Milano
Quanto costa l’innovazione sociale: il caso “mare culturale urbano” a Milano
«Cosa facciamo stasera a Milano?». «Andiamo al mare, no?». A sentirla così, e negli ultimi due anni capita spesso, sembra uno scherzo ma in realtà è più un segnale di riconoscimento. Soprattutto, è la conferma dell’efficacia di un marketing che ha raggiunto decine di migliaia di milanesi.
Ovviamente il mare, quello vero, a Milano nessuno l’ha ancora portato, ma dalle parti di via Novara, periferia ovest, c’è mare culturale urbano: tutto rigorosamente in minuscolo anche se questo progetto di imprenditoria sociale è maiuscolo quanto a ambizioni di business e sponsor istituzionali. Come maiuscole sono state le perdite che in due anni hanno azzerato il patrimonio di questo nuovo polo culturale urbano e ora impongono una ricapitalizzazione.
Cos’è dunque questo “mare”, per chi non lo sa ancora? Mare culturale urbano, spiega il sito, «è un centro di produzione artistica che arriva nella zona ovest di Milano per costruire un nuovo modello di sviluppo territoriale delle periferie». Le parole d’ordine di “mare” sono quelle comuni ai progetti di innovazione culturale degli ultimi anni: nuovo modello di sviluppo delle periferie, rigenerazione urbana, dimensione locale e scambi internazionali, inclusione sociale, attraverso spazi per l’arte, la formazione, il lavoro e il tempo libero.
In concreto si tratta di due spazi fra loro vicini: uno, aperto da maggio 2016, è la seicentesca Cascina Torrette di Trenno; l’altro, poche centinaia di metri più in là, in Via Novara 75, ancora da costruire. In totale sono 7.700 metri quadrati che ospitano e ospiteranno cinema, sale teatrali e per concerti, spazi di coworking, sale di registrazione, caffè, bistrot, spazi a disposizione per la comunità di zona 7, per un investimento complessivo di 10,5 milioni di euro. A regime, “mare” stima di accogliere 300mila persone l’anno. Nella stagione estiva 2016, dopo l’apertura della sola Cascina Torrette, ne sono arrivate 20mila.
«Con mare culturale urbano stiamo mettendo in atto probabilmente il primo progetto in Italia che unisce un’attività a forte impatto sociale, attraverso azioni concrete di attivismo culturale e di aggregazione territoriale, e un cultural business model estremamente innovativo», racconta a Stati Generali Paolo Aniello, uno dei due fondatori dell’iniziativa. Fondata a gennaio 2014 in forma di srl-impresa sociale con un capitale sociale di 100mila euro, nel luglio dello stesso anno “mare polo culturale urbano” ottiene l’iscrizione al registro speciale delle start up innovative. Le quote sociali sono attualmente divise fra Aniello (25%) e Andrea Capaldi (75%). «Noi ci crediamo – continua Aniello – e insieme a noi credono a questo progetto sia istituzioni pubbliche sia private, oltre che decine di migliaia di cittadini che già attraversano lo spazio di Cascina Torrette».
Mare a Milano, ed è subito hype
A crederci nel mare a Milano, in effetti, sono stati tanti. Le istituzioni, prima di tutti. Il Comune di Milano ha assegnato il terreno di Via Novara 75: nel giugno 2014 “mare” è risultata prima e anche unica nella graduatoria finale del bando comunale per l’assegnazione in concessione ad uso gratuito per 30 anni. Quasi un anno prima, Polaris sgr (ora Investire Immobiliare sgr) e Fondazione Housing Sociale – emanazioni della Fondazione Cariplo impegnate nella realizzazione del complesso di housing sociale “Cenni di Cambiamento”, che si trova proprio accanto alla cascina – avevano avviato i contatti per affidare a “mare” Cascina Torrette, ottenuta in assegnazione dal Comune, che ne è proprietario, con l’obbligo di un intervento di restauro conservativo. La stessa Fondazione Cariplo ha direttamente finanziato progetti per 345mila euro: 115 mila per progetti di esclusiva competenza di “mare”, gli altri 230 relativi a un progetto triennale compartecipato con altre due associazioni e di cui mare è la capofila con una quota del 30 per cento. Il Fondo centrale di garanzia per le Pmi del Ministero dello sviluppo economico ha concesso una garanzia dell’80% su un prestito di 500mila euro erogato da Banca Prossima, istituto specializzato nel terzo settore e appartenente al Gruppo Intesa Sanpaolo.
Infine, un nodo spinoso ma che potrebbe diventare il volano di tutto: dal Comune di Milano è attesa una fideiussione per prestito da 5,5 milioni di euro che “mare” conta di ottenere sempre da Banca Prossima.
Nemmeno è mancata la buona stampa. Riviste specializzate, come il mensile Abitare o Via Romagnosi, la rivista di cultura sociale della Fondazioni Feltrinelli, siti dedicati all’innovazione culturale e sociale come Che-fare, quotidiani nazionali come Stampa e Corriere. Tutti entusiasti. La consacrazione definitiva, poco più di un mese fa, è arrivata sulle pagine di Napoli della Repubblica. L’articolo a firma di Cinzia Sasso, moglie dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, tratteggia uno dei due fondatori («Lui si chiama Andrea Capaldi, ha 38 anni, è un napoletano di via Tasso, famiglia colta e benestante») e racconta che l’avventura è cominciata con un anticipo sull’eredità. «Cinquecentomila euro, una base di partenza».
Mare “modello virtuoso”
A coronamento, anche l’imprimatur della più milanese delle università di Milano. “Mare”, racconta Repubblica, è diventato «una case history che studiano alla Sda della Bocconi», secondo cui è «uno dei progetti più innovativi sul territorio milanese, che coniuga innovazione sociale e culturale e propone un nuovo modello di sviluppo delle periferie», «un modello virtuoso di collaborazione tra pubblico e non profit».
Questo modello virtuoso fra il 2014 e il 2015 ha prodotto quasi 400mila euro di perdite, che hanno azzerato il capitale iniziale e determinato la necessità di una ricapitalizzazione, non ancora portata a termine visto che le norme sulle start up innovative concedono tempi più lunghi rispetto a quelli normali previsti per le società in genere. Nel frattempo, i soci hanno versato nelle case della società altri 308 mila euro, come anticipo sul futuro aumento di capitale. Per quanto tripli rispetto al capitale iniziale, questi nuovi versamenti bastano a mala pena a coprire le perdite emerse a tutto il 2015, al netto delle quali residuano appena 18 mila euro di capitale. Per di più, le previsioni del piano industriale indicano inoltre che la perdita 2016 dovrebbe ammontare ad altri 468mila euro.
«Posso dire che il bilancio chiuderà con un risultato decisamente migliore delle previsioni», ribatte Aniello. Di quanto non è dato sapere, «dato che il bilancio sarà chiuso entro giugno». Si è lavorato per comprimere i costi, e si sono registrate sorprese positive sui ricavi. Da un lato, sotto la pressione degli stakeholder istituzionali, infatti, sono stati messi in atto «una serie di interventi sull’efficientamento gestionale, con una riduzione dei costi del personale e delle collaborazioni, oltre che dei costi generali», rivela Aniello. Dall’altro, a fronte di una previsione di circa 246mila euro, i ricavi 2016 si sono attestati a 740mila euro, grazie al buon afflusso di pubblico (20mila presenze) registrato nel corso dell’estate, stando a quanto anticipato dalla società a Stati Generali.
Per coprire le nuove perdite e sostenere l’attività futura, serviranno in ogni caso risorse abbondanti, in aggiunta ai 308mila euro versati nelle casse di mare in conto futuro aumento di capitale. Nell’aria c’è l’ingresso nel capitale di un fondo attivo nel terzo settore (sembra di capire in orbita Cariplo), dopo che l’anno scorso è sfumata un’operazione con un altro fondo. «Ci siamo preparati per tempo e il nostro futuro non è in discussione. Le modalità e le entità saranno poi evidenti con la chiusura del bilancio 2016», sottolinea Aniello.
Mare, start up costosa
Come si sono prodotte le perdite? Nei due bilanci disponibili (esercizi 2014 e 2015) le voci di maggior peso sono i costi del personale (per il bar/bistrot), i costi per servizi professionali (collaborazioni con artisti, progettisti sociali, ecc). Ma i conti sarebbero decisamente migliori se non ci fosse stata la quota annua di ammortamento delle immobilizzazioni immateriali. Quest’ultima voce, che sul conto economico del 2015 ha pesato per un totale 118mila euro, è la tranche annuale di un monte costi immateriali “capitalizzati”, ovvero di costi che in virtù di un’asserita utilità pluriennale vengono ammortizzati in cinque esercizi anziché essere spesati in uno solo.
In cosa consistono? Dalle informazioni ufficiali di “mare” si deduce che si tratta principalmente di collaborazioni con innovatori e progettisti sociali, ricercatori, professionisti vari; attività che nel loro insieme rappresenterebbero l’“investimento sociale” di start up. In particolare, viene spiegato, sono stati realizzati: uno studio di fattibilità per la realizzare una piattaforma digitale per il crowdfunding, crowdsourcing e time banking; un lavoro preliminare sul territorio per creare le basi di carattere sociale» con le associazioni e le iniziative sociali esistenti; una ricerca scientifica a base urbanistica sociale per la definizione delle caratteristiche del territorio di zona 7. Sono stati capitalizzati anche i compensi pagati per le azioni di ricerca dei bandi pubblici e privati da applicare, formulazione delle applicazioni a questi stessi bandi.
Nei due anni considerati, sono stati così capitalizzati circa 436mila euro di costi di ricerca e sviluppo e 144mila euro per diritti di brevetto/opere dell’ingegno. Considerando anche altre voci minori, il totale lordo di questi costi immateriali a fine 2015 ammontava a 590mila euro. Al netto di quanto già ammortizzato, il valore si riduce a 443mila euro, che è il costo residuo da spalmare sui bilanci successivi al 2015.
Il lavoro sul territorio ha coinvolto decine di collaboratori, sguinzagliati nei quartieri per sondare i quartieri, per costruire relazioni. Forse si è esagerato con queste spese? «Noi abbiamo fatto enormi investimenti personali per un’impresa sociale, e un nostro punto fermo è che il lavoro delle persone va sempre remunerato – replica Aniello – . Le azioni intraprese sul territorio, se da un lato hanno assorbito risorse finanziarie e quindi ampliato i costi di start up (comunque condivisi con i nostri stakeholder), dall’altro ci hanno permesso di costruire una rete di relazioni solide». Il successo di Cascina Torrette «è dovuto al fatto che abbiamo costruito per due anni una rete di relazioni, di convergenze ideali e pratiche, e tutto questo ha permesso di costruire una base solida che porta un impatto sociale ed economico di grande importanza».
Il nodo di Via Novara 75
Una scelta alternativa avrebbe potuto essere di partire lentamente, costruendo gradualmente quella base: «Ma mi chiedo – dice Aniello – se con un progetto di queste dimensioni, quale è il polo di via Novara, ci potevamo permettere davvero, anche da un punto di vista economico, una partenza in sordina». Ma è proprio il polo di Via Novara la scogliera su cui l’onda di “mare” è andata a infrangersi, almeno per ora. Su quest’area di 3mila metri quadrati, attualmente occupata da una palazzina e un capannone di proprietà comunale inutilizzati, è previsto che sorga un complesso polifunzionale articolato in cinque moduli, 6.000 metri quadrati su tre livelli, progettato da Gandolfi/bunker-arc.
L’avvio dei lavori era atteso nel 2016 ma al momento è tutto fermo. La speranza è di far partire le ruspe nella metà di quest’anno. Nel cambio di amministrazione comunale, da Pisapia al sindaco Beppe Sala, le pratiche si sono inceppate.«Forse avremmo potuto essere più cauti nelle aspettative cronologiche sui tempi di attivazione delle diverse fasi del progetto – ammette Aniello –, ad esempio il fatto che ci siano state le elezioni, a prescindere dal risultato elettorale, ci avrebbe dovuto far pensare a un allungamento naturale dei tempi per l’assolvimento di tutte le procedure necessarie».
Il punto è che senza il via libera del Comune, però, non si va da nessuna parte, e il “mare” si restringerebbe alla sola Cascina Torrette. Il motivo è presto detto: per realizzare i primi tre dei cinque moduli previsti serve un’anticipazione finanziaria da 5,5 milioni: la società è già in parola con Banca Prossima, che però apre i rubinetti solo se Palazzo Marino concede una fideiussione sul prestito. Per il Comune è un rischio da prendere con cautela.
Perciò l’indicazione arrivata dall’alto è di andarci con i piedi di piombo, esaminando le carte e analizzando le previsioni economico-finanziarie del progetto con la massima attenzione e prudenza: è il minimo che si possa aspettare, del resto, da una amministrazione in cui il sindaco è l’ex commissario Expo e l’assessore al Bilancio un tecnico puntiglioso come il professor Roberto Tasca. Questo orientamento, probabilmente, spiega la stretta sui costi avviata da “mare” già nel corso dell’ultimo esercizio. Ciò che invece non si spiega è perché il problema si ponga solo adesso visto che costi e perdite fin qui emersi sono linea con le previsioni iniziali del progetto.
I funzionari attivi sul dossier non hanno voluto rilasciare dichiarazioni. Stati Generali ha tuttavia potuto apprendere che la fase istruttoria, in corso da circa un anno e mezzo, è ferma sul primo dei tre passaggi necessari: la stipula della convenzione urbanistica collegata al permesso di costruzione. Seguiranno il via libera alla valutazione impatto economico del progetto, comunque già in corso, e infine l’erogazione della fideiussione.
La fideiussione sarà concessa gratuitamente in analogia con quanto già avviene per gli impianti sportivi costruiti su terreni di proprietà del Comune. Da un lato, il soggetto concessionario si accolla i costi della nuova struttura e li ammortizza lungo la durata della concessione; dall’altro, l’edificio è da subito di proprietà del Comune, che però concede garanzia sull’affidamento. I tecnici comunali segnalano che questa modalità è più virtuosa di quella scelta, per esempio, per realizzare “Base”, altro hub di innovazione sociale e culturale milanese: qui il Comune compartecipa alle spese di ristrutturazione fino al 50% dei costi sostenuti dal privato, mentre l’affidamento è di 12 anni più altri 4 eventuali.
Ma proprio per questo, diventa fondamentale, dal punto di vista di Palazzo Marino, verificare la sostenibilità economica del progetto “mare”. Come pragmaticamente osservato nell’articolo di Repubblica, «i sogni hanno bisogno di passione, ma anche di sostanze». E se sono imprese, sia pure sociali, anche di prudenza nella gestione. L’innovazione culturale non è zona franca dalle regole della buona economia.
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In copertina, Cinema all’aperto in cuffia, Cascina Torrette – Milano, 2016
Foto di Luca Chiaudano, CC
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