Macroeconomia

Milan l’è on gran Milan: piccolo data-report sull’economia della grande Milano

16 Agosto 2016


Michele Barbera è il CEO di SpazioDati, startup dietro Atoka. Questo post è sponsorizzato da:

spaziodati

 

Come ho già raccontato in questo blog (premessa: questo paragrafo è un pistolotto, mi spiace, ma è un pistolotto necessario a contestualizzare il resto del post), Atoka è uno strumento B2B di lead generation e sales intelligence concepito per aiutare le aziende italiane a trovare nuovi clienti, partner e fornitori, nonché a capire i trend dei mercati e le dinamiche di ogni settore di mercato. Per fare tutto ciò Atoka può contare su un data-base importante, di 6 milioni di aziende italiane e 13 milioni di contatti, e soprattutto su degli algoritmi in grado di separare, come si suol dire, il grano dal loglio: i dati potenzialmente utili all’utente dalla massa enorme ma magmatica di informazioni di ogni tipo presenti sui siti aziendali, i tweet e i post, le pagine di Wikipedia e così via…

Atoka è pensato per sostenere il business. Tuttavia può essere usato anche per gettare un po’ di luce sulle strutture produttive e i nuovi fenomeni imprenditoriali che caratterizzano un dato territorio. Non a caso alcuni mesi fa SpazioDati, cioè la startup dietro Atoka, ha realizzato per conto del governo britannico un’analisi dei cluster high-tech che stanno nascendo nel Regno Unito, integrando con l’approccio data-driven quello “sul campo” tipico dell’analisi qualitativa tradizionale (e di cui si sono occupati i due partner britannici del progetto, ossia l’Università di Birmingham e il National Institute of Economic and Social Research).

Negli ultimi mesi poi vari giornali italiani, nazionali e locali, hanno pubblicato dei sintetici data-report sulle caratterizzazioni produttive delle varie province italiane sulla base dei dati ricavati con Atoka. Con questo post provo a fare lo stesso con la città metropolitana di Milano, e vedere cosa viene fuori. Sia chiaro: dato che io sono un “imprenditore dei dati” il report si focalizza soprattutto sui dati, e scaturisce da una mia personale curiosità; tuttavia, proprio come è già stato fatto in Inghilterra, i dati di Atoka su Milano potrebbero essere usati da economisti, giornalisti economici ecc… per effettuare analisi su cosa bolle nella grande pentola dell’economia milanese.

La metropoli di Milano è una provincia che produce, nessun dubbio a riguardo. Hanno sede legale nel milanese 363.035 aziende, un record nazionale. Soltanto Roma registra un risultato superiore, con 451.351 aziende, mentre la capitale del Sud Napoli si attesta intorno a 262.679; ancora, l’altra grande realtà urbana del Nord Italia, Torino, ne vanta “appena” 215.616, e la provincia di Brescia 114.673. Qual è la forma giuridica delle aziende milanesi? 126.059 sono imprese individuali, 125.241 sono invece società a responsabilità limitata, seguite a grande distanza da società in accomandita semplice (35.388), società in nome collettivo (22.544) e così via…

È forse interessante notare che le società individuali e le srl nel milanese si equivalgono, grossomodo, seppur con una lieve prevalenza delle prime; non è così nel resto d’Italia dove le imprese individuali sono circa 3 volte le srl, e a Torino quasi 4 volte tanto; solo a Roma le imprese individuali e le srl sono più o meno uguali: 173.651 contro 160.907. Questo (quasi) pareggio tra individuali ed srl sembra essere un unicum ambrosiano (e romano: ma Roma è la capitale del Paese, e questo ha un suo peso). In ogni caso (ma potrei sbagliare) si potrebbe trattare di una conferma di come Milano sia la punta più avanzata dell’economia italiana, il luogo dove le imprese a vocazione nazionale o globale devono essere per fare business (ne discuteremo nel post sull’hi-tech nella metropoli).

Ancora, delle 291.069 aziende milanesi di cui si conosce l’età, 161.075 sono sul mercato da 10 anni o più (55,3%), e 213.698 da almeno 5 anni (73,4%). Dati, questa volta, in linea con quelli del resto del Paese. Più interessante forse sapere che, delle 239.246 aziende milanesi con un numero di dipendenti noto, ben 827 hanno almeno 250 dipendenti, mentre a livello nazionale sono 4.216. In altre parole, una grande impresa italiana su 5 ha sede legale a Milano o dintorni, contro le 482 nella provincia di Roma (circa 1 grande impresa italiana su 9), le 218 di Torino (1 su 19), le 117 di Bologna (1 su 36) e le 113 di Napoli (1 su 38).

A questo punto sorge spontanea la domanda: che cosa fanno di preciso le aziende milanesi? Ebbene, 84.919 di esse rientrano nel settore Ateco G, ossia “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli”; ben 44.560 fanno parte del settore F, cioè “costruzioni”; 38.511 rientrano nel settore L, “attività immobiliari”, e 36.281 in quello C, cioè “attività manifatturiere”; degno di nota è poi il settore M, “attività professionali, scientifiche e tecniche”, con 30.587 aziende, e il settore I (“attività dei servizi di alloggio e ristorazione”) con 21.959 aziende.

Questa suddivisione, molto generica e schematica, si riproduce solo in modo parziale nel resto del Paese: è vero che G (“commercio”) ed F (“costruzioni”) sono in testa in tutta Italia, ma sono poi seguite da A (“agricoltura, silvicoltura e pesca”) e C (“manifatturiero”), con L (“attività immobiliari”) preceduta da I (“attività dei servizi di alloggio e ristorazione”).

Riprendendo il confronto con il torinese, si vede poi che nella metropoli piemontese la composizione è G, F, C, L e I, con A che precede M, configurando un’economia forse più tradizionale, e meno proiettata verso l’immobiliare e certi segmenti del terziario avanzato; anche il confronto con Roma è interessante, dato che nella capitale l’ordine è G, F, I (e qui tutto il peso del turismo si fa sentire), L ed N (“noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese”), per poi arrivare a C.

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Interessanti poi sono i tassi di digitalizzazione delle imprese milanesi. 53.337 hanno un sito web, ossia circa 1 su 7: meglio del dato nazionale, che purtroppo si attesta a 1 su 9 (661.074 su 6 milioni); di queste 53.337 aziende, hanno l’e-commerce in 3.304, 18.915 hanno un account su Facebook (che risulta essere il social medium di gran lunga prediletto), 7.604 hanno Twitter, 4.520 YouTube, 4.092 LinkedIn e così via.

Degne di nota pure le parole-chiave che caratterizzano le aziende milanesi (e che scaturiscono dall’analisi semantica di alcune fonti-dati associate alle aziende stesse, in primo luogo i siti web e i profili sui social media, secondo determinati parametri di occorrenza): gestione, immobili, compravendita, commercio, proprietà, affitto, marketing, acquisto, costruzione, progettazione, pubblicità, industria, software, informatica. Si tratta di un lessico del business generico, ma che proprio per la sua genericità conferma la duttilità e la natura proteiforme di un territorio che non ha una ma mille vocazioni.

 

Michele Barbera, autore di quest’articolo, è il CEO di SpazioDati. Autore della foto in copertina è José Luiz Bernardes Ribeiro.

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