Milano

Paolo Pettinaroli, un uomo da non dimenticare

12 Aprile 2015

Con Paolo Pettinaroli se ne va non solo una persona di grandi qualità, ma un modello di vita e di impegno civile.

L’8 ottobre 2001 a Linate un jet privato, davanti al bivio fra i raccordi R5 e R6, imboccò nella nebbia quello sbagliato, finendo per urtare un aereo SAS in decollo. Le vittime furono 118, fra loro c’era il figlio di Paolo Pettinaroli, persona retta e pratica, con una lunga carriera di manager alle spalle. Negli ultimi giorni i media si sono scatenati su come Germanwings avrebbe dovuto prevedere la pazzia suicida di un proprio pilota, compito obiettivamente arduo, allora Paolo Pettinaroli dovette constatare che la morte di suo figlio era dovuta alla banalità del pressapochismo e del menefreghismo.

Quell’8 ottobre a Linate c’era el nebiun, quella tipica fitta nebbia lombarda, diventata rara con il riscaldamento globale e la diminuzione dell’inquinamento. Da tempo era fuori uso il vecchio radar di terra che pionieristicamente era stato installato nel nebbioso aeroporto della Milano del boom. Cambiati i tempi, nella superficiale Milano da bere il nuovo radar di terra ammuffiva da tempo in attesa di essere installato. Il povero controllore di volo, a cui rimase il cerino penale in mano, non aveva alcun modo di capire che il Cessna Citation aveva imboccato il raccordo sbagliato, la segnaletica a terra non era all’altezza e non aveva lanciato allarmi al pilota. Le norme burocratiche non imponevano di avere le migliori attrezzature possibili in un aeroporto di ridotte dimensioni, ma di grande traffico e il controllore di volo, seguendo le norme, avrebbe invece dovuto autorizzare il movimento di un solo aereo alla volta, cosa incompatibile con quel grande traffico e che infatti non si faceva mai.

Anche se nulla avrebbe mai potuto restituirgli il figlio, Pettinaroli volle trasformare il proprio lutto in qualcosa che andasse a beneficio degli altri, creando la Fondazione 8 ottobre 2001 – Per non dimenticare, a cui ha dedicato il resto della propria vita. Nonostante il nome, la Fondazione non si è limitata a non dimenticare il lutto dei parenti, ma vuole ricordare che senza il massimo dell’impegno e della tensione verso il miglioramento non ci può essere il progresso verso la massima sicurezza possibile e, più in generale, il progresso.

Pettinaroli era forse un uomo di altri tempi, diceva solo poche parole asciutte per spiegare il doppiogiochismo dei politici ipocriti che incontrava e che lo consideravano un rompiscatole, per commentare le sentenze emesse in base a norme ottuse che pretendono un rispetto formale, ma non risultati pratici e che non hanno impedito che a Linate ci fosse il secondo peggior incidente a terra della storia dell’aviazione mondiale. Pettinaroli e la Fondazione che gli sopravvivrà hanno dato i propri sforzi perché la sicurezza aerea fosse un impegno costante, non affidato solo allo Stato che, se lasciato al proprio narcisismo, legifera norme astratte e di fatto inapplicabili, ma anche alla società civile, a cui spetta il compito di controllare e pungolare la pigra Autorità.

Quel che vale per la sicurezza aerea vale per tutto, in questo Paese di iperstatalisti che passano il tempo a lamentarsi dello Stato, Paolo Pettinaroli ha dimostrato che si migliora soltanto rimboccandosi le maniche, chiedendo conto al potere, senza mollare mai e considerando questa non un’attività eccezionale, ma normale dovere e diritto del cittadino.

Di Paolo ricorderò soprattutto questa naturalezza dell’impegno civico e di come fosse insopprimibile lo stimolo al miglioramento a 360 gradi, di come, mentre commentava la sentenza definitiva che salvò i burocrati inetti, mi prendeva tra le mani il bavero della giacca per lodare il fabbricante del tessuto. Serietà, tenacia, impegno, altruismo, questi erano i suoi valori e dovrebbero essere i valori di tutti, se vogliamo uscire dalla nebbia morale che avvolge il Paese.

 

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