Calcio
L’evoluzione del calcio: intervista a Felice Accame
Settantaquattro euro al minuto. Questo è l’ingaggio stellare – 40 milioni all’anno – di Carlos Tevez e la cosa deve far riflettere. La degenerazione del calcio sembra non avere più limiti e per analizzare meglio questa situazione ne ho voluto parlare con Felice Accame.
Settantaquattro euro al minuto.
Questo è l’ingaggio stellare – 40 milioni all’anno – di Carlos Tevez e la cosa deve far riflettere. La degenerazione del calcio sembra non avere più limiti e per analizzare meglio questa situazione ne ho voluto parlare con Felice Accame.
Felice Accame si occupa dal ’64 del rapporto tra linguaggio e pensiero ed è stato allievo e collaboratore di Silvio Ceccato. Queste credenziali l’hanno poi portato all’ottenimento – a fine anni ’80 – della cattedra di ‘teoria della comunicazione’ del settore tecnico della Federcalcio, a Coverciano. Dal 1970 al 1985 ha allenato le proprie squadre applicando i modelli dell’analisi linguistica al gioco del calcio, ricavandone una particolare metodologia di allenamento. Nel 1974 fonda il sindacato degli allenatori. Nel 1982 pubblica ‘La sintassi del calcio’, l’anno successivo invece pubblica ‘La zona – Metodologia e didattica’. Nel 1985 non trova più alcuna società che gli dia fiducia, rimanendo così disoccupato. Sempre nello stesso anno scrive ‘Prima del risultato’. Ma tra i suoi c’era una persona leggermente speciale, quella persona era Massimo Moratti. Nel 1989 Moratti diventa presidente del settore tecnico di Coverciano, e volendo innovare la didattica, anche sotto l’aspetto della comunicazione, affida ad Accame la cattedra di ‘teoria della comunicazione’.
Nel 1992 pubblica ‘L’analisi della partita di calcio’, l’ultimo suo scritto riguardante il mondo del calcio, ma come ogni sua opera sempre di linguaggio e pensiero e di problemi metodologici relativi si occupa.
Data la sua esperienza mi è parsa la persona giusta per analizzare le trasformazioni avvenute nel calcio dagli inizi del ‘900 ad oggi.
C’è stato un momento di trasformazione del calciatore, un momento che accompagna l’istituzionalizzazione del calcio man mano che cresce.
Sin dal primo decennio del Novecento ci furono le prime lamentele sulla professionalizzazione: un certo Santamaria del Genoa fu accusato di prendere denaro di nascosto. Nel 1923 ci fu lo ‘scandalo Rosetta’, giocatore della Pro Vercelli, assunto di nascosto dalla Juve alimentato di denaro, quando il calcio era ancora considerato dilettantistico.
La gestione del problema dilettante-professionista vien risolta nel 1926 da Mussolini che vede un netta divisione tra dilettantismo e professionismo truccato. Ne vien dunque fuori la cosiddetta Carta di Viareggio che risolve ipocritamente la questione distinguendo in ‘dilettanti’ e ‘non dilettanti’: aprendo così un varco per far sì che si insinuasse il professionismo. Nascendo una professionalizzazione, ci si attivò già negli anni ’30 per dar vita a corsi di formazione, ponendo così le basi affinché nasca una scuola di allenatori. Nel 1958 nasce il Settore tecnico della Federcalcio a Coverciano: si specificano le varie funzioni all’interno delle società e l’allenamento è sempre più individualizzato.
Con l’avvento dei mass media e dei social network poi, l’allenatore è stato costretto ad avere anche un importante ruolo di comunicatore; ed è qui che il ruolo di Accame assume ancor più valore per la formazione dell’ allenatore stesso. I principi di comunicazione interpersonale sono fondamentali, essendoci una bipartizione tra rapporti faccia a faccia e rapporti con la squadra, col pubblico, e coi media (conferenze stampa, dibattiti, talk show, ecc.).
Ma c’è comunque una distanza tra le idee di un allenatore ed il contesto in cui queste idee possono essere applicate e realizzate: è molto difficile che un allenatore riesca a proporre qualcosa di nuovo – sempre ammesso che abbia qualcosa da proporre. Questa difficoltà risiede nel fatto che il contesto del calcio è estremamente conservatore e che il giocatore stesso è educato al conservatorismo.
