Milano

Lo Stato ha paura dei libri in carcere, dopo Dell’Utri la Lioce

4 Luglio 2017

Marcello Dell’Utri e Nadia Desdemona Lioce. Due persone, entrambe detenute, molto diverse tra loro. Agli antipodi, insomma. Ma accomunate nella sorte da uno Stato che sembra aver paura dei libri. All’esponente delle cosiddette nuove Br che sconta due ergastoli per gli omicidi D’Antona e Biagi sono stati sequestrati libri e quaderni. All’ex senatore di Forza Italia condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa era stato imposto di poter tenere in cella solo un libro per volta.

La storia relativa a Nadia Lioce emerge perché la donna venerdì prossimo sarà processata per disturbo della quiete pubblica avendo protestato tramite “battitura” sulle sbarre della cella, tipica manifestazione di protesta dei reclusi. E si è saputo dei libri sequestrati, nell’ambito, sembra di capire, dell’applicazione restrittiva oltre ogni limite dell’articolo 41 del regolamento carcerario.

Evidentemente non basta più neanche l’ergastolo ostativo. Chi sconta il carcere duro sembra non possa aver alcun diritto, nemmeno di leggere quando, quanto e come gli pare. Dell’Utri e Lioce sono detenuti noti che in qualche modo sono riusciti a farsi sentire attraverso chi li sostiene da fuori, familiari o amici. Altri reclusi sono costretti a subire in silenzio misure afflittive che non hanno senso che non sia quello di una vera e propria tortura, quantomeno psicologica.

E la tortura in Italia non esiste come reato. Una norma in via di approvazione è già stata definita da autorevoli giuristi largamente insufficiente. Per esempio non sarebbe servita a sanzionare adeguatamente la “macelleria messicana” di cui furono protagoniste le forze di polizia al G8 di Genova nel 2001.

Limitando e togliendo libri dalle celle lo Stato come minimo si accanisce ai danni di persone già private della libertà. Pochi giorni fa il presidente della Repubblica Mattarella aveva parlato contro la tortura. Ecco, tra lui e Napolitano dal Quirinale erano arrivati quattro provvedimenti di grazia per altrettanti responsabili del sequestro di Abu Omar, organizzato dalla Cia con la complicie dei servizi segreti italiani. Insomma il pesce puzza dalla testa.  (Frank Cimini)

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