Milano
Nuovo stadio a San Siro: i milanesi non lo vogliono
Un nuovo stadio, dunque, è alle porte, nonostante il disaccordo del 75% circa dei milanesi, che gli preferirebbero una rilevante ristrutturazione del vecchio Meazza. Quando si costruì la prima “versione” dello stadio di San Siro, quasi un secolo fa, nel 1926, la campagna la faceva ancora da padrona. E la zona era solo Stadio, null’altro, se non un po’ distante la chiesetta che dava il nome alla località, San Siro alla Vepra, vicino a piazzale Lotto. Tutt’intorno, solo prati e alberi e nessuna abitazione. Le case iniziarono a sorgere nel 1934, quando l’Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP), divenuto poi ALER (Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale) negli anni Sessanta, iniziò a realizzare il quartiere San Siro, una svolta decisa nel campo della sperimentazione dell’edilizia popolare.
Quel piccolo gioiello realizzato dall’architetto Albini è diventato oggi l’esempio più evidente del degrado abitativo di Milano. Perché, nel tempo, la cura e la manutenzione degli alloggi si sono definitivamente perdute; piazzale Selinunte viene descritta come una sorta di banlieue parigina, dove regna l’occupazione selvaggia, l’invasione degli immigrati irregolari, e dove le tensioni sociali sono all’ordine del giorno.
Il quartiere di San Siro è spaccato nettamente in due parti, diviso da un “muro invisibile” che corre lungo tutta la via che porta appunto allo stadio, che parte da piazzale Zavattari passando da piazzale Segesta e piazza Axum: a nord i ricchi, a sud i poveri, senza alcuna capacità e volontà di comunicazione, tra queste due aree così in netto contrasto tra di loro.
Secondo l’indagine svolta nei giorni scorsi dai miei 200 studenti, all’interno del corso di laurea di Comunicazione e Società della Statale, il tasso di soddisfazione per la qualità della vita in zona è dunque nettamente differente: a San Siro Nord è superiore all’85%, simile alle aree milanesi dove alto è il benessere; nella zona Selinunte si riduce di quasi 30 punti, uno dei livelli più bassi dell’intera città.
Il muro invisibile divide il quartiere da tutti i punti di vista: la parte nord è la San Siro borghese, con piccoli condomini e ville eleganti immerse nel verde, dall’Ippodromo su fino al parco di Trenno, e con diverse strutture sportive, dove vivono calciatori e personaggi illustri del mondo dello spettacolo e del cinema.
Volgendo lo sguardo dall’altra parte, a sud, le cose cambiano decisamente. Al posto del verde e delle ville, troviamo le case popolari e i palazzi dell’edilizia degli anni 60 (il “Piano Fanfani”), inizialmente ben tenuta ma poi degradatasi costantemente, senza alcuna cura estetica. Qui il verde scompare, e i suoi abitanti sono di tutt’altro tipo; immigrati in prevalenza (nella zona intorno a piazzale Selinunte si calcola che si arrivi al 40% circa, più del doppio del resto di Milano), occupanti abusivi, pochi vecchi abitanti della zona, citofoni con una larga predominanza di cognomi stranieri e negozi con nomi arabi, donne velate, una marea di bambini che giocano nei campetti di calcio improvvisati, pochi servizi commerciali, dopo la chiusura del mercato comunale di viale Aretusa.
Insomma: un’altra vita, un’altra città, considerata da chi vive nella zona nord come un’area degradata, pericolosa, abitata da persone con cui non si può avere alcun tipo di rapporto sociale. L’ambiente multietnico che si trova nella parte sud di San Siro praticamente non esiste a nord, dove infatti di rado appaiono, oltre piazzale Segesta, il confine reale tra nord e sud, persone immigrate o di colore.
Una contraddizione che dovrebbe essere sanata al più presto, prima che i conflitti sociali si ingigantiscano. E la domanda sorge dunque spontanea: il progetto del nuovo stadio, magari con un alto livello di sostenibilità ambientale, potrebbe essere una prima pietra, un primo passo per il risanamento della zona, per lo sviluppo dell’area? La risposta è no. No, perché il nuovo insediamento, pur con il rispetto dell’ambiente che il sindaco chiede a gran voce, crescerebbe proprio nella zona dei “ricchi”, nella parte del quartiere dove già benessere, servizi e verde sono presenti in maniera massiccia, restando molto lontano dalle aree più degradate, dalla zona sud di San Siro, quella in evidente sofferenza.
Certo, il quartiere Nord ne risulterebbe ancora più abbellito, i prezzi delle case cresceranno ancor più, i ricchi diventeranno super-ricchi ma, certo, tutto questo non si trasformerà realmente in un abbattimento delle più evidenti disuguaglianze presenti in quell’area, a poche centinaia di metri l’una dall’altra.
*Una prima versione di questo articolo è uscita su Repubblica Milano il 26 ottobre
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