Milano
Nel posto sbagliato, al momento sbagliato
In uno splendido passaggio di “Sulle spalle dei Giganti” di Eco, nel capitolo dedicato alla lettura della Milanesiana tenutasi sulla Bruttezza, viene illustrato un concetto semplice e spesso ignorato: se la bellezza ci porta ad assaporare il sublime creando in noi un moto interiore di cui siamo gli unici ad avvertirne pienamente la portata e il valore, la bruttezza ci porta invece ad una reazione contraria: ci fa reagire esternando il disgusto, lo sgomento, la rabbia, l’indignazione.
Il 25 aprile nasce come moto di sentita rivolta verso qualcosa che, se non fosse stato sufficientemente “brutto”, non avrebbe suscitato nelle persone alcuna necessità di rivolta. Negli anni passati faceva (e i neofascisti a Milano ieri ci confermano che lo fa ancora) comodo pensare che si sia trattato unicamente di un fatto politico, ma chi ha avuto la fortuna di avere nonni e bisnonni in grado di raccontare quei giorni come reali testimoni dei fatti, o semplicemente possiede un’onestà intellettuale non particolarmente guidata da ideali e nostalgie emotive, sa che la questione era molto più vasta di così, e che un singolo uomo già decaduto politicamente, colpevole di aver “fatto alleanze sbagliate”, e rimpianto perché in grado di “far arrivare i treni in orario”, non è mai stato il punto focale.
Quel che conta è cosa rappresenta il Fascismo per chi ancora oggi si sente in dovere di elogiarlo e non si capisce bene né perché lo faccia, né su quali basi storiche, concettuali o adattative, considerando quanto il mondo contemporaneo, quello in cui mediamente è nato è cresciuto chi lo reclama, sia così diverso e lontano dai racconti che lo riguardano e richieda sempre più a gran voce una sola cosa in ogni direzione: libertà. Libertà di essere ciò che si è, di volere ciò che si vuole, e di esprimere ciò che si pensa.
Concetti esplosi e che si espandono a macchia d’olio in ogni ambito col passare degli anni, e che non avrebbero avuto modo di avere un principio, qui in Italia, se qualcuno non avesse deciso che era ora di smetterla di fare “come volevano gli altri”. Chi di noi, istintivamente, individualmente, intimamente, accetterebbe mai oggi una cosa del genere nella propria vita? Forse solo chi non ha sufficiente considerazione di sé, o non possiede un amore abbastanza ardente per la propria libertà.
Questa è l’eredità del 25 aprile, qualcosa che è partito da un atto politico, ma che non ha nulla a che fare con la politica: è una libertà su cui possiamo appoggiarci ogni giorno, che si manifesta ogni volta che decidiamo di non farci sottomettere come se fosse un atto dovuto, di non soccombere a situazioni in cui ci troviamo nostro malgrado e che ci fanno pensare non siano ribaltabili, di non obbedire a ciò che non sentiamo giusto come fossimo marionette e, in definitiva, di prenderci autonomamente il potere di imbracciare tutte le armi che abbiamo a disposizione per far sì che anche le cose che vogliamo noi abbiano la stessa dignità e lo stesso diritto di esistere, né uno scalino sopra né uno sotto a quelle degli altri, ma esattamente come quelle di tutti gli altri. Non è necessario avere particolari abilità o competenze per fare questo: basta volerlo con forza, con coraggio e con speranza.
Siamo quindi lieti di vedere che, per la prima volta, assistere allo spettacolo dei neofascisti manifestare in Piazzale Loreto non ci tocca più come un tempo: la bruttezza è finita, e se a Milano le si lascia alzare la voce è solo per educazione e indifferenza, un po’ come sulla metro oggi con chi non ci arriva a capire cos’è la civiltà, un po’ come le passeggiate composte di ieri di chi alla fine ce l’ha fatta e sa quanto ha pagato per quel passo tranquillo e pesante.
Buon 25 aprile.
Buona Liberazione.
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