Milano
Milano, il piano freddo diventa un progetto di inclusione che dura tutto l’anno
Milano, dicembre, dopo un autunno mite, puntuale arriva il freddo. Non è più il freddo di una volta, ma il termometro intorno a zero gradi rischia di mettere in pericolo la vita dei senza tetto che dormono all’aperto nelle diverse zone della città. Avvolti da coperte e sacchi a pelo donati dalle diverse associazioni, che come ogni anno si prodigano per alleggerire la loro disagiata condizione, sfidano le avverse condizioni climatiche. In queste poche righe emerge il dramma di queste persone, ma non si può restare indifferenti ad un problema che affligge la città da molti anni, un problema mal sopportato dai cittadini milanesi, soprattutto da quelli che vivono o frequentano per lavoro queste zone, diventate luoghi da evitare, luoghi che per le persone disagiate si trasformano in camera da letto, cucina, bagno, tutto in pochi metri, all’aperto, al freddo, sul suolo pubblico, che assorbe rifiuti, avanzi di cibo, e i resti dei loro inevitabili bisogni. Inutile essere ipocriti, a molti queste persone danno fastidio, pur comprendendo il loro disagio, diventano un problema, non solo di decoro, ma spesso anche di sicurezza. Anche tra loro, come in tutte le piccole comunità, non ci sono solo persone educate, che pur nella loro disagiata condizione cercano di recare meno fastidio possibile al prossimo, ma sono presenti delinquenti, che si comportano diversamente.
L’Assessore al Welfare e Salute del Comune di Milano, Lamberto Bertolè, ci racconta che il piano freddo a Milano negli ultimi 10 anni si è rafforzato e non è più un piano emergenziale, ma un’organizzazione strutturata che ha come obiettivo quello di iniziare un percorso di reinclusione e accompagnamento all’autonomia, soprattutto con quelle persone che da anni vivono una situazione di marginalità, spesso con conseguenze sulla loro salute mentale “L’impegno è massimo, ma non sempre i nostri operatori riescono a portare a casa il risultato: è bene ricordare, infatti, che la decisione di accettare un ricovero nei centri cittadini deve essere una scelta libera. Non è assolutamente possibile obbligare nessuno ad andare nei centri, per cui il lavoro che i bravissimi operatori del Comune e delle associazioni del Terzo settore che collaborano con l’Amministrazione gestendo il servizio di Unità mobili notturne e diurne cercano di fare quotidianamente è quello di avvicinare queste persone, provare a creare una relazione e convincerle a recarsi al Centro Sammartini per iniziare un percorso. Il Comune mette a disposizione migliaia di posti da novembre a marzo proprio per assicurarsi che chiunque voglia ospitalità abbia la certezza di avere un posto.”
Ne parlo anche con Mario Furlan, Fondatore e Presidente dei City Angels, associazione che dal 1994 a Milano si preoccupa di portare aiuto e soccorso alle persone in difficoltà. Sposa in pieno le parole dell’Assessore Bertolè, ovvero che il problema intanto va affrontato tutto l’anno, agire solo in inverno significa tamponare solo il momento più critico: “in primavera ci sentiamo male quando dobbiamo dire ai senza tetto di abbandonare i nostri centri di accoglienza. La questione non è solo umanitaria, c’è un problema di recupero di queste persone” Furlan è convinto che oltre la metà dei senza fissa dimora possa essere recuperata con un percorso di sostegno, di preparazione e formazione, solo così possono essere recuperati.
“Il progetto è a lungo raggio, non è sufficiente ospitarli nei nostri centri solo durante i quattro mesi della stagione fredda. Il centro di accoglienza di Milano intitolato a Elio Fiorucci, che ci disegnò il logo e ci regalò le prime divise, è in grado di ospitare le persone tutto l’anno, il centro è stato ammodernato con l’aiuto della Fondazione Cariplo, sarebbe uno spreco assoluto tenerlo aperto solo nel periodo invernale. Ci vuole tempo da dedicare a queste persone, in strada ci sono persone che potrebbero tranquillamente lavorare, ma non sono abituati alle regole, alla disciplina necessiterebbero di una adeguata formazione che li porti a credere in se stessi, a potercela fare e questo richiede tempo, frequentazione continua. Il percorso è più semplice con gli stranieri, perché oltre ad essere più giovani, sono motivati dalla ricerca di lavoro, arrivano da situazioni molto difficili e problematiche e quindi hanno una predisposizione diversa, si abbattono meno psicologicamente, hanno una sopportazione maggiore. Si può fare tanto, l’importante è passare dalla pura assistenza all’aiutare queste persone a rimettersi in piedi e a camminare con le loro gambe.”
