Milano

Passera si allea con Parisi: a Milano prove tecniche per un nuovo Centrodestra

9 Aprile 2016

Passare da macchietta a ago della bilancia in pochi minuti è possibile. Per informazioni, citofonare a Corrado Passera. Col suo ritiro alla corsa per il sindaco di Milano, a poco meno di due mesi dal primo turno, e l’accordo con il centrodestra milanese di Stefano Parisi, l’ex banchiere ed ex ministro riesce infatti a ritagliarsi un ruolo centrale, almeno simbolicamente, e potenzialmente non solo, nella partita milanese. All’osservazione razionale si dirà che Passera ha investito un sacco di soldi in una campagna che lo ha portato al ritiro. È vero: ma se quel che conta è il risultato, da adesso in poi un risultato non più scontato da tempo diventa davvero incertissimo. E la partita milanese, già centrale per tante ragioni negli equilibri nazionali, acquisisce ulteriore sapore.

Il passaggio che registriamo oggi avviene, anzitutto, in un momento nazionale particolare, e destinato a durare. Siamo probabilmente al punto più critico e difficile per Matteo Renzi e la sua leadership da quando essa ha preso forma: prima di guida del Partito Democratico e poi del governo. Il ricordo del bagno di consenso delle Europee del 2014 e di quel 40% abbondante di consensi necessità di essere rinverdito sul campo, ma il campo è arido e gli scricchiolii sono sempre più sinistra. Li ha raccontati su queste pagine Gianluca Roselli, mettendo in fila gli scandali di appena ieri e gli incerti appuntamenti elettorali di domani. La scena si svolge su un basso continuo di congiuntura economica non felice rispetto alla quale le scelte del governo, al di là della propaganda, non hanno funzionato come argine. La sfilza di appuntamenti elettorali di varia natura, che Renzi ha trasformato più o meno esplicitamente in ordalie sulla sua persona e sul suo governo sono tante: il referendum sulle trivelle di domenica prossima, poi le elezioni comunali – dove alla rilanciata centralità di Milano, si assomma quella tutta nuova di una Napoli che il premier sta prendendo di petto, e quella di Roma, per diritto costituzionale -, infine il referendum istituzionale. Solo su quest’ultimo il segretario premier ha giocato la carta pesante del voto di gradimento sulla sua permanenza in politica, ma le tappe di avvicinamento non potranno essere ridotte a mere partite locali, al di là di ogni dichiarazione in tal senso.

Nel campo milanese, peraltro, già tira l’aria della tempesta perfetta. Sempre più lontano, nel tempo, il vento expoentusiasta e quello della rinascita milanese delle scorse stagioni, si son rafforzati un poco alla volta tanti segnali che hanno trasformato la candidatura di Sala da cavalcata trionfale a camminata tranquilla ma in cui era d’obbligo la prudenza fino – ed è storia di oggi e di domani – sentiero difficile in terra ignota. Prima il percorso delle primarie, la discesa in campo di Giuliano Pisapia nelle vesti di avversario ufficiali, una vittoria fragile e con tante incognite, per Sala. Dopo le primarie gli strascichi: lunghe settimane a parlare di liste, accordi, le continue polemiche di Francesca Balzani e il suo rifiuto di candidarsi, certo non mitigata da un formale “darò una mano”. Il fantasma dei conti di Expo sempre ad agitare le notti, i tanti nemici a sinistra che con il manager non ci vogliono stare, la casa in Svizzera dimenticata su documenti in cui doveva invece essere ricordata, la cena coi milanesi a Londra organizzata da Davide Serra proprio nei giorni in cui esplode il caso mondiale dei Panama Papers. E poi, proprio mentre si inizia a pensare (e a sperare, dalle parti di Sala) che la spinta propulsiva del buon candidato Stefano Parisi si stesse pian piano esaurendo, soprattutto sotto i colpi inferti dalla sua compagine di alleati, ecco che arriva la notizia di Passera. Accreditato di un generoso 6% nei sondaggi dopo una campagna costosissima e vagamente inconcludente, il fatto stesso che l’accordo con Parisi sia innegabilmente significativo, dal punto di vista politico, dice dello stato di salute della compagine avversaria. Ora, è evidente che non tutti i potenziali voti di Passera finiranno su Parisi, ma altrettanto è chiaro che lo schema e le proporzioni cambiano. Il distacco al primo turno si riduce e il valzer diventa un tango.

La presa dunque si fa più stretta e la partita più tesa. Il tre a zero del primo tempo e un tre a due a metà della ripresa, e le energie, soprattutto mentali, sono quelle che sono. Ancora una volta Milano torna ad essere laboratorio e vera cartina di tornasole del paese e del suo destino politico futuro. Qualora Sala e il centrosinistra alla fine uscissero vincitori, si potrebbe comunque dire che nella metropoli più ricca, internazionale e innovativa del paese, e per di più avendo contro un centrodestra ampio e compatto e un candidato più che presentabile, il partito democratico a trazione renziana sa vincere, nonostante tutto. In caso di vittoria risicata, al centrodestra non mancherebbero elementi di consolazione e germi di futuro su cui lavorare seriamente: ma la realtà resterebbe questa. Ma in caso di una sconfitta, magari accompagnata da altre sconfitte su piazze importanti come Roma o Napoli, sarebbe difficile relativizzare il voto delle comunali, e quello di Milano, come un piccolo incidente di percorso. Si arriverebbe con gli assetti attuali al referendum di ottobre, molto probabilmente: ma quell’appuntamento, una verifica “alta” prevista dalla Costituzione nei casi in cui si cambiano le regole fondamentali, diventerebbe inevitabilmente l’agone pieno di fango di una sfida all’ultimo sangue. E chi ci arriverebbe con il vento in poppa, in quel caso, non sarebbe di certo Matteo Renzi.

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