo e la fame di identificazione che continua ad esistere rivolgendosi però ad altri ambiti (cinema, tv).

Stand up comedy: un genere che sta riscuotendo grande successo negli ultimi tempi in Italia, dove tradizionalmente, a differenza dei paesi anglosassoni, non è molto “frequentato”. Immaginate che questo genere possa trovare maggior spazio anche a teatro nel prossimo futuro?

La stand up può essere vettore di politicamente scorretto e di creazione di storie, un contenitore drammaturgico al passo con i tempi. La sua “crudeltà” che si nutre anche della solitudine dell’attore che si deve guadagnare il rapporto col pubblico senza sconti e senza fallire l’appuntamento della risata – cosa difficilissima- penso che sia il suo punto di forza in questi tempi crudeli.Mi auguro che il teatro possa dargli spazio.Sarebbe come nella musica essere fermi a Claudio Villa e non prestare orecchio al rap…o alla trap.

Quali sono le maggiori preoccupazioni di chi fa teatro (e spettacolo dal vivo in generale) in questa fase? Quali potrebbero essere gli aiuti utili a una ripresa che sia anche rilancio e come il pubblico può giocare il suo ruolo in questo momento?

La mia personale preoccupazione, al momento, è che venga avvertito e raccolto come occasione l’invito al cambiamento che i tempi che stiamo vivendo ci indicano come necessario, immaginare un nuovo sistema dello spettacolo dal vivo dovrebbe essere la nostra priorità, sganciarsi dalla rincorsa ai numeri, coltivare l’anticonformismo, avere tempo per la ricerca, considerare lo spettacolo come un corpo vivo che dialoga col presente e non come un prodotto più o meno vendibile, interrogarsi seriamente su cosa rende il teatro residuale, intercettare i bisogni e i temi della gente e non semplicemente i suoi gusti, e quindi accontentarsi di quello che ha funzionato nel passato chiudendosi in una zona protetta.

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