Milano

Le Rane debuttano al Fontana di Milano. Intervista a Marco Cacciola

14 Gennaio 2022

Debutta oggi in prima nazionale al Teatro Fontana di Milano Le Rane, nuovo spettacolo da Aristofane, per la regia di Marco Cacciola, prodotto da Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatri di Bari e Solares Fondazione delle Arti . Un classico del teatro greco che riprende vita grazie a un lungo lavoro di studio, elaborazione, progettazione e “cantiere aperto” realizzato nel corso degli ultimi due anni dal regista. Un debutto più volte rimandato a causa della pandemia e, anche per questo, fortemente atteso dal pubblico e da tutte le realtà del territorio coinvolte nel lavoro laboratoriale di costruzione dello spettacolo. Le Rane di Cacciola infatti si sviluppano intorno al coro e sono frutto proprio di un lavoro corale, che ha portato alla collaborazione fra giovani artisti, cittadini, enti e realtà culturali e dell’associazionismo che hanno deciso di prendere parte al progetto, per dare corpo e voce a una delle più celebri opere di Aristofane, che rivive oggi in un allestimento inedito, eterogeneo e condiviso, pensato per accompagnare il pubblico in un divertente e visionario viaggio negli inferi. Al centro, come da classico, le rocambolesche peripezie del dio Dioniso e del suo servo Xantia, diretti verso l’Ade per riportare in vita un Poeta che salvi la città dal degrado culturale. Una commedia, intrisa di forti note politiche e sociali, che porta da sempre lo spettatore a riflettere sullo statuto della tragedia ideale e sul ruolo della poesia all’interno della società. Un teatro d’impegno, che utilizza la scena per parlare direttamente al cuore e alla sensibilità collettiva, ricucendo un dialogo – culturale, ma anche identitario di una comunità – interrotto. Ieri come oggi.

Ne abbiamo parlato con il regista Marco Cacciola.

Com’è nata e come si è sviluppata l’idea di questo progetto di rielaborazione corale di un classico del teatro antico?

Il progetto è nato diverso tempo fa, proprio dall’esigenza di riflettere, in modo partecipato e collettivo, sui temi sociali, culturali, politici espressi nella commedia di Aristofane. Un’opera in cui comico e tragico si intrecciano in modo inscindibile, creando le premesse per una riflessione profonda, ma immediata e facilmente approcciabile dal pubblico, su questioni che toccano da vicino il senso stesso di fare cultura, la sua funzione all’interno della comunità. Al lavoro hanno partecipato molte realtà del territorio, ciascuna con una sua attività specifica. Abbiamo realizzato workshop cittadini e per la selezione degli artisti (volutamente giovani, proprio per una precisa scelta artistica e, direi, politica), è stata avviata una collaborazione con studenti e docenti dell’Università Statale di Milano e dell’Università IULM a cui è stata affidata una nuova traduzione del testo. Sono stati poi coinvolti gli allievi dell’Accademia di Brera, che hanno affiancato lo scenografo Federico Biancalani nella costruzione delle scene e gli studenti dell’IIS Galilei-Luxemburg che hanno partecipato a una sessione di laboratori intorno ai temi dello spettacolo. Una comunità che ha vissuto nel teatro e per il teatro, proprio come avveniva nei tempi antichi.

Come dicevamo in premessa Le Rane hanno avuto un debutto difficoltoso a causa della pandemia. In che modo i continui fermi forzati dovuti alle norme per il contenimento pandemico hanno influito sul vostro lavoro?

È stato un percorso complesso, non lo nego. Il debutto doveva avvenire nel maggio del 2020, ma come sappiamo bene, nel febbraio dello stesso anno il mondo (teatrale e non) si è fermato. Avevo già selezionato cinque giovani attori professionisti, due dei quali vero e proprio trait d’union fra il palco e la platea di cittadini coinvolti nell’elaborazione di questo spettacolo. Avevamo attivato circa cento persone che avevano risposto alla chiamata per la realizzazione del percorso laboratoriale. Le Rane si sono dovute spostare in una dimensione a distanza, fatta di chiamate, video e lavoro in remoto. A giugno del 2021 siamo finalmente riusciti a rivederci e consolidare il lavoro fatto nei lunghi mesi della prima e seconda ondata pandemica, che ha avuto inevitabilmente una profonda influenza sulle nostre riflessioni. Abbiamo provato a scardinare, attraverso il nostro lavoro, la retorica dell’ “andrà tutto bene” e recuperare invece un contatto profondo e di senso con ciò che stava avvenendo, elaborando – o meglio provando ad elaborare – attraverso la riflessione sul tragico, la tragedia immane che come società stavamo vivendo. Se ci fermiamo a riflettere un momento infatti ci siamo trovai ad affrontare un dramma inimmaginabile: solo ad Antigone era stato negato il diritto alla pietas, alla sepoltura dei cari, in tempo di pace. Noi ci siamo trovati a viverlo in prima persona, a veder ridotto il nostro essere (per ragioni di salute pubblica che non sto mettendo qui in discussione chiaramente) al solo dato biologico. Il nostro destino, inteso come personale e della collettività, è stato sospeso. In questo contesto si è inserito il lavoro, già in essere, di riunificazione della città attraverso il teatro. Tutto ovviamente è stato messo in discussione, anche quell’esercizio alla morte – nella discesa agli inferi reale e letteraria – che è, di fondo, esercizio alla vita. La discesa agli inferi, teatrale e personale, ci ha interrogato su una questione fondamentale: cosa significa farsi “crepa” nel presente, cosa significhi oggi la poesia.

Una funzione teatrale fortemente politica che, in questo lavoro, è stata recuperata come alle origini…

Il teatro classico era impegno, nella città, sul palco. Non solo nel coro dei cittadini, nel rito del ditirambo, nella pratica collettiva e democratica dei misteri. L’apertura del teatro a tutti era la normalità nell’antichità e anche per questo penso sia utile tornare a riflettere sulla questione, per provare a riallacciare quel legame fra scena e pubblico, fra teatro e comunità che, ancora di più in questi giorni difficili, si è allentato. Poi c’è un mio personale modo d’intendere l’impegno politico, che in teatro riflette le difficoltà e contraddizioni sociali che viviamo. La scelta di attori giovani, di donne, non è casuale. Io non credo nella retorica espressa in scena, nelle spiegazioni a parole, quanto nel gesto, nel segno che deve essere colto e che può trasmettere un messaggio importante. La divinità femminile ad esempio, che diventa perno di una comunità di cittadini che si ritrova nel rito collettivo, è uno di questi elementi.

Un teatro di comunità quindi, che può essere antidoto anche alla solitudine che sempre più viviamo…

Il rito collettivo è, da sempre, un antidoto alla solitudine. Tanto più oggi in questa ristrettezza di spazi per la comunità, per un ritrovarsi “corale”. Abbiamo bisogno di ritrovare una nostra identità, di dissolvere in parte l’io singolo in un gruppo che possa ritrovarsi sotto un’egida comune, in questo caso quella di Dioniso. Lo spazio del teatro, i cittadini, gli attori, la comunità: tutto concorre al compimento di un’evoluzione e di una crescita. E all’interrogarsi continuo sul senso della cultura nel flusso costante della storia che viviamo.

CORO: Contro il potere dello scontato, dell’idea dominante, il potere dell’abitudine, si accampi
il miracolo dell’imprevisto, dell’immaginazione e del gratuito.
Venga la forza della Poesia. E che sia pericolosa! Che spaventi!
Perché il terrore, tutto ciò che ci riporta a terra, ci ricordi che solo immaginando l’impossibile sarà possibile trasformare l’inaccettabile.

Βάτραχοι, 1418: “sono sceso quaggiù a cercare la poesia, perché il nostro paese possa salvarsi”

LE RANE

14 – 30 GENNAIO 2022

TEATRO FONTANA

da Aristofane

progetto e regia Marco Cacciola

con (in o.a.) Giorgia Favoti, Matteo Ippolito, Lucia Limonta, Claudia Marsicano, Francesco Rina

e un coro di cittadini ogni giorno diverso

traduzione Maddalena Giovannelli, Martina Treu

dramaturgo Lorenzo Ponte

scene Federico Biancalani

costumi Elisa Zammarchi

direzione tecnica Rossano Siragusano

musiche e suono Marco Mantovani

assistente alla regia Gabriele Anzaldi

produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale / Teatri di Bari / Solares Fondazione delle Arti

un ringraziamento speciale a Antonia Chiodi e a Marco Martini

ph. Luca del Pia

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