Milano

Milano, Renzi abbraccia Sala: è il sindaco giusto per il Partito della Nazione

1 Maggio 2015

“Grazie Beppe, siamo orgogliosi del tuo lavoro”. Non ha scelto parole formali, non ha utilizzato espressioni di rito per rendere il doveroso merito a Giuseppe Sala, commissario unico di Expo 2015 e amministratore delegato di Expo 2015 S.p.A. Matteo Renzi ha scelto il “Beppe” e ha parlato di orgoglio per quel lavoro. Perché svettasse di più e meglio, perché il ricordo fastidioso di certi episodi si facesse più lontano, Renzi non ha ringraziato Raffaele Cantone, chiamato a vigilare su Expo un anno fa, quando l’emergere di episodi di corruzione e le inchieste giudiziarie sembravano mettere a rischio lo stesso Expo, e non solo la poltrona di Sala. Non ha citato nei ringraziamenti Romano Prodi, che per l’assegnazione di Expo a Milano si spese, eccome, da presidente del Consiglio. Ringrazia invece Giorgio Napolitano e, doverosamente, una Letizia Moratti, senza la quale questo Expo non sarebbe stato e alla quale anche la carriera di Sala come manager pubblico deve moltissimo, ignorata nel suo discorso da Giuliano Pisapia. Da qui, dal grande evento milanese, dice Renzi, inizia l’Italia di domani.

“È il primo giorno di Expo, ma Expo in fondo è già finito”, dicono in tanti che hanno lavorato in prima fila alla realizzazione faticosa e piena di intoppi di questo Expo. Naturalmente Expo è appena iniziato, ma l’espressione rende bene sia la tensione estrema che ha consentito di arrivare, certamente con qualche rattoppo, ma pronti alla mèta, sia il fatto che questi sei mesi voleranno via in fretta e le partite del dopo-Expo già incombono. Cosa succederà sul terreno di Expo, dopo la fine dell’evento, visto che le prime gare sono andate deserte? E come si potrà capitalizzare conservare e trasformare al futuro l’innegabile energia attratta e liberata, a e da Milano, in questi mesi di Expo? E soprattutto, chi si occuperà di tutto questo, da sindaco, dopo che Pisapia avrà terminato il suo mandato e non si sarà ricandidato? Questioni tutte collegate, e la potente benedizioni impartita oggi da Renzi all’Expo illumina in maniera ancora non definitiva, ma certo più chiara, il futuro di Milano.

È noto, infatti, che per il dopo-Pisapia la partita fosse già iniziata ancora prima che lui ufficializzasse la propria non ricandidatura. Noti sono i nomi delle opzioni possibili, nel campo del centrosinistra. Da Emanuele Fiano, renziano di area franceschiniana per anni capogruppo in consiglio comunale a Milano e oggi parlamentare da ormai un decennio, a Pierfrancesco Majorino, minoranza pd e assessore al welfare di questa giunta. Da Umberto Ambrosoli, già candidato alle regionali del 2013, a Stefano Boeri, a suo tempo sconfitto alle primarie di Pisapia e suo ex assessore alla Cultura. L’elenco è sicuramente più ampio e ci sarà tempo per tornarci. Ma l’apertura di Expo, la visita di Renzi, quel che di Renzi si è visto e quel che si è raccolto in queste settimane, gettano una luce diversa sulle vicende, e potrebbero anche suggerire che, dopo tanto silenzio e qualche messaggio subliminale, Renzi potrebbe anche aver deciso di utilizzare i mesi di Expo per prendere in mano, in prima persona, il dossier-Milano.

Fino ad oggi, infatti, il premier-segretario è sembrato lasciare campo alle agitazioni e ai movimenti del Pd milanese. Che ha cercato di prepararsi per arrivare al prossimo appuntamento elettorale con un candidato e una procedura da poter presentare come solida a Renzi stesso, “in modo da evitare commissariamenti e scelte imposte da Roma”, cioè da Renzi. In questo senso l’accelerazione imposta su Fiano poteva rispondere, ad esempio, a questo scopo. Solo che chi osserva da vicino le mosse di Renzi e ne studia i passi, fatica a immaginare che un leader così “energetico” possa lasciare al suo destino Milano, proprio adesso che c’è Expo. Conscio però di un problema strutturale che la sua guida del partito ha con tutti i territori e con le grandi città in particolare, Renzi ha però diverse esigenze nell’anno che separa dalle comunali milanesi del 2016, e nei mesi, 8 al massimo, che separano dalle decisioni irrevocabili.

La prima: scegliere un nome sostanzialmente inattaccabile anche se non facilmente digeribile dalle leadership e dai potentati locali. Scegliere di benedire un nome realmente vincente, che spaventi un eventuale candidatura Salvini e derubrichi altre opzioni di centrodestra a ruolo di mera testimonianza senza possibilità di successo. Trovare il modo di conciliare tutto questo con il dovere – almeno teorico – di fare le primarie. Sui primi due punti, basterà un discreto successo di Expo per dimostrare, comunque, la superiorità della candidatura di Sala rispetto a tutte le altre. Per di più, benché imposta da “Roma”, sarebbe la candidatura più milanese del mondo, e nata e germinata proprio da Expo. Sul terzo punto, invece, il discorso si fa più complesso. Le primarie sono obbligatorie, lo statuto le prevede, ed è difficile non farle. Eppure – Renzi che a quello strumento deve moltissimo lo sa meglio di altri – presentano ormai tanti punti deboli. Una volta aggregavano la voglia di cambiamento e di sfondamento rispetto alla vecchia élite di partito. Oggi sono diventate un obbligo un po’ stanco, e sono uno strumento che spesso si ritorce contro le scelte del partito, e mostra le crepe del processo di elezione dell’era renziana. Oltre tutto, è fin da ora immaginabile che Sala – già sondato di recente dai renziani di Milano e Lombardia – ponga come condizione per una sua candidatura la possibilità di essere candidato direttamente, evitando le primarie.

È ovviamente presto per dirlo adesso, ma è chiaro che, qualora questo fosse il percorso verso il quale Milano è avviata, le prossime comunali potrebbe anche costituire l’occasione per un nuovo “laboratorio”: quello che ripensa lo strumento delle primarie e, eventualmente, ne ammorbidisce i toni del dovere in una più elastica opzione da attivare caso per caso. Con Sala candidato, già sindaco in pectore, sottratto al centrodestra che lo sogna come candidato per uscire dall’angolo ed offerto, invece, ad un elettorato unitario, moderato, liberal, progressista, centrista o conservatore che sia, ma di sicuro contento (si spera) perché l’Expo sarà andato bene. L’elettorato tutto del “partito tutto” di Renzi: che continuerà con ogni probabilità a chiamarsi democratico, ma sarà di fatto quel Partito della Nazione più volte vagheggiato. E per le novità politica – la storia è lì a dirlo – Milano è sempre un ottimo posto dove sperimentare. Restano, sullo sfondo, un paio di incognite. La prima, quella di un partito che in questa città ha preso il 45% e farebbe sicuramente fatica a digerire la nomina di un uomo non del Pd, di un Papa straniero proprio adesso che la città si era scoperta pro-democrat. La seconda, la spada di Damocle di nuove e future inchieste e indagini su Expo e i dossier annessi. Nonostante il garantismo (a corrente alternata, invero) sposato da Renzi, la questione non è di poco conto e rischia di pesare sul futuro di Milano, e di chi si candida a governarla.

 

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