Milano

“Non ci sono liberatori, ma uomini che si liberano”: la Resistenza del “Ribelle”

25 Aprile 2015

il-ribelle1“Non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano”: era questo il motto del “Ribelle”, il giornale delle brigate partigiane “Fiamme Verdi”, formazione di ispirazione cattolica operante in Lombardia tra il 1943 e il 1945.

Espressione di una Resistenza alleata ma non dipendente dalla galassia social-comunista e alternativa anche all’azionismo, le Fiamme Verdi raccolsero militari, civili e religiosi pronti a prendere le armi per combattere l’occupante nazista e i suoi alleati fascisti in nome del riscatto dell’Italia e dell’avvento di una società nuova.

Una “nuova città” che fosse “più libera, più giusta, più solidale”, in una parola più cristiana, come scriveva il giurista lombardo Teresio Olivelli nel manifesto programmatico del giornale, steso già nel 1943 “Per questa società nuova lottiamo, giorno per giorno, perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano. Lottiamo per una più vasta e fraterna solidarietà degli spiriti, e del lavoro, nei popoli e fra i popoli; anche quando le scadenze paiono lontane e i meno tenaci si afflosciano: a denti stretti anche se il successo immediato non conforta il teatro degli uomini, perché siano consapevoli che la vitalità d’Italia risiede nella nostra costanza, nella nostra volontà di risurrezione, di combattimento; nel nostro amore.”

Il Ribelle, che uscì saltuariamente a partire dai primi mesi del 1944, si ispirò sempre ai princìpi del cattolicesimo democratico di tradizione lombarda, ma senza mai divenir un giornale confessionale e anzi restando sempre un foglio intimamente laico, aperto al confronto e alla dialettica politica e ideologica. I ventisei numeri distribuiti fino alla fine del conflitto vennero stampati in diverse decine di migliaia di copie e videro il contributo di personalità eminenti della lotta partigiana e della vita politica italiana postbellica: tra gli altri, giova ricordare Laura Bianchini, don Giovanni Barbareschi, Luigi Ertoli, don Giovanni Vender, Dino del Bo, David Maria Turoldo.

Tra i fondatori, con Olivelli, vanno ricordati Carlo Bianchi e Claudio Sartori. I primi due, attivi anche nella lotta armata contro i nazifascisti, vennero sorpresi ed arrestati: Bianchi morì fucilato nel campo di transito di Fossoli nel 1944. Olivelli morì nel campo nazista di Herbruck, in Germania, facendo scudo con il proprio corpo ad un altro prigioniero ucraino malmenato dalle guardie.

Il Ribelle, che continuò ad uscire anche dopo la morte dei suoi fondatori, si mostrò sempre aperto ai contributi e alle suggestioni che gli derivavano da altre formazioni e da partiti politici di ispirazione non cristiana. Era espressione di quel cattolicesimo “democratico” non troppo ben visto dalle gerarchie vaticane facente capo al milieu culturale del capoluogo lombardo che avrebbe poi dato alla Chiesa un papa come Paolo VI ma anche un prete “scomodo” come Don Primo Mazzolari (che non a caso pochi anni dopo pubblicava articoli dai titoli “scandalosi” come “siamo tutti comunisti”).

È un’eperienza, quella del Ribelle, che può essere accostata a quella di un altro giornale partigiano, ben più famoso e celebrato: il noto Combat francese, animato dalle maggiori personalità della Francia anti-petainista – Albert Camus in primis.
Un foglio, Combat, che certo auspicava l’instaurazione di una repubblica socialista e non cristiana; ma un foglio che, come Il Ribelle, propugnava una “rivoluzione dello spirito” pluralista, laica, tutta tesa alla conquista delle libertà politiche e civili e al perseguimento di una giustizia sociale vera e concreta.
Una “rivoluzione” che non poteva essere affidata altro che agli uomini, non a Dio e non alla storia. Una “rivoluzione” che ben si attagliava alla concezione camusiana dell’assurdo e della rivolta, implacabile nel denunciare la condizione dell’uomo e inappellabile nel sentenziare la necessità ineludibile di una reazione.
Piace pensare che, al fianco di quella di Combat, la firma di Camus avrebbe ben potuto figurare sotto la testata del Ribelle. E che al futuro premio Nobel non sarebbe affatto dispiaciuta quella frase, “Non ci sono liberatori ma solo uomini che si liberano” che del Ribelle fu il motto e il programma.

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