Milano
Milano: Urbanistica o teatro dell’assurdo?
Qualche giorno fa si è svolta una prima votazione sul cosiddetto decreto “SalvaMilano” (provvedimento molto discutibile); si presume quindi che nei prossimi giorni il dibattito pubblico sarà egemonizzato da questo evento con le solite tifoserie contrapposte.
Toni manichei che si ritrovano purtroppo anche nei resoconti giornalistici e negli interventi pubblici che si riferiscono agli esiti delle attività della Procura rispetto alle vicende dell’urbanistica milanese.
Come noto sono state avviate diverse indagini dalla Procura che si concentrano sul tema della rigenerazione urbana, in particolare sulla classificazione come “ristrutturazioni” di interventi che prevedono la demolizione di edifici esistenti, sostituiti dalla costruzione di nuovi fabbricati con altezze, sagome e volumetrie significativamente maggiori.
Questi interventi sono stati realizzati tramite semplici procedimenti di Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.), anziché attraverso Piani Attuativi o Permessi di Costruire, che avrebbero comportato oneri economici ben più elevati. In sintesi, vengono contestate violazioni della normativa urbanistica, con due principali conseguenze: una sottostima degli oneri di urbanizzazione dovuti e un aumento illecito delle superfici e delle volumetrie realizzabili rispetto ai limiti previsti.
Val la pena ricordare che il termine urbanistica si associa tradizionalmente a quelli di urbs, civitas e polis e al relativo significato. Un richiamo preliminare importante e non un vezzo, perché proprio la ricerca di queste tre definizioni nelle vicende qui raccontate ne aiuta la corretta comprensione.
Questa Amministrazione sull’urbanistica non ha brillato e non si è affrancata rispetto alla direzione di marcia delle precedenti Giunte di centro-destra. Secondo chi scrive, sia nel merito che nel metodo, il punto più basso è stato toccato in occasione della vicenda Scali ferroviari. Ma gli episodi sono tanti e hanno generato una diffusa insoddisfazione che finisce per schermare e offuscare nell’opinione pubblica la capacità di leggere correttamente i fatti e le relative conseguenze.
Vediamo di capirci qualcosa e cominciamo silenziando il rumore di fondo e ponendoci delle semplici domande.
- Esiste a Milano una cerchia di immobiliaristi-amministratori-consulenti-professionisti che fanno “affari” sull’urbanistica fuori dalle regole comuni?
Ma certo che si. Basta consultare la mappa delle sliding doors che consentono a qualcuno (non a tutti, ovviamente) un giorno di essere progettista o consulente e l’altro Commissario o Autorità terza del mondo accademico, l’altro ancora Assessore, in un continuo susseguirsi di parti in commedia. I veterani ricorderanno bene che questo schema Milano lo ha già visto e interpretato ai tempi di Don Salvatore Ligresti e della sua formidabile rete di connivenze. Oggi come allora, il sistema appare sostenuto da una rete di ruoli intercambiabili, creando un circuito chiuso che mina la fiducia pubblica. E allora è più importante lavorare sugli effetti o sulle motivazioni che generano e tengono in piedi “il sistema”?
- Le indagini della procura stanno operando rispetto al “giusto livello” e alla giusta direzione per distinguere chi alimenta e chi subisce questo importante traffico di influenze?
Difficile rispondere in modo positivo, se non in modo molto marginale e parziale. I veri beneficiari del sistema sono solo in parte rappresentati nella lista degli indagati ………… a meno che non si voglia sostenere (a proposito dei funzionari) che qualche costruttore abbia pagato mazzette in cambio di atti dovuti derivanti dall’applicazione – sic et simpliciter – di una norma vigente (buona o cattiva che sia). E qui arriviamo alla domanda successiva…
- Qual è la natura dello scambio?
Il tema ineludibile della vicenda è proprio questo; la messa a fuoco delle transazioni, della natura degli scambi. Chi ha ottenuto vantaggi, per mezzo di quale strumento azione/comportamento e in cambio di che cosa? E qui dalle notizie pubblicate rispetto alle indagini si fa fatica a trovare una logica a meno che non si accetti la tesi implicita nelle indagini della Procura che porta a considerare questo pasticcio come l’esito delle azioni combinate di una allegra combriccola di azzeccagarbugli. I conti non tornano; per il profilo dei personaggi, la dimensione degli interventi, la pervasività dei meccanismi, la pletora di attori attivamente o passivamente coinvolti. Forse bisognerebbe innalzare sguardo e livello dell’indagine.
- E la politica?
Nelle indagini della procura e nella discussione tra tifoserie è completamente assente la politica intesa sia come luogo di riflessione, dialettica e scontro/ricomposizione di interessi finalizzati alla generazione di un modello urbano, sia come ceto di persone che quelle regole, oggi tanto discusse, le ha scritte, votate e approvate.
Come ceto che quegli amministratori, quei consulenti, progettisti o maitre a penser oggi sotto la lente di ingrandimento per i disinvolti comportamenti in carriera, li ha selezionati, promossi, protetti. E sconcertante è il silenzio dei politici (soprattutto eletti, di maggioranza e opposizione) che di solito in funzione della ricerca di visibilità ci deliziano su qualsiasi argomento, soprattutto se si tratta di questioni che non hanno una relazione diretta col proprio mandato. Eppure su questa questione sono insolitamente cauti e riservati. Fatto che appare insolito e lascia spazio a dubbi sulla loro responsabilità. È legittimo chiedersi se dietro questa cautela si nasconda una “coda di paglia”?
- Come ne usciamo?
Probabilmente la pubblica esecuzione di un numero limitato di capri espiatori soddisferà l’ambizione di qualche procuratore, l’ego di qualche giornalista complottaro che vede mazzette ovunque, laverà pubblicamente la coscienza di molti concittadini benpensanti. In caso di approvazione del “Salva Milano” si butterà un po’ di polvere sotto il tappeto e si potrà ritornare ai soliti affari per una Milano “Più bella che pria”.
Qualcuno avrà avuto la carriera e la vita rovinata ( si sa… sono incidenti che capitano) ma non ci saranno nella dimensione collettiva lezioni da imparare. Il timore è che sarà l’ennesima occasione persa per tornare a riflettere sull’equilibrio delle norme, sia dal punto di vista della legislazione che degli strumenti operativi. Sulla efficacia delle governance in termini di trasparenza degli amministratori, responsabilità degli atti e del voto, sulle modalità e sulle dovute distinzioni e limiti a cui attenersi quando si esercitano funzioni che direttamente o indirettamente si riferiscono alla gestione di beni o temi di interesse pubblico e collettivo. Potremo migliorare come “sistema” se tutti gli attori in gioco sapranno evolvere in una nuova interpretazione del proprio ruolo. Magari introducendo criteri di trasparenza più stringenti nei processi di pianificazione e gestione urbanistica e prevedendo limiti rigidi ai conflitti di interesse, impedendo la transizione frequente di figure professionali tra ruoli pubblici e privati.
Senza una presa di coscienza dei limiti del sistema normativo e della volontà di affrontare l’inefficienza e la sperequazione delle leggi esistenti, ogni dibattito rischia di trasformarsi in caos. Rimanendo prigionieri di una polemica sterile, sospesa tra la spettacolarizzazione del circo e la drammaticità del teatro, incapace di produrre soluzioni concrete.
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