Lavoro
“Mi sono comprato il lavoro”: essere un tassista oggi a Milano
“Mi sono comprato il lavoro”.
Questa frase sintetizza un’epoca di forte disoccupazione, la professionalità ottenuta negli anni non basta più, anzi l’età, l’esperienza accumulata e l’ultima retribuzione, cominciano a diventare un problema, il valore aggiunto di anni di lavoro diventa un ostacolo. Ma andiamo con ordine.
Con Sergio ci conosciamo praticamente da sempre e le nostre famiglie prima di noi, cresciamo insieme, condividiamo tutte le esperienze che accompagnano due bambini diventati poi adulti. Nel 1982 ci diplomiamo in Ragioneria, ci ricordiamo bene la data solo perché in quell’anno l’Italia vince i Mondiali di calcio. A quel tempo nel nostro istituto pochi si iscrivevano all’università, si cercava subito un lavoro, ci dividiamo, io inizio a collaborare nell’attività di famiglia e contemporaneamente cerco di continuare gli studi iscrivendomi alla Facoltà di Giurisprudenza, percorso mai completato. Lui inizia a fare esperienza come contabile in alcuni studi di commercialisti e dopo tre anni di gavetta, nel 1985, ottiene un incarico amministrativo importante in Walt Disney, la gestione dell’intera contabilità fornitori. Sergio è ambizioso, l’incarico inizia a stargli stretto, si guarda in giro e dopo cinque anni approda in una società tessile che fa capo al Gruppo Marzotto, qui le competenze crescono: si occupa di contabilità generale e controllo di gestione. La società inizia a delocalizzare la produzione all’estero, per non correre rischi e forte dell’esperienza acquisita, gioca d’anticipo e approda in una società multinazionale con sede in Germania e unità locali in Italia, che si occupava di armamento ferroviario. A un certo punto però l’azienda chiude la parte cantieristica e gran parte del personale viene messo in cassa integrazione. Sergio, forte della sua oramai consolidata esperienza, accetta una buona uscita e interrompe il rapporto di lavoro, confidando di trovarne un altro in tempi brevi.
Correva l’anno 2013 e tutto era cambiato. La disoccupazione aumentava, l’ingresso nel mondo del lavoro per quel ruolo, avveniva ad un livello più basso, Sergio aveva oramai maturato una grande esperienza riconosciuta anche da un livello contributivo all’altezza, però aveva passato da tempo i 40 anni, le aziende erano spaventate, ingolosite certo, ma frenate perché “costava troppo”, la vicinanza ai 50 anni non aiutava. Il tempo passava, le competenze rischiavano di sbiadire, così come le risorse economiche accumulate dopo anni di lavoro. Sergio ha ancora due figli in età scolare lo stipendio di sua moglie non basta più, va presa una decisione e anche in fretta, la sua pluriennale esperienza risulta oramai difficilmente collocabile, bisogna percorrere un’altra strada. Sceglie di compiere un giro a tutto tondo, si compra un lavoro e acquista una licenza di tassista a Milano. Effettua tutto il percorso formativo, frequenta i corsi necessari per l’iscrizione nel registro per la conduzione di veicoli pubblici, poi decide di acquistare una licenza di taxi, contraendo un debito che sta continuando a pagare ancora oggi. Gli chiedo se in oltre 10 anni la cifra pagata allora si è mantenuta, nel caso decidesse di cederla, mi risponde che in linea di massima ha mantenuto le cifre di allora, quindi visto il tempo passato il valore è oggi diminuito. La licenza non basta, serve la vettura e tutti gli accessori obbligatori.
Tutto pronto si può partire per la nuova avventura.
Sei diventato un imprenditore in un lavoro che conoscevi poco, ma i conti li sapevi fare, com’è andata?
C’erano i costi, la rata del finanziamento richiesto, quella per l’acquisto dell’auto e tutti gli accessori, più una previsione di incasso mensile che qualche futuro collega mi aveva indicato. Alla fine il risultato diventava positivo per una somma vicina a quanto guadagnavo da dipendente.
Non posso fare a meno di chiedergli il suo parere sulla vicenda capitata al collega bolognese che ha reso pubblici gli incassi sui social e ha intrapreso una battaglia contro i colleghi “No Pos”.
Premetto che sono un tassista un po’ atipico, perché non seguo molto le vicende di piazza. Sono abbastanza riservato, esco, lavoro, se capitano due parole con i colleghi volentieri, ma non seguo le polemiche. Detto questo, non capisco l’obiettivo del collega di Bologna. Ho visto gli incassi, importi che noi a Milano ci sogniamo e ai quali possiamo avvicinarci forse, solo in occasione di eventi particolari come il Salone del Mobile o la Settimana della Moda. A Milano siamo vincolati a lavorare al massimo per dieci ore, non so se a Bologna hanno la possibilità di lavorare di più, ma ho sentito parlare di €600 di incasso che io non ho fatto nemmeno quando c’è stata la finale di Champions League.
Sergio mi racconta di aver installato tutti gli strumenti per accettare qualsiasi tipo di pagamento elettronico, ancora prima di iniziare a lavorare, ma non per il suo passato di uomo di conti, bensì perché a Milano, pur non sapendo indicarmi una percentuale precisa, ritiene che il Pos sia utilizzato da oltre il 90% dei colleghi.
Se non accetti i pagamenti elettronici a Milano non lavori o lavori molto meno. Vale la pena lavorare meno per non avere il Pos? Io non me lo posso permettere.
Poi mi racconta che il sistema prevede che il tassista si associ ad uno dei radio taxi esistenti, che in forza di un accordo raggiunto, ti procura le corse. Attraverso un sistema elettronico, la centrale operativa è collegata con diverse comunità di potenziali utenti, come ad esempio gli alberghi, che attraverso un modem verificano che tutti i servizi del taxi siano disponibili, il numero di passeggeri, la capienza del bagagliaio, l’aria condizionata, e naturalmente l’accettazione di tutti i sistemi di pagamento, di conseguenza senza Pos le corse non vengono passate. Su dieci corse almeno otto vengono pagate con carta di credito e smart phone.
Il vostro è un lavoro faticoso, per molte ore siete a contatto con le persone. È un mestiere che può essere pericoloso. Tra di voi c’è un senso di comunità e solidarietà come può essere per la categoria degli autisti di camion o ognuno per sé, come si evince un po’ dal caso Red Sox?
C’è un senso di comunità, tra di noi ci si aiuta, se succede qualcosa e se ci sono situazioni di pericolo, ci si confronta e si scambiamo consigli. Questo è importante perché effettivamente qualche pericolo esiste.
Nonostante faccia un lavoro completamente diverso da quello fatto per oltre vent’anni, lo trovo sereno, mi racconta che il bello è quello di unire un interesse pubblico a un interesse privato.
Il nostro compito è quello di offrire un servizio al cittadino e dobbiamo farlo nel miglior modo possibile. Non abbiamo uno stipendio fisso, quindi dobbiamo offrire una prestazione eccellente per guadagnare altrimenti alla fine del mese i conti non tornano. Sono imprenditore di me stesso. Godo di una libertà che prima non avevo. Se voglio prendermi un giorno di permesso non devo rendere conto a nessuno, so che quel giorno non guadagnerò nulla, ma è una mia scelta. Gestisco la mia attività come un libero professionista o un artigiano. Per necessità a volte mi capita di lavorare anche 7 giorni su 7, per dieci ore al giorno ma posso anche decidere di non lavorare il Sabato e la Domenica. È un mestiere che mi da libertà.
Il suo rammarico è la percezione negativa che la gente ha per la categoria. Forse bisognerebbe fare di più per cambiarla.
Spesso il pubblico non conosce il mondo dei tassisti e parla per sentito dire. Veniamo additati come evasori. È sbagliato accanirsi sul problema delle nuove licenze che se servono ci devono essere, ma non possono essere gratis; andrebbe trovato il modo di tutelare chi ha comprato un avviamento quando ha acquistato la licenza.
Ultimamente, a causa di ragioni economico-sociali, stiamo assistendo ad un cambiamento nello stile di vita. Da quando hai iniziato come è cambiato il lavoro e la tua clientela?
A Milano c’è molta clientela business, oltre ai turisti e a chi usa abitualmente il taxi come servizio pubblico. La maggior parte della clientela è legata però al mondo del lavoro: le fiere, gli eventi e i congressi portano gente che poi si sposta in alberghi e ristoranti in maniera circolare. Se manca questo tessuto economico per noi diventa un problema. Offriamo un servizio funzionale, chi sale spesso continua a lavorare, telefona, partecipa a video call ma, nonostante le tariffe ci vengano imposte dal Comune, non si può dire che sia un servizio propriamente economico.
Gli chiedo se in tutti questi anni non gli sia capitata qualche storia particolare.
Te ne racconto due: ero fermo alla stazione di Cadorna e mi raggiunge questa donna anziana, minuta che mi ricordava tanto la nonna di Titti e gatto Silvestro. Scendo e l’aiuto a salire; doveva recarsi in Via Molino delle Armi in un negozio a ritirare della terra per concimare. All’arrivo in negozio c’erano pronti per lei diversi sacchi da 20 kg che ho dovuto caricare sul taxi. Arrivati al suo domicilio mi ha chiesto di portarli sulla terrazza del suo appartamento servito dall’ascensore, ma non fino all’ultimo piano; per cui mi sono dovuto portare a mano 7 sacchi di quel peso per due rampe di scale in un periodo in cui avevo anche problemi di schiena. Alla fine mi ha pagato la corsa e una piccolissima mancia ma la cosa che mi ha colpito di più è stata una carezza e tre caramelle Golia in omaggio. Quel gesto mi ha ripagato della fatica e dell’ansia del taxi mal parcheggiato in strada.
Invece un’altra volta, durante i primi tempi come tassista, ho preso una chiamata da Piazzale Lagosta che mi ha insospettito perché non ero il primo che ne avrebbe avuto diritto. Carico una famosa maga che lavorava in Brera, una signora molto conosciuta con una grande borsa che teneva in mezzo alle sue gambe nonostante il mio invito a riporla nel baule. Mi dice: “devo andare in Brera ma la strada gliela indico io.” “Benissimo” rispondo. Faccio il percorso indicato e ad un certo punto mi chiede di rallentare, tira giù il finestrino, e inizia a gettare il mangime per i piccioni prendendolo dalla borsa. Le ho spiegato che la cosa non si poteva fare, c’erano pedoni, bici e motorini, ma ha insistito e l’ho accontentata. All’arrivo in Via Brera nel momento in cui la maga è scesa dall’auto, sono arrivati un numero indescrivibile di piccioni che hanno completamente circondato il taxi. La mia preoccupazione non era più quella di farmi pagare la corsa ma di liberarmi dai volatili. Dopo ho subito gli sfottò dei miei colleghi che mi hanno detto: “ben arrivato, anche tu hai caricato la cartomante”. Non so se oggi la carica ancora qualcuno.
Sergio ha fatto di necessità virtù, ha buttato il cuore oltre l’ostacolo, non è da tutti, per fortuna è andata bene!
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