Milano
Le Soft Skills: tanti ne parlano, pochi le insegnano
Forse era inevitabile. A furia di dipingerli come fannulloni tutti dediti al divano, la dad e il reddito di cittadinanza, alla fine hanno deciso di raccontare il mondo a modo loro. Provando persino a cambiarlo.
I Future for friday, Ultima generazione, adesso i ragazzi del Politecnico del capoluogo lombardo con le loro tende, reclamano il diritto ad avere uno spazio in cui studiare, senza che ciò costi un occhio della testa.
A Milano m’è capitato di conoscere una realtà che questa nuova generazione contribuisce a forgiarla dal di dentro. Perché è fatta da giovani, per i giovani. Si chiama Soft Skills Academy, ed insegna qualcosa che tutte le aziende, le imprese, gli uffici pubblici e privati richiedono ma che da nessuna parte, dentro il mondo universitario o scolastico, viene insegnato. Le competenze trasversali. Cioè la capacità, una volta acquisita una competenza, diventati cioè ingegneri, avvocati, giornalisti, commercialisti, dipendenti, infermieri, o qualunque altra cosa vogliate, di gestire quello che nella vita sociale accade tutti i giorni. Lo stress, ad esempio, la performance, la resilienza, il lavoro di gruppo, la capacità di saper essere utili ad un progetto gestendo soprattutto l’errore, l’insuccesso, o la rabbia provocata da dissidi interni ad un gruppo.
Tutte competenze che non s’insegnano da nessuna parte nel mondo universitario. In cui si forgiano le competenze professionali ma non quelle umane. A Milano è nata un’accademia, già da diversi anni, che queste competenze invece le insegna. E lo fa in diversi modi. Per esempio mettendo a contatto gli studenti della propria accademia direttamente con gli amministratori delegati delle aziende. Affinché i primi ascoltino di cosa hanno bisogno i loro futuri datori di lavoro.
Recentemente però m’è capitato di vedere un lavoro ancora più profondo su questi giovani che, colpiti dalla depressione provocata dalla pandemia, hanno sbattuto contro l’insormontabile deficit provocato dal pessimismo e dal nichilismo. Quest’accademia milanese gestita da Massimo De Donno e Chiara Savino, che ha altre filiali in tutto lo stivale, hanno deciso quindi di lavorare sul concetto di passione e sulla capacità di saper individuare la passione in ognuno. Esiste un modo per vedere a 20 anni, cosa ci attrae di più fare? Esiste un modo per misurare questa passione, per saperla riconoscere?
E cosa direbbe uno studente universitario se a trasferire questa consapevolezza, e di come la si coltivi, fosse un loro coetaneo anch’esso studente? Se fosse cioè una persona che parlasse lo stesso linguaggio e stesse percorrendo la stessa strada ? È così che mi sono imbattuto in Riccardo Camarda. Venti anni, di Bolzano, studente universitario.
A sedici anni, cioè quattro anni fa, ma a sentirlo parlare sembra molto più grande della sua età anagrafica, capisce di avere un desiderio: quello di voler accendere la passione dei propri coetanei per aiutarli a capirsi al momento delle proprie scelte universitarie e poi lavorative. E tramuta questa passione in una professione. Così s’appassiona a parlare di passione.
E riempie le aule. Viene chiamato a San Patrignano, poi in una clinica per ragazze anoressiche. Si forma e forma a sua volta, in una specie di osmosi che ho deciso di riprendere con la mia telecamera. Gli studenti si confrontano con lui. Dialogano trovando qualcuno che ha la stessa sensibilità. E maturano un’idea di società diversa
Sabato scorso, 6 maggio, ad un certo punto, pungolati da Riccardo, una studentessa si alza e dichiara quale sogno vorrebbe coronare al termine di questo percorso di formazione: “Vorrei poter estendere l’adozione a tutte le coppie, con un processo di formazione psicologica e giuridica”.
L’idea che il capitale umano, sia sempre più umano e sempre meno capitale, sempre più personale e non impersonale: quest’ultima generazione sta mandando un messaggio. La ricchezza non la fa la ricerca di danaro, ma la ricerca interiore di sé. Cresce sottotraccia un mondo migliore. E si trasforma in impresa l’insegnare ad imparare. Trasformare l’uomo alienato dall’intelligenza artificiale, in un soggetto consapevole e partecipe. Protagonista delle proprie emozioni. Nessuna macchina può fare altrettanto.
L’intervista con Riccardo Camarda
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