Beni comuni

L’insostenibile richiesta di un nuovo civismo

5 Maggio 2015

A margine della giornata di mobilitazione civica a Milano vorrei fare una riflessione. E la riflessione che vorrei fare è rivolta proprio al civismo, alla mobilitazione dei cittadini per quello che tutti chiamano il bene comune: cosa che può voler dire il ripulire un muro da una scritta, lo scrostare un palo dagli adesivi, il pulire il fondo di una fontana pubblica dai rifiuti o il raccogliere l’immondizia in un parco. Tutte azioni che possono apparire semplici, banali, ma che contribuiscono a rendere più vivibili le città che abitiamo.

A farmici pensare è stata una frase ascoltata da due persone durante la manifestazione #NessunoTocchiMilano. Stavano camminando di fianco a me, parlottavano fra di loro, e a un certo punto ho sentito una delle due dire: ”Questa è la Milano che mi piace, almeno nascesse in modo stabile un movimento civico simile per la cura della città”. Già, ho pensato, sarebbe bello. Sarebbe bello che ogni persona prendesse coscienza che il bene pubblico (le panchine, i cestini dell’immondizia, le pensiline degli autobus, i cartelli stradali, i marciapiedi, i monumenti, i parchi, i campetti di gioco nei parchi pubblici) sono di tutti, a disposizione di tutti, di proprietà di tutti. Sono stati fatti coi soldi di tutti. Se ogni tanto ci chiediamo a cosa servono i soldi delle tue tasse, ecco, guardiamo queste cose, e ricordiamoci che servono anche a questo. Sarebbe bello lo si ricordasse sempre, soprattutto in questa Milano che pare risvegliarsi da un letargo durato ormai troppo tempo.

E subito dopo ho pensato anche a un’altra cosa: che qualcuno che fa una cosa simile già c’è. A Milano, ad esempio, è l’Associazione Antigraffiti, oggi chiamata Retake Milano per darsi più forza con altre omologhe associazioni nate in tutta Italia. Un’associazione che analizza le situazioni di degrado e interviene sul problema dei graffiti, confrontandosi coi cittadini, e avviando iniziative per ripristinare il decoro urbano. Ma non è solo a Milano che esiste un’associazione simile, come dicevamo: Il nome Retake è nato nel 2009 a Roma, ad opera di una professoressa americana di Diritto Comparato a Roma Tre, Rebecca Spitzmiller. E fondando nuovi gruppi o sfruttando anche associazioni già esistenti, come quella milanese o come gli Angeli del Bello di Firenze, si è allargata in tutta Italia.

Tante associazioni che stanno cercando di fare sistema usando un nome unico. Come ha spiegato Andrea Amato, presidente dell’associazione Antigraffiti di Milano, la scelta di uniformarsi a questo nome è dovuta alla possibilità di ”dare maggior forza al messaggio che vogliamo mandare”. Insomma, un vero e proprio movimento che vuole avere una dimensione nazionale, formato da cittadini che vogliono restituire qualcosa alla città, che vogliono recuperare zone che tutti pensavano ormai definitivamente abbandonate al degrado. Movimenti che si sostengono con l’autofinanziamento o con l’aiuto di sponsor, senza alcun sostegno economico da parte delle varie amministrazioni comunali.

Roma, Milano, Bracciano, Tivoli, Torino, Firenze, Varese, Bari, Venezia. I retakers hanno prese piede ovunque, dando vita a quel civismo tanto agognato nelle parole delle due persone che camminavano a fianco a me nella manifestazione. Ma se questo civismo già esiste, perché allora non parteciparvi? Siamo sempre a lamentarci della mancanza di qualcosa, e quando questo qualcosa già esiste, pare che non ce ne si accorga. Chiediamo tutti a gran voce che si sviluppi più civismo, ma poi per vederlo concretizzato in modo massiccio dobbiamo aspettare che una parte della città venga vandalizzata in diretta televisiva. E chi invece si occupa di pulirla, recuperarla ogni giorno, resta confinato ai margini.

Più che chiedere lo sviluppo di un nuovo civismo, aiutiamo a sviluppare quello che già esiste. Sarebbe un primo passo per concretizzare quella richiesta che rimbalza impazzita ormai da anni fra le persone. Il nostro Paese è già pieno di associazioni, onlus che svolgono lavori socialmente utili. Forse basterebbe iniziare a guardarsi attorno per scegliere cosa iniziare a fare, scegliere di passare dalle parole al rimboccarsi le maniche, abbandonando quelle sempre più insostenibili richieste che restano soltanto nelle parole. Insomma: oltre a chiedere questo civismo, siamo disposti anche a praticarlo?

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.