Milano
Boeri: «Milano attenta, la tentazione degli anni ‘80 è sempre dietro l’angolo»
Stefano Boeri sembra molto a suo agio nel nuovo acquario della Triennale di Milano, di cui è presidente da qualche mese. Dopo la politica, tanta passione e qualche delusione, e dopo la progettazione celebratissimo Bosco Verticale, quasi un simbolo della nuova Milano che tanto piace a tutti, a cominciare da sé stessa, l’architetto milanese è adesso concentratissimo sulla Triennale. Si fa quasi fatica a fargli cambiare argomento, “da fare c’è tantissimo e abbiamo davanti anni intensi”. Anche perché è tempo di annunci importanti, impegnativi: “Nel 2019 aprirà il Museo del Design, ci sta lavorando Joseph Grima”, storico collaboratore di Boeri che oggi è tornato a lavorare con lui come curatore per il settore Design, moda, artigianato. “Un museo che deve funzionare come un museo”, prosegue, “mentre oggi Triennale viene percepita come un luogo che non ha una collezione, non ha una permanente. Tra i vari nodi da sciogliere, dobbiamo capire se sarà a pagamento oppure no”. Un 2019 che si annuncia intensissimo, visto che da Marzo avrà luogo anche la 22esima edizione della Triennale, intitolata “Broken Nature” e curata da Paola Antonelli.
L’obiettivo più ampio, non facile, è restituire davvero la Triennale alla città e ai cittadini, al di là della necessaria qualità progettuale che serve per attrarre appassionati e addetti ai lavori. Un equilibrio precario tra ciò che piace a chi segue arte, fotografia, teatro e design, e ciò che serve a una città (o a una regione) intera, per vivere uno spazio unico per bellezza e collocazione. “Se potessi riportare la Triennale alle sue origine, a come l’architettura del Palazzo era stata progettata e realizzata nel 1933, lo farei subito, senza pensarci un attimo. In questa direzione, nel senso di ritrovare almeno in parte l’originarietà duttile di questo edificio, faremo alcuni interventi che secondo me renderanno ancora più godibile lo spazio a tutti. E poi lavoriamo per valorizzare operazioni di qualità ma fatte per appassionare un pubblico ampio”. Come l’omaggio a Jimi Hendrix, da poco concluso: la musica coinvolge e allarga i confini della partecipazione, si sa, e del resto “in origine la Triennale aveva anche una grande sala da ballo”. Onde e suoni potrebbero aiutare anche a valorizzare al meglio le prossime edizioni di Radio City, “magari dialogando con la grande antenna della Torre Branca”.
Al Boeri urbanista e (ormai ex) politico chiedo se doverose opere di valorizzazione di un patrimonio della città, e del suo centro, come la Triennale, non rischiano di approfondire ulteriormente il solco che separa il centro della periferia. Un solco che si fa sempre più largo in tutte le città dell’occidente, che segna spesso il confine tra gli orientamenti elettorali, col centro liberal e progressista e le periferie affascinate dai populismi. Un solco che, infine, comincia a vedersi anche a Milano. “Ci sono sicuramente delle sacche di disagio radicato che pongono alla politica una domanda fondamentale: chi riesce, oggi, facendo politica, a confrontarsi davvero con le questioni che riguardano la vita quotidiana della gente? Beppe Sala, in questo senso, ha fatto molto bene a chiedere di essere misurato su come affronterà il disagio delle periferie milanesi, perché ha posto la questione al centro della scena e dell’attenzione dell’opinione pubblica”. Gli enti culturali come la Triennale, per non diventare luoghi che calcificano le distanze tra élite e popolo, devono “prendere esempio da quel che ho visto di recente alla Scala. L’altro giorno era piena di rappresentanti del mondo dell’impresa e dell’economia reale, in occasione della consegna del premio Impresa e Lavoro. E la sera la Filarmonica ha fatto un grande Concerto Popolare in piazza Duomo. In questo modo, anche in questo modo, si dimostra che la cultura riguarda la vita di un paese intero, il suo tessuto sociale e produttivo, ma anche il suo immaginario”. Per arrivare più lontano, poi, e uscire dai soliti giri, può essere importante “vincere le piccole gelosie di bottega, che pure ci portiamo dietro da decenni, e cercare di giocare di squadra, per esempio immaginando un biglietto unico per entrare anche alla Scala, a Brera, al Piccolo. Attraendo cittadini di tutte le culture e origini”. Ma davvero c’è questa voglia diffusa di cultura? “A giudicare da quanto si riempie piazza Duomo quando suona la Filarmonica della Scala direi di sì”.
C’è lo spazio per qualche recriminazione, se si pensa a come la politica romana continua a trattare Milano. “Penso ad esempio, qualche mese fa, alla scelta ministeriale di destinare 1 milione di euro al Maxxi di Roma per la fotografia, quando in realtà il museo nazionale di fotografia è a Cinisello Balsamo”. Dove peraltro si vota in questi giorni. La fatica di “fare sistema” superando le rivalità, insomma, non dovrebbe riguardare solo le istituzioni milanesi, ma l’intero paese. “In prospettiva candidatura olimpica, ad esempio, mi piacerebbe si tornasse a ragionare sulla capacità di mettere davvero in rete non solo le energie di Torino e Milano, ma anche quelle di Genova. Cosa resta del mitico triangolo industriale? Poco. Ma che potenziale ha per il futuro? Secondo me molto”. La collaborazione tra diversi sistemi cittadini, prosegue Boeri, guarda anche a est: “Pensate, io avevo promosso ArchWeek immaginando che fosse una buona idea lanciarla in contemporanea con la Biennale di Venezia, offrendo a chi la visitava la possibilità di fare anche altro, ad appena un paio d’ore di treno. E invece pare che il presidente della Biennale Baratta si sia arrabbiato”. Pensarsi dentro a una rete più grande, comunque, è anche un antidoto a “una tentazione che Milano ha sempre: quello di ritornare al provincialismo degli anni 80 e alla Milano da bere”. Ad esempio, quando lo si è visto all’opera? “Beh, con il salone del Libro, per dirne una”. Eppure sia il sindaco Sala che il presidente della Regione Fontana “hanno un tratto di modestia che può aiutare a evitare esagerazione e autocelebrazioni”.
Insomma, è Milano la città del futuro?
“Milano è una piccola metropoli, con un potenziale enorme. Ma se dovessi scommettere su una città italiana, se dovessi valorizzare l’opportunità che è data a chi raccoglie dentro di sé tutte le contraddizioni e le opportunità di una città contemporanea, capace di abbracciare l’archeologia e l’architettura, la densità e gli spazi boschivi e marini, il mondo animale e il cinema, non avrei dubbi: punterei sicuramente su Roma”.
(foto di copertina tratta dal sito di Stefano Boeri Architetti)
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