Fotografia

Ma tu, Milano, vali veramente tutto questo?

18 Settembre 2023

Abbiamo inaugurato giovedì, qui a Zurigo, “Metromorphosis, cronache di una città sfugge”, una mostra fotografica di Simone Cozzi, catalogo Punctum Press con saggio introduttivo del direttore Tondelli, con il patrocinio del Comune di Milano. Perché continuare a ruminare su Milano, quando si parla di poco altro da molto tempo e in una fase in cui la città sembra avere rimosso la parentesi macabra della pandemia per essere tornata alla narrazione trionfante e compiaciuta di sé stessa? Tanti motivi, in realtà. La prima è che Milano è una città che con Zurigo dialoga su molto. La seconda è che Milano è la prima grande città italiana che gli svizzeri incontrano quando intraprendono un viaggio in Italia, e questo ha una sua importanza nell’immagine dell’Italia nel suo insieme in questo paese così particolare. Terzo, ci piaceva l’idea di ragionare per immagini in maniera antologica sulla città, senza escludere la cartolina – sarebbe stato disonesto – ma cercando prospettive che fossero di questo momento e possibilmente un po’ inusuali.

 

Una prospettiva inusuale è innanzitutto una prospettiva: il punto di fuga classico è un elemento che ricorre nelle spesso foto di Cozzi, si tratti di un cavalcavia, della navata centrale di Sant’Ambrogio o di una corte di case di ringhiera. Trasmette – e certo che è un cliché! – l’idea di una città tutta proiettata al futuro e al movimento, anche perché si tratta di prospettive vive, che a un certo punto qualcuno attraverserà. Tuttavia, da dove a dove portano quei movimenti e quelle linee prospettiche? Qui la questione si fa più interessante, e se si vuole facciamo davvero capolino dalla casa dei luoghi comuni. Se ci si fa caso, i movimenti grossi, brutali, impetuosi di Milano cominciano a essere storicizzabili. La città del moto, che vede come un’eccezione rispetto al resto del Paese, è diventata in realtà negli ultimi anni la metafora perfetta dell’Italia, che nel mezzo di un declino produttivo – un declino che a volte sembra piuttosto una precipitazione: a volte – va a rovistare fra i gioielli della nonna per tirare avanti. Milano oggi, è noto, vende soprattutto metri quadri; dietro al compiacimento che traspare anche dei reportage apparentemente più allarmati, c’è il fatto che Milano ha fatto dell’immobile la propria industria più rappresentativa: quello che è diverso rispetto alle città d’arte è che i metri quadrati che Milano vende sono venduti in base a una scommessa, più che una speranza, sul futuro. Essere a Milano, in qualche modo – si pensa – frutterà, perché Milano ha un capitale di fiducia generale ancora intatto.

Si tratta di una fiducia ben riposta? Verrebbe da dire di no, perché quanto chiede Milano in termini di investimento economico e personale non dà alcuna garanzia. Al contempo, se non a Milano, dove?

Proverei a rispondere citando altre due fotografie della mostra. La prima ritrae un porticato che dove s’intravede un ingresso laterale di Eataly, e sotto il portico un mendicante. Il titolo della foto è jannacciano, “el g’aveva du oecc de bon”. L’altra è una ripresa della Unicredit Tower, sfuocata, attraverso una vecchia grata di ferro carico di ruggine. La contraddizione è sempre fertile, finché è sopportabile per tutti o almeno per i più. La contraddizione dell’armonioso villaggio della Bicocca orami incastonato fra i palazzoni, o quella di una vecchia casa colonica/bar tabacchi sopravvissuta in qualche modo a Baggio. Il cuore della fiducia che Milano merita sta nelle ferite della sua stratificazione urbana, nel suo rapporto con le periferie che restano periferie anche se orami sono in cerntro, nell’essere (o forse nell’essere stata) una “brutta e mal combinata città”, come scriveva uno dei suoi figli più illustri, Carlo Emilio Gadda. Milano vive e pulsa ancora soprattutto quando non nasconde le proprie cicatrici, sembra dirci Cozzi, perché le cicatrici sono vecchie battaglie combattute. Vinte, spesso. Con una punta di cattiveria, e in contrasto con il gli zigomi e le labbra gonfie che riempiono le vie del centro città, verrebbe da ricordare la frase celebre della romanissima Anna Magnani: Lasciami tutte le rughe, ci ho messo una vita a farmele. Perché su una cosa ci possono essere pochi dubbi. Milano, come Anna Magnani, è bellissima.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.