Pochissime sono le innovazioni. Una di queste è il calcio olandese, preceduto dai libri di Stefan Kovacs, allenatore-scrittore che pose le basi – i criteri ispirativi – dell’Olanda di Cruijff: il cosiddetto ‘calcio totale’. Come non citare poi le innovazioni apportate dal calcio di Sacchi e da quello di Zeman. Il problema è che tutte le innovazioni hanno finito con lo stilizzarsi, diventando essenzialmente una sorta di ripetizione: rarissimi sono i momenti in cui l’innovatore riesce ad innovare anche se stesso. E’ dunque necessario che si formino delle mentalità disposte al nuovo, a partire dai settori giovanili, dove però purtroppo non si educano i ragazzi ad alcun tipo di progressismo tattico: si tende ad emulare quel che già esiste. Il conservatorismo è dovuto anche al fatto che l’esperimento non garantisce in alcun modo il risultato, quindi la paura di perdere spinge alla ripetizione. La struttura del mondo del calcio fa sì che siano tanti quelli che hanno ottime capacità didattiche e che vengono sacrificati nelle serie minori. Per altre ragioni – legate allo sfruttamento della figura dell’ex calciatore – sul proscenio figurano allenatori strapagati che sul piano della didattica valgono poco, ma col la fortuna di avere alle spalle un team che lavora per sopperire a quelle che sono le manchevolezze di questi allenatori.
Mi sono sempre chiesto se ci fosse la possibilità che il calcio – o meglio, la figura del calciatore – riuscisse di questi tempi a veicolare messaggi, anche di natura politica, come avvenne in anni passati con Gigi Meroni o Paolo Sollier. Postagli questa domanda, Felice Accame mi fa notare che “il calcio è stato individuato come veicolo, specialmente pubblicitario, quasi da subito. Ad esempio, nel 1939 lo jugoslavo Ivan Bek, trasferitosi in Francia ha persino fatto una pubblicità per la Suze. ‘Io bevo Suze, l’amica del mio stomaco!’, recitava l’annuncio: collegando addirittura gli amari con lo sport.” Dunque sin dagli anni ’30, il calciatore è entrato in questo sistema e come tale viene sfruttato – consapevolmente o inconsapevolmente. Tutto ciò è degenerato fino alla pubblicizzazione delle scommesse da parte di allenatori e calciatori. “Dal punto di vista prettamente politico, invece, possiamo aspettarci qualsiasi cosa: abbiamo avuto o no Rivera, onorevole democristiano? E poi Roberto Baggio, nel momento in cui si dichiara buddista e prende rapporti col Dalai Lama, si candida ad un ruolo presuntamente super partes di natura politica.”
Il veicolo politico viene però meno, specialmente negli ultimi anni, poiché la partecipazione politica viene disincentivata a tutti i livelli: attraverso qualsiasi istituzione, soprattutto educativa. Tutto è impermeabilizzato ed il calcio viene dunque ad avere unicamente un mero scopo di guadagno.
Il multimiliardario mercato con gli occhi a mandorla non ha alcun limite di spesa arrivando a spendere 80 milioni di ingaggio in due anni per un giocatore ormai a fine carriera. Così i club non conoscono la parola ‘passivo’, forti anche della presenza del governo centrale a guidare dall’alto i lavori della Chinese Super League. Così i cinesi hanno potuto laddove gli sceicchi hanno fallito. Perché investendo in Europa, Paris Saint-Germain e Manchester City, ad esempio, hanno dovuto far fronte con i paletti del FairPlay Finanziario.
La Cina, no. Per questo le sconfinate disponibilità del mercato cinese permette ingaggi fuori mercato, concorrenza che definire sleale sarebbe marchiare con termini impropri ma certamente che beneficia di non-limitazioni alle quali è costretto il nostro mercato.
E’ un mercato drogato da valutazioni fuori dall’ordinario, che porta di fatto due conseguenze. La prima è il sovrapprezzo anche degli altri giocatori. Il lato positivo della medaglia, l’unico, è che i club italiani (ma, più in generale, del Vecchio Continente), sono e saranno costretti a puntare sempre di più sul settore giovanile e a piazzare meno colpi e più mirati in giro per il globo.
Essendo i calciatori addirittura di proprietà di società di investimento, esistono delle aziende pagate appositamente per attribuirne il valore: ogni cosa è stata mercificata, compresa la prestazione del calciatore. Siamo arrivati ad una situazione che vien considerata endemica in cui una dozzina di società falliscono ogni anno investendo più dei propri ricavi: ma i grandi club in qualche modo vengono sempre salvati. Dati alla mano, le persone non solo vanno meno allo stadio (gli incassi incidono solo per il 15% sul bilancio generale), ma guardano anche meno le partite in televisione. Come sostiene Accame, si andrà quindi verso una crisi generalizzata a cui porranno rimedio inventandosi il campionato europeo: un campionato di selezione che raccolga la crème de la crème, facendo sì che ad esempio l’Hellas Verona (con tutto il rispetto per l’Hellas) non potrà più giocare con la Juventus, essendo televisivamente poco appetibile. E quindi a cosa si giungerà? Si creerà uno iato ancora maggiore tra il calcio dilettantistico, o professionistico di basso livello, e una sorta di supercalcio.
Ah, nel frattempo, mentre leggevate questo pezzo, Carlos Tevez ha guadagnato circa 500 euro.
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