Cinema
Liscio erotico punk, il film concerto di Extraliscio
La revancha del Liscio dei “cinghiali sapiens” di Romagna, in un lavoro che ha stravolto anche Elio e fatto cantare Il Passatore alla voce grave di Francesco Bianconi.
Diretto e prodotto da Betty Wrong alias Elisabetta Sgarbi, è arrivato nelle sale il film di Extraliscio ed è già volato nell’etere, pronto a trasformarsi in tour nazionale (Tour d’Italie), e in colonna sonora della Milanesiana 2021.
Extraliscio – punk da balera è tutto assieme film documentario concerto racconto, ma anche proiezione-evento che senza veli promuove un lavoro artistico e musicale che può aspirare al grande pubblico. Coi disegni di Igort come copertine dei vari capitoli, e la partecipazione di ballerini di liscio guidati dallo storico del ballo Bruno Malpassi.
Nati nel 2014 da una costola del liscio tradizionale con la benedizione della famiglia Casadei, in sette anni questi suonatori multipli, cantanti funambolici dallo spirito brado e le scarpe fini, hanno inciso ben quattro album di cui l’ultimo doppio, suonato in centinaia di piazze e locali da ballo, partecipato all’ultimo Sanremo, al recente film di Pupi Avati e al Concertone del Primo Maggio 2021. Nello spazio, dal singolo Merendine blu in avanti, c’erano già arrivati.
Ora un intero film parla di loro. Tutto questo è senza dubbio Extra, esorbitante, ma è anche Liscio, storicamente inteso come un’industria discografica e concertistica indefessa, con lunghi turni di lavoro, divise e costumi di scena, pendolarismo estremo a bordo di pullman-case mobili, e gerarchia severa. Prova a smorzare un assolo di clarinetto con una chitarra elettrica se non sei Mirco Mariani: è impossibile. La chitarra è sezione ritmica e sta dietro, il clarinetto in do è il solista e comanda la musica. E’ vero questo, ma il punk di Mariani ribalta tutto, e conserva a suo capriccio. L’artista punk è così, o non è.
Dall’audacia di una regista di lungo corso in arte Betty Wrong, arriva questo lavoro corale dove il clarinetto in do perfora il petto, vibra al cuore, e dove un coro di voci, colori e strumenti, trova il silenzio delle campagne e delle spiagge d’inverno. Un coro di racconti intimi, comici, o ingenui, di donne fatali come Baby Moira – tra le diverse protagoniste e cantanti del film – di luoghi e poesie increspate dal distorsore di una chitarra elettrica. Ma anche di omaggi al grande cinema d’autore, citati con onestà nei titoli di coda.
E nonostante tutto non è un film sul liscio, né una celebrazione nostalgica. Definirlo in modo univoco significa perderne l’essenza che, come gridava il punk delle origini, sta nell’anima di chi suona.
E’ un concerto di cose filmate, a volte in una presa diretta spericolata e claudicante, con inquadrature acrobatiche curiose, concertate da incalcolabili note e scale di musica classica (quella del pianista Michele Sganga), legate assieme dalle parole a fil di voce di un narratore stralunato, Ermanno Cavazzoni. Lui beve San Jack, bombetta in testa, pizzetto scolpito e sigaretta alla mano… già qui si capisce che ci si perde in reminiscenze felliniane, tra paradisi letali e lunari spiriti muti. La voce della luna questa volta esce dal sax magistrale di Fiorenzo Tassinari, uno dei musicisti più intensi raccontati nel film.
Tanti hanno cantato e suonato nelle risonanze del Liscio. “Qui non c’è musica solare”, cantava John De Leo nel suo “Vago svanendo” nel 2007 e forse era un controcanto al liscio classico che anche lui da romagnolo porta dentro, così come l’epico ormai mitico Giovanni Lindo Ferretti parodiava “Emilia mia, Emilia in fiore, tu sei la stella tu sei l’amore” in un singolo per niente liscio dal titolo Valium Tavor Serenase del 1990; e così via, per decine di canzoni e musiche in cui il liscio penetra, disturba, s’insinua, a volte feconda, nei testi di tanti autori non solo italiani, fino ai recenti singoli di Jovanotti ed Elio ospiti assieme a vari musicisti nel film: Vasco Brondi, Francesco Bianconi, Biagio Antonacci, Armando Savini, Orietta Berti e altri ancora.
Un film preludio a un tour idealmente infinito, prequel a un possibile road-movie alla Kaurismäki? Forse. Dallo sguardo spesso nascosto di Elisabetta Sgarbi ci si può attendere di tutto.
Intanto, la formazione romagnola baciata dal mecenatismo milanese arriva alla fine del viaggio proprio a Milano. E’ ancora Milano che salva la gente briosa di Romagna dalle prime incisioni della Columbia meneghina che lanciarono Aldo Rocchi e il suo liscio nel mondo del cinema francese a fine anni ’30. Così la città delle mode e degli affari ritrova nelle ultime scene i suonatori in un lounge-bar che s’affaccia sulla galleria Vittorio Emanuele II, il “salotto commerciale di Milano”. Suonano svagati l’inizio di una favola o di un incubo chi può dirlo, invariabilmente padroni del loro tempo.
