Milano
Milano: case a 5.500 euro al mq. Va tutto bene?
Lunedì 30 settembre, presso la Camera di Commercio di Milano è stata presentata la “Rilevazione dei prezzi degli Immobili della Città Metropolitana di Milano” sul primo semestre 2019, prodotto dalla medesima Camera di Commercio.
Il dato che è emerso, in un certo senso atteso dato il fermento che si vive negli ultimi mesi nell’immobiliare milanese, ha messo in luce un crescita generalizzata dei prezzi, che si attesta su un incremento dell’1% sul semestre, con l’indicazione del valore medio delle case compravendute pari a 5.565 €/mq. Tanti soldi, non c’è che dire.
Se in linea generale e teorica questo dato non può che essere accolto dagli operatori con una certa soddisfazione, una lettura più profonda e articolata – che si potrebbe definire “critica” se tale termine in Italia non fosse visto con una sfumatura sempre negativa – mette in luce una realtà più complessa. Che, sul lungo periodo, può generare scompensi.
Perché dico ciò? Perché la città non è una tavola di Monopoli. Dove si mettono casette in vie blasonate e si soffocano con la spietata rendita gli avversari. La città è un organismo vivo, pulsante innanzitutto di umanità; la città è insieme urbs e civitas. L’una genera l’altra in una reciprocità dinamica, che deve essere costantemente tenuta in equilibrio. Spostare troppo i fattori della trasformazione urbana in una direzione “mercatista”, come sfondo neutro per attrarre investimenti che rendano profitti finanziari, alla lunga genera città, territori e società diseguali e rabbiose.
La domanda che ci si pone è: quanta gente può permettersi di vivere a Milano – in proprietà o in affitto – se il valore medio degli immobili è quello sopra riportato e se, dati ISTAT 2018 alla mano, il reddito medio annuo è pari a 29.627 euro lordi (circa 2.470 euro lordi al mese)? Non molti, naturalmente.
Che fare, dunque? In primis perseguire con decisione politiche urbanistiche che rendano prassi l’obbligo di realizzazione di quote di edilizia calmierata – in proprietà e in affitto – assieme o a fianco alle case per i benestanti. In tal senso Milano ha avviato già da tempo un’azione in questa direzione che, con il nuovo Piano di Governo del Territorio prossimo al varo, sarà ancor più rafforzata. In ogni operazione superiore ai 10.000 mq scatterà l’obbligo di realizzare almeno il 40% di Edilizia Residenziale Sociale in proprietà e in affitto. Si tratta di una misura coraggiosa che prova a mettere qualche briglia a una rendita fondiaria sempre bizzosa. Perché oggi fare case per i “poveri” significa fare case per le persone “normali”.
Oltre a ciò si dovrebbe affrontare con decisione il tema delle relazioni metropolitane tra Milano e l’hinterland. La forza centripeta milanese, infatti, se da un lato genera una effervescenza riscontrabile a ogni livello, dall’altro rischia di creare un solco sempre più profondo tra il capoluogo e la corona urbana di prima e seconda fascia.
Se è vero che le modifiche del sistema tariffario del trasporto pubblico provano a ridisegnare un differente assetto metropolitano incardinato sul trasporto pubblico (ancora troppo afasico), è altrettanto vero che il processo di espulsione di abitanti da Milano verso la provincia, consolidatosi negli ultimi 20/30 anni, ha generato un mostruoso flusso di ritorno di city users. Chiunque si rechi a Milano ogni mattina è testimone di tale incolonnamento perenne che toglie aria alla nostra regione ed erode tempo di vita – prezioso tempo di vita – a centinaia di migliaia di donne e uomini costretti a un faticoso pendolarismo. Per questo una politica concertata su alcuni assi di sviluppo metropolitano potrebbe essere una misura che supporta un riequilibrio socio-economico della “grande Milano”.
Il tema di una casa giusta per una città normale è dunque un tema ineludibile. Perché una città troppo tesa a narrarsi come bersaglio luminoso di risorse economiche smisurate che arrivano da ogni parte del mondo, perde di vista la sua traiettoria storica. Che, per Milano, è sempre stata incisa nel suo nome: “terra di mezzo”, dunque sobria e dotata di giusta misura.
E la testimonianza di tale giusta misura è insita nella struttura interclassista di Milano, in cui i quartieri popolari sono stati da sempre pensati non isolati, bensì gomito a gomito – e in alcuni casi nervo a nervo – con i quartieri “borghesi”. Questo saggio equilibrio è stato l’animo profondo di questa città oggi al centro della ribalta. E questo animo va sempre difeso e rilanciato, per far sì che fenomeni come quelli che si stanno intravedendo a Berlino o a Parigi, in cui l’impoverimento endemico di ampie fasce di popolazione a causa dei costi abitativi genera rabbia e legittima “lotta di classe”, non raggiungano livelli di guardia.
Insomma, Milano non guardi troppo alle città diseguali. Guardi a se stessa, alla sua storia popolare, cattolica ambrosiana e socialdemocratica. Non vedrà solo un glorioso passato alle sue spalle, ma anche un brillante – e giusto – futuro davanti a sé.
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