Milano

“L’ultimo fucilato” a Milano: processi, feste e morte nella città liberata

23 Gennaio 2015

Ci sono 1432 tombe nel campo perenne riservato ai morti della Repubblica Sociale Italiana che si trova nel Cimitero Maggiore di Milano. Un piccola parte sono stati uccisi in combattimento o durante agguati partigiani nell’ultimo scorcio dell’avventura mussoliniana, gli altri sono tutti caduti per giustizia sommaria all’indomani della Liberazione.

Tutti, meno uno, l’unico fucilato in esecuzione di una regolare sentenza: Giovanni Folchi, ufficiale della Rsi, fascista della prima ora, e ultimo  condannato a morte nella storia della città.

E’ la Milano “festante, crudele e caotica” di quei giorni intorno all’aprile del 1945 quella in cui il cronista giudiziario Luca Fazzo immerge “L’ultimo fucilato”, la storia di un ragazzo che a 29 anni viene mandato alla più cruenta delle fini. La sentenza arriva dopo un solo giorno di processo nell’aula della Prima Corte d’Assise del Palazzo di Giustizia, stipata da ex partigiani che applaudono al verdetto, ed è firmata da Luigi Marantonio, presidente del collegio e magistrato con in tasca  fino a pochi giorni prima la tessera del Partito del Duce.

Fazzo ha perlustrato per giorni interi l’Archivio di Stato di Milano, i registri del carcere di San Vittore, i giornali dell’epoca. E nell’incedere frizzante del libro ritroviamo i suoi occhi spalancati di sorpresa mentre scopre dettagli inediti che danno al saggio storico la freschezza di una cronaca. Per  rendere ‘carne’ i documenti, Fazzo va a trovare nel quartiere popolare del Corvetto  un vecchio partigiano, Enzo Galletti, classe 1928.

Galletti ricorda la sua iniziazione alla Resistenza per le strade della città, l’eccidio in piazzale Loreto dove furono massacrati 5 detenuti anti fascisti nell’agosto 1944 e l’incontro col suo carceriere Giovanni Folchi. “Questo Folchi era grande e grosso, a suo modo non antipatico. Parlavamo parecchio e c’era una specie di curiosità reciproca a capire cosa avesse in mente l’altro”. Però poi arrivano le botte e le torture. “Facevo come il protagonista di un libro di Jack London ‘Il vagabondo delle stelle’. Viene torturato nel corpo ma lui riesce a distaccarsi con la mente e andare a spasso nelle stelle”.

“Se l’avessi trovato dopo laLiberazione gli avrei sparato in faccia”, giura Galletti che a 17 anni si ritrova a testimoniare contro il rastrellatore di partigiani al processo lampo, inscenando con l’imputato un “vivace duetto da cui sembrò trasparire una sorta di dimestichezza”.

Il 7 febbraio 1946 all’una di mattina Giovanni Folchi è portato da San Vittore al Poligono. Chiede una sigaretta e viene fatto sedere su una sedia con le spalle al plotone composto da 14 ragazzi ex partigiani. Insiste per guardare in faccia i suoi esecutori ma non gli viene concesso. Fa il saluto romano a un ufficiale che doveva certificarne la morte, un particolare che dimostra la confusione di quei giorni. “Alle 7 e 25 era già tutto finito. Il plotone d’esecuzione rese gli onori militari al corpo del fucilato”.

Il 22 giugno 2014, mentre questo libro prende forma, Enzo Galletti, dopo avere intimato a Fazzo di scrivere tutto per bene “altrimenti ti vengo a prendere a casa”, torna ad andare “a spasso tra le stelle”. (manuela d’alessandro)

“L’ultimo fucilato. Fascisti, partigiani, giudici e voltagabbana nell’Italia della Liberazione” di Luca Fazzo. (Mursia, pag. 204, euro 15)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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