La storia del liscio non è mai conclusa; passa da generazione in generazione, attraversando la storia di un paese che da agricolo si è fatto industriale e da industriale digitale, come tutto. Un paese che balla e traballa sempre, disperato erotico stomp. Non importa, il passato di oltre diecimila orchestre di liscio e trentamila cantanti di “Romagna mia” (secondo le stime di fine anni ’70), produce l’eco atemporale di un clarinetto che non muore mai.
Cos’è il punk che esalta Mirco Mariani, front man di Extraliscio? E’ l’indisciplina della musica che ha conosciuto la regola del conservatorio; lo strepito distorto della poesia errabonda contro la melodia del suono rassicurante; il “work in regress” libero di stonare, dal liscio verso un punk ideale fatto di un’elettronica sperimentale. E’ anche lo sberleffo dello stile e del metodo a sé stesso, irriverente alle mode, ai loro brevi consensi. E’ un afflato di libertà nella musica, che solo così sopravvive a se stessa, al suo vorace mercato. E’ un grido che scuote l’apatia di un tempo dalle basse frequenze emotive.
C’è tanta musica nel film, ma anche la poesia sfumata e muta del basso Delta ferrarese, quella sguaiata e fumosa della Ca’ del liscio di Ravenna che ci riporta ai “cameròn” uggiosi di Bellaria e Cesena nel primo dopoguerra, delle balere prima del boom delle sale da ballo. E anche la poesia terrosa della campagna romagnola coi pioppi scheletriti dall’inverno, i filari di viti, fino alle lande desolate e fredde che potano nella provincia di Ferrara allo smarrimento fisico e mentale fino al mare. Allora un piano a rotelle si avvia sul sentiero dell’al di là suonato a quattro mani, e comincia a levitare.
Ecco allora il senso della X maiuscola, mistero che indaga questo gruppo e la sua storia condotta da Ermanno Cavazzoni nei meandri di un paradiso alcolico e brumoso, dove echeggiano note di ogni sorta, da Tom Waits ai romagnoli Mazapegúl fondati dallo stesso Mariani negli anni ’90, dalla Mazurka di periferia a Chopin, da Roberta Cappelletti con “Tavola grande” a Elio e il suo “Valzer transgenico”.
E’ l’istinto di sopravvivenza del musicista di balera, come era ad esempio il violinista di liscio romagnolo ai primi del ‘900, licenziato dai teatri delle orchestre stabili dall’avvento della moderna musica americana, che quella sì che piaceva alla nuova borghesia di inizio secolo.
Ecco forse il mistero del liscio extra di questa formazione schizofrenica, inarrestabile, che combina i cromosomi della tradizione folk di Moreno il Biondo e Mauro Ferrara con l’incazzatura di un punk delle origini, polistrumentista sfrenato e sgangherato.
Un amico musicista mi domanda se c’era davvero bisogno di un film su una formazione che dal liscio arriva al melodico, al classico fino al punk per tornare al liscio.
Sì, gli rispondo. Senza questa carrellata di interviste a suonatori e cantanti, senza le citazioni-omaggio al grande cinema che viene sempre in aiuto, il racconto poetico-umoristico di Ermanno Cavazzoni e le testimonianze dei tanti ospiti, questa ciurma d’artisti non avrebbe mai trovato le parole per raccontarci come hanno fatto tre musicisti così eterogenei per età e storia artistica (Carlini, Conficconi, Mariani, in ordine anagrafico) a confluire in una formazione che fa dell’ambivalenza un carattere, della contrapposizione uno stile, e del punk un’urgenza emotiva.
Un film concerto, biografico, un lavoro corale, dove la musica parla più delle parole e le parole irridono ad ogni tentativo di chiarezza. Penso all’incursione demenzial-teatrale de Gli Omini col loro poeta afono, alle battute laconiche di Cavazzoni sull’al di là e gli angeli, ma anche all’irruzione di Antonio Rezza che per la prima volta cita “l’attore” e non il performer parlando di sé in terza persona. Inaudito.
Che siano i cowboys di Kaurismäki, i matti di paese di Fellini, o le voci di lunatici ubriachi, questo lavoro della poliedrica irrefrenabile Betty Wrong fa già parte della storia della musica italiana; narra le molteplici distorsioni e i ritorni di un fenomeno artistico e sociale – anche politico – quale è stato e resta ancora il liscio romagnolo. Non importa se non si ballerà più come un tempo se puoi ballare nel ricordo dei genitori andati, o di una coppia di bolognesi allacciati nella polka chinata di Ozzano. Si ballerà comunque, per non cadere nell’inconsapevolezza di essere in un equilibrio precario sulla ribalta inclinata dei giorni.
Sono tornati gli “operai del liscio”, hanno famiglia sono anarchici talentuosi, e non possono più smettere di suonare; fedeli alla vocazione dello sfinimento fino all’alba dell’ultimo concerto; sanguigni, imprevedibili, insubordinati, licenziosi, pronti a macinare decine e decine di date per tutte le piazze col nuovo album “E’ bello perdersi”.
“A tutto liscio” vanno, a bordo di una vecchia Jaguar XJ.
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