Milano
Lettere da Milano, 2. In memoria di Emilia, insegnante
Pochi giorni fa è morta una cara collega, Emilia Barone. La sofferenza è per me una questione privata, tanto che ho preferito non partecipare ai suoi funerali. Ma il ruolo di una insegnante è pubblico, e del suo ruolo nella nostra scuola (il Liceo Cremona di Milano) vorrei parlare oggi.
Quando quasi dieci anni fa sono arrivato nella mia nuova scuola venivo scambiato (ogni tanto) per uno studente. In effetti, come insegnante avevo ancora non poche cose da imparare, ed Emilia ha svolto una non piccola parte in tutto questo. Sì, perché il problema principale, per un paese a forte immigrazione come il nostro, e per una città e una scuola come le nostre, è l’integrazione degli alunni stranieri.
Con integrazione si intendono tante cose. Emilia intendeva, molto semplicemente, la capacità di muoversi in modo adeguato nella cultura, nella lingua, nell’attività scolastica, nella vita comune. Da lei ho imparato a capire come gestire i problemi linguistici degli studenti, e di conseguenza i problemi didattici, trasformandoli in opportunità. In questi anni mi sono fatto una piccola esperienza, ho studiato, ho provato, ho visto cambiare anche la normativa dell’istruzione (si veda la normativa sui BES, o bisogni educativi speciali, che finalmente mette nero su bianco ciò che noi insegnanti avevamo imparato a nostre spese). Quello che non cambiava era la passione, per lo più coronata da successo, con la quale Emilia dava l’anima per riuscire ad aiutare i suoi alunni (e quelli degli altri).
Anche dopo essersi ammalata, e le visite, le cure, le chemioterapie l’hanno spesso tenuta lontana da scuola, non appena poteva tornava, per aiutare chi aveva bisogno di lei. Per lei, nulla di più ovvio. Anche negli ultimi momenti della sua vita, il suo pensiero era sempre per gli altri, che avrebbe voluto continuare ad aiutare. A questi altri, ai suoi altri, è venuta a mancare una persona importantissima, ai colleghi e alle colleghe una compagna di lavoro e un esempio.
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