Milano
Le palme a Milano come i cipressi in Toscana
Condivido quel che ha scritto qui Michele Fusco: le palme in Piazza Duomo sono un affare? allora raccontateci l’ affare e il vantaggio.
E’ un tema. Fondato, legittimo e concreto.
Non è l’unico. Tuttavia, siccome molti parlano di repubblica delle banane e leggono le palme non dal punto di vista dell’affare, dunque dell’investimento, ma come svendita dell’anima e indicano nelle palme la islamizzazione prossima di Milano, allora: 1) considero che occorra una risposta non sulla convenienza, ma sulle coordinate culturali; e 2) pretendo che questa risposta sia pertinente rispetto all’immagine che propone.
Chi dice “repubblica delle banane” ritiene, che vegetazione, territorio, cultura e popolazione siano coincidenti e dunque ciascuno di questi termini parli per l’altro. Nel sottofondo la convinzione che sta dietro a questo opinione, è che geografia sia eguale a etologia.
Idea errata.
Non c’ è una vocazione in sé di un gruppo umano in funzione della natura del suo suolo o per la configurazione fisica del territorio che esso abita. La geografia è l’ambiente. L’ambiente ha una storia e la sua storia è, piaccia o no, il risultato di scambi.
Quando si parla di scambi e ci si riferisce al paesaggio si parla concretamente di innesti, ovvero di trapianto sul territorio di qualcosa che prima non c’era; qualcosa che viene da un territrorio diverso; qualcosa che è di un “altro mondo”. Può resistere o deperire, ma questo non è con seguente a essere “straniero”. Di solito nel tempo quell’elemento – inizialmente estraneo, lontano, altro – diventerà parte dell’ambiente e sarà percepito come naturale.
Si potrebbero spendere molte parole per dimostrarlo. Forse per molti sarebbero inutili e rappresenterebbero solo un vizio intellettualistico. Un altro modo per dire “ben altro è il problema”.
Per questo vado al concreto e faccio parlare un grande storico del Novecento, Lucien Febvre, uno che quando parlava di geografia sapeva di che cosa si stava parlando. Un grande storico e intellettuale, politicamente conservatore e intellettualmente aperto (le due cose non sono in contraddizione). A me le sue considerazioni sembrano non un modo per deviare dal problema, ma un modo per andare diritti al problema e farlo in maniera convincente. Tanto per non usare parole in libertà. Buona lettura.
Poi se qualcuno vuole ne parliamo.
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“Immagino il buon Erodoto rifare oggi il suo periplo del Mediterraneo.
Che sorprese!
Quei frutti d’oro fra le foglie verde scuro di certi arbusti – che gli sono detti «caratteristici di tutto il paesaggio mediterraneo», arance, limoni, mandarini, non ricorda di averli mai visti in vita propria. Sfido! Vengono dall’Estremo Oriente, sono stati introdotti dagli arabi.
Quelle piante bizzarre dalla sagoma insolita, pungenti, dallo stelo fiorito, e da nomi strani, fichi d’india, agavi, aloè; come sono diffuse! ma anche queste non ricorda di averle mai viste in vita sua. Sfido! Vengono dall’America!
Quei grandi alberi a fogliame pallido che pure portano un nome greco, eucalipto, giammai si ricorda, il Padre della storia, di averne veduti di simili o di averli incrociati per strada. Sfido! Vengono dall’Australia.
E le palme? Erodoto ne ha avuta un’idea una volta nelle oasi egiziane. Che ci fanno sulle coste europee del Mediterraneo’ Lo stesso che chiedersi che ci fanno i cipressi, che vengono dalla Persia.
Questo per quanto riguarda lo scenario.
Ma quante sorprese, ancora, al momento di andare a tavola: che si tratti del pomodoro, peruviano; della melanzana, indiana; del peperoncino, originario della Guyana, del Mais, messicano; del riso, dono degli arabi; per non parlare del fagiolo, della patata, del pesco, montanaro cinese divenuto iraniano, né del tabacco dopo il pasto.
Tutte queste spezie, questi alberi, questi legumi, questi condimenti, che nei manifesti a colori per i turisti suscitano dappertutto e ogni volta nostalgie mediterranee, sono tutti dei nuovi arrivati, istallati ieri. Tutti esseri botanici, invece, che noi rappresentiamo piantati volentieri, radicati da sempre nella terra di Grecia, d’Italia, di Provenza, della Sicilia o dell’Africa