Milano è ai primi posti in Italia per strutture dedicate ai senza tetto.
“il Comune, tutto l’anno, assicura circa mille posti nelle strutture che sono aperte tutto il giorno e tutto l’anno – continua Bertolè – Sono luoghi di accoglienza cosiddetti “ad alta soglia” perché sono aperti anche di giorno e offrono un’alta qualità di servizi per l’accompagnamento verso l’autonomia degli ospiti, per esempio prevedendo la partecipazione a corsi per la riqualificazione lavorativa o laboratori, sostegno per le pratiche burocratiche (es: ottenimento della residenza fittizia, domanda di casa popolare). Tra tutti i luoghi aperti, ricordiamo Casa Jannacci, lo storico dormitorio di viale Ortles che negli anni ha cambiato la sua natura fino a diventare il luogo di accoglienza di natura pubblica più grande d’Europa. Siamo consapevoli che non basta offrire delle strutture per far si che le persone – spesso provate da tanti anni di vita in strada – accettino ospitalità. Per questo abbiamo fatto partire un progetto di Educativa di strada che funziona così: a ogni senzatetto selezionato viene affiancato un “tutor” (educatori esperti in questo tipo di relazione) che lo segue in prima persona cercando in primo luogo di stabilire una relazione di fiducia. Per un senzatetto che è stato tanti anni sulla strada è difficile fidarsi delle persone, e questo è il motivo per cui spesso rifiutano ogni tipo di aiuto. L’educativa di strada è un modo per ovviare a questo problema e portare la persona ad accettare l’aiuto di cui ha bisogno, che può essere l’ospitalità in una struttura del territorio, l’accompagnamento verso i servizi sociali o anche banalmente l’accesso al sistema sanitario o la richiesta della residenza fittizia o della carta d’identità, servizi che sono a disposizione di tutti i cittadini ma da cui un clochard particolarmente vulnerabile può decidere di autoescludersi, per esempio perché non è capace di andare a fare la richiesta all’ufficio competente. In questo modo si realizza anche una sorta di monitoraggio sociale rispetto al fenomeno della grave emarginazione adulta. Ogni senza dimora avrà un progetto educativo individuale costruito sulla base delle sue esigenze. Si tratta di un progetto proprio dedicato ai cosiddetti irriducibili che, fino ad oggi, registra 80 casi segnalati e monitorati.”
La loro presenza non è uno spettacolo, così come si presenta il luogo abbandonato al mattino quando il freddo allenta la morsa o quando queste persone sono costrette ad andarsene per lasciare libero l’ingresso di chi si reca al lavoro, a volte non senza difficoltà, districandosi tra coperte abbandonate e resti di cibo. Già, cibo e coperte, il minimo utile alla sopravvivenza in questo periodo, ma chi porta tutto ciò? Continua Furlan “Abbiamo due tipi di attività per i senza tetto, la prima è aiutarli sulla strada, questo lo facciamo non solo a Milano, ma in tutte le 24 città dove siamo presenti, portiamo cibi coperte, vestiti, sacchi a pelo, ma non meno importante e portare loro un po’ di calore umano, ascoltarli, tentare di instaurare con loro un rapporto di fiducia per avviare poi il progetto di recupero, è da li che si inizia.”
Nella zona intorno alla Stazione Centrale alcuni condòmini dei palazzi antistanti la Stazione, pieni di uffici, hanno assoldato portinai, personale notturno, per evitare che i senza tetto si accampino nelle vicinanze dell’ingresso la sera e al mattino, inibendo l’accesso al lavoro delle persone, sia in uscita sia in entrata. Il lavoro encomiabile di Mario e dei suoi City Angels non basta, anche se non è solo, esistono altre associazioni che cercano di dare il loro contributo stando attente a non sovrapporsi l’una all’altra. “A Milano il rischio non c’è, l’assessorato svolge un ottimo lavoro di coordinamento che ci organizza per zone e giornate di intervento, anzi è un bene che a Milano, capitale del volontariato, esistano così tante associazioni”, conferma Furlan. Ma spesso le persone, quando cala il buio e i senza tetto iniziano a radunarsi in alcune zone, allestendo il loro posto letto per strada, hanno paura. Pena e compassione diventano in breve intolleranza e fastidio, ma non è solo l’inverno ad accentuare questo problema, non possiamo dimenticarci che da quasi due anni siamo vittime del Covid. Il Comune durante i mesi di lockdown ha cercato di tenere aperti i centri del piano freddo per oltre due mesi dopo il classico periodo di durata del piano e di estendere l’orario di apertura anche alle ore diurne, in modo da consentire a tutti di rispettare le direttive governative e di tutelare la propria salute e quella degli altri. Ovviamente tutti i centri seguono le misure di igienizzazione e sanificazione e c’è attivo un piano con ATS per il collocamento presso il Covid Hotel delle persone che risultano positive. L’organizzazione degli spazi all’interno dei centri è mantenuta ancora oggi e l’utente che accetterà un un posto letto verrà sottoposto, oltre che alla tradizionale visita di screening, anche alla vaccinazione contro il Covid-19. “È aumentato il numero dei senza tetto e delle persone che hanno perso il lavoro spesso precario– continua Furlan – noi aiutiamo anche un centinaio di famiglie in difficoltà con pacchi spesa, abbigliamento, farmaci insomma beni di prima necessità, la pandemia ha maggiormente impoverito e inoltre ha portato paura, rabbia incertezza per il futuro, è ancora più difficile per i senza tetto vincere questa atmosfera da abbattimento psicologico. Il nostro problema più grande è di non riuscire a trovare lavoro a chi ce lo chiede, il resto cerchiamo di risolverlo.”
Milano è una città dal cuore grande, quando i City Angels lanciano un appello di solidarietà i cittadini rispondono donando vestiti, coperte, generi alimentari, beni di prima necessità. Nonostante questo esiste per l’Associazione un problema economico. La stessa riceve solamente dieci euro a persona dal Comune, ma sopporta un costo di gran lunga superiore, spesso le donazioni e un’azione mirata di fundraising non bastano a colmare la differenza. Non è solo un problema politico, lo dimostra il fatto che da Carlo Tognoli a Pillitteri, Marco Formentini, Gabriele Albertini, Letizia Moratti, Giuliano Pisapia, fino ad arrivare al secondo mandato dell’attuale Sindaco Sala, diverse appartenenze politiche non sono riuscite a risolvere il problema. È vero che la situazione è cambiata, oggi ci sono molti stranieri sulle strade che arrivano senza documenti, come clandestini, persone già “attrezzate” alla vita dura, persone che spesso arrivano dai lager, hanno attraversato il Mediterraneo su una barca e per loro dormire per strada non è la cosa peggiore che può capitare. Per un italiano, la cosa è molto più difficile da accettare, spesso inizia il percorso negativo rifugiandosi nell’alcol e nella droga, nella ludopatia, scelte che dipendono da lui, c’è una sua responsabilità, che ha origini da cause diverse, come la perdita del lavoro, un divorzio, l’abbandono che fa venir meno la protezione familiare. Mario Furlan mi spiega che sono pochissimi coloro che decidono di restare senza tetto per scelta, cosa che invece molte persone pensano e si chiedono perché non vogliono appoggiarsi ai centri di accoglienza. Molti di loro si sono trovati male, nei centri esistono delle regole, non devi fare casino, non devi fumare nelle stanze, non devi ubriacarti, non puoi portare animali, insomma regole semplici, ma necessarie all’armonia di una vita in comunità. C’è anche chi si è trovato derubato dei pochi suoi averi, del telefonino, chi lamenta la vicinanza di persone sgradite, la mancanza della compagna in un centro solo maschile, i motivi sono tanti e diversi. Oggi è necessario spingere più persone possibili all’interno di un centro, perché da mangiare ce n’è per tutti, ma di freddo si rischia veramente di morire.
L’attività delle associazioni non deve limitarsi all’emergenza freddo, anche Alberto Sinigallia, Presidente di Fondazione Progetto Arca è d’accordo: “Ci stiamo indirizzando sui 356 giorni all’anno con progetti importanti sul reinserimento abitativo e lavorativo, il problema dei senza dimora non si risolve solamente offrendo un dormitorio, ma è necessario orientarsi su due colonne principali: il lavoro e la casa. Progetto Arca ha costituito la cooperativa sociale Mirasole che si occupa di formazione e inserimento lavorativo e la ricerca della casa. Abbiamo circa 130 case a Milano dove facciamo progetti di inserimento abitativo. Esiste poi una collaborazione con Banca Etica per cercare di far ottenere un mutuo garantito. Progetto Arca deve andare oltre al panino offerto per strada, al sacco a pelo e all’ospitalità del dormitorio, servono spazi piccoli, con un accompagnamento di assistenti sociali, operatori finanziari e psicologi insomma un’intera equipe multidisciplinare. Progetto Arca nasce da Fratel Ettore Boschini, un frate storico di Milano che andava in giro a Milano in zona stazione centrale ad aiutare i bisognosi quindi questa è stata la nostra Mission iniziale, però questo oggi non basta più; ci vogliono casa e lavoro. Nel 2011 la temperatura era a meno 13 gradi e tutte le sere eravamo in strada, abbiamo aperto 15 centri nel giro di cinque-sei giorni, abbiamo accolto oltre quindicimila persone che arrivavano dalla Sicilia in transito, per andare in Germania, persone che non avevano i soldi per fare l’ultimo tratto del viaggio. Vicino alla Stazione Centrale abbiamo uno dei nostri centri che si occupa di persone affette da diverse dipendenze, alcolisti, senza dimora, persone con disturbi psichiatrici, profughi, mamme con bambini, genitori separati, il piano freddo rappresenta il culmine del nostro lavoro tra Natale e il mese di febbraio. L’anno scorso abbiamo distribuito 32.000 sacchi a pelo, vestiti, beni di prima necessità. A Natale regaleremo ai senza dimora 1.500 power bank sembra banale, ma la ricarica di un telefono cellulare per un senza dimora è fondamentale, quando si scarica durante la notte e deve attendere l’apertura di un McDonald per ricaricare il telefono.”
Il Presidente di Progetto Arca conferma che le associazioni sul territorio lavorano in sinergia, grazie anche all’intervento del Comune di Milano e in virtù di un lavoro di coordinamento. La Comunità Europea obbliga ogni associazione a collaborare, a mettersi insieme e le cose stanno effettivamente migliorando. Esistono collaborazioni con la Croce Rossa e con altre associazioni. È stato costituito il Cuore Visconteo che è un insieme di quattordici organizzazioni, non solo di volontariato, ma anche istituzioni di cittadini e aziende, con il Progetto Mirasole come capofila, un’impresa sociale che raccoglie finanziamenti e donazioni e che, mettendo in rete i nominativi degli assistiti, previene la sovrapposizione fra le associazioni del territorio. Si riesce finalmente a fare un lavoro di rete. Con la pandemia sono stati quintuplicati i pacchi viveri per far fronte alle numerose richieste, si è passati dal bisogno di 500 famiglie a 2.500, il coordinamento delle attività, anche con le altre Associazioni, in casi come questi, è fondamentale, per non rischiare sovrapposizioni. La forza di Fondazione Progetto Arca è la lungimiranza, il sociale interviene spesso sull’emergenza, sulla raccolta fondi, ma spesso manca una visione prospettica per la sostenibilità di un progetto duraturo. È importante introdurre una mentalità imprenditoriale, il Presidente Sinigallia proviene da quel mondo, Fondazione Progetto Arca che ha 200 dipendenti, 400 volontari e un fatturato di venti milioni di euro, per una struttura del genere non basta “l’oggi”, ci vuole una visione di lungo periodo.
Il Progetto Mirasole ha come obiettivo il reinserimento delle persone disagiate nel mondo del lavoro, che seguono uno specifico percorso di formazione, per riacquisire competenze andate perdute. Esiste una cucina industriale che produce 2.000 pasti al giorno, ci sono attività di manutenzioni nelle case, cura del verde, sanificazioni, attualmente ci sono 58 lavoratori che prestano la propria opera nell’impresa sociale, preventivamente formate attraverso tirocini lavorativi presso aziende. Le persone devono uscire dall’indigenza con il lavoro e con la prospettiva di una casa, per ricostruirsi la propria vita. “A Baggio abbiamo un progetto che lavora sulla bellezza dei luoghi d’accoglienza – continua Sinigallia – una cascina per i senza dimora con cani, dove diamo a ciascuno una singola abitazione. Il reinserimento parte dalla casa, che deve essere bella e accogliente. È importante circondare di bellezza le persone che stanno facendo questo percorso. Chi riceve bellezza ridona bellezza.”
Il problema è complesso ma l’attività del Comune e delle Associazioni fa ben sperare per una soluzione, speriamo non lontana. Intanto fa bene sapere che nessuno muore di fame e che molte persone vengono recuperate e reintrodotte a pieno titolo nel tessuto sociale.
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