Milano
Ma Milano si ispira al modello Londra? La bufala che viaggia veloce
E’ bastata la vittoria della Milano Olimpica per riavviare la polemica di tanta parte della sinistra (oltre che del centro-destra) sul “modello” cui tenderebbe il capoluogo meneghino, del quale si è discusso anche in occasione del Brainsday dello scorso venerdì 21, organizzato proprio dagli Stati Generali. Polemiche per certi versi un po’ pretestuose, che richiamano una frase (forse) infelice pronunciata dallo stesso Beppe Sala in diverse occasioni, subito dopo la sua vittoria del 2016, quando fece riferimento appunto al “modello Londra”.
Ebbene, il neo-sindaco ha costantemente ribadito che le sue priorità per Milano sono principalmente tre: la riqualificazione delle periferie (di cui si è assunto la delega) e delle case popolari, per impedirne il degrado e l’espulsione dei ceti meno abbienti; la politica ambientale, traffico e sostenibilità, per rendere costantemente migliore la qualità della vita e dell’aria; la promozione internazionale, puntando sull’attrazione di investimenti, attrazione per gli studenti di tutto il mondo grazie alle sue università e attrazione turistica, sul modello di Londra.
E’ sufficientemente chiaro a tutti i lettori “normali” che il riferimento a Londra Sala lo faccia in corrispondenza dell’ultimo punto, vale a dire la grande capacità attrattiva londinese, sia di investimenti che di studenti che di turisti e, in parte, per la politica ambientale, non certo per il suo modello di sviluppo sociale.
Ovviamente, decontestualizzando l’impianto del discorso, ciò che è rimasto in mano ai critici e feroci commentatori è soltanto l’ultima frase, o meglio le ultime tre parole. Da qui fiumi di parole e di inchiostro sulle malefatte londinesi, sulla gentrification, su un modello che non fa altro che ribadire, ed accentuare, le differenze economiche e sociali, che dovrebbe portare Milano a diventare la “città dei ricchi”, espellendo i più poveri nelle immediate periferie, oltre i confini comunali: il giornalismo dei nostri tempi.
Un giornalismo, ma anche purtroppo il discorso di parecchi intellettuali, basato sostanzialmente su emozioni, come direbbe l’ottimo Luigi di Gregorio nel suo Demopatìa, su sensazioni o timori di pancia, che pare avere scarsa capacità investigativa o di inchiesta, come il più nobile giornalismo di anni orsono. Inchiesta che ho cercato di compiere nel mio viaggio per i quartieri milanesi, settimanale appuntamento di Repubblica, dove l’idea di fondo è quella di capire cosa sta accadendo alla città, quale trasformazione è in atto e quali siano le percezioni dei suoi abitanti su questa trasformazione.
E le cose testimoniate dagli abitanti delle diverse zone paiono andare in direzione opposta a quanto le critiche tendono a voler accreditare. Esistono certo aree di sofferenza, dove alcuni problemi sono evidenti, primo fra tutti l’integrazione con gli immigrati (Milano, lo ricordiamo, ha una quota di stranieri elevatissima, quasi il 20% della popolazione) e poi le condizioniabitative (le case Aler, gestite peraltro dalla Regione, non sono certo un modello di abitazione popolare).
Ma anche nelle periferie più disagiate, come Gratosoglio, Rogoredo o Niguarda, la sensazione diffusa è che negli ultimi anni si sta muovendo finalmente qualcosa, sia da parte della popolazione, con la nascita di diverse associazioni e iniziative di quartiere, sia da parte del Comune e dello stesso sindaco, impegnato in prima persona nel dialogo con i cittadini. Il giudizio sulla qualità della vita nella propria zona è dovunque buono, se non ottimo: la quota dei voti positivi è oltre l’80% come media cittadina, e dovunque superiore al 60%, tranne in un paio di quartieri che stanno comunque attorno al 55%.
E se le opinioni dei cittadini non bastano, anche il comportamento di voto prima alle politiche e poi nelle recenti europee testimonia che il favore degli elettori nei confronti del centro-sinistra è dovunque in netto aumento, rispetto alle elezioni comunali: il Pd è il primo partito in tutti i Municipi, sebbene ci siano alcune limitate aree (corrispondenti ad aggregati di sezionilimitrofe) dove la Lega è lievemente più avanti, e anche in molte delle periferie è il centro-sinistra a primeggiare, al contrario di quanto accadeva soltanto meno di un paio di lustri addietro.
La percezione diffusa dei milanesi è che Sala stia effettivamente imprimendo una svolta nella politica amministrativa a favore delle periferie, forse uno dei pochi sindaci negli ultimi decenni realmente attento a questo aspetto. Basta ricordare le condizioni di vita della mitica “Milano da bere” per rendersene conto, quando molte delle zone periferiche (Quarto Oggiaro, via Padova, Baggio, Niguarda) erano preda della micro e macro-criminalità, ma anche molte vie semi-centrali (come via Marghera) non erano certo messe bene.
Queste le parole di Sala, quasi avesse letto i risultati della mia indagine ormai pluriennale, con le interviste effettuate dagli studenti del mio corso di Metodologia nelle 40 micro-zone della città e le risposte fornite dai cittadini: “È chiaro che le condizioni di vita, ossia la qualità dell’abitare e dei servizi difficilmente potranno essere identici, tra centro e periferia. Partiamo però da un dato di fatto. Chi vive all’Ortica è contento di viverci e, al di là della retorica, anche chi abita a Baggio. Oggi l’economia che arriva a Milano, fatta da imprese che investono sul territorio e da turismo, è prevalentemente indirizzata sul centro. La vera sfida è: come si può deviare una parte dell’interesse economico e del turismo nelle zone non centrali della città. È questa la vera domanda. Sarà un percorso lungo, ma noi sappiamo che siamo sulla strada giusta. Ci vorrà del tempo ma certamente non manca l’energia e la volontà”.
Se è questo il “modello Londra”, ben venga dunque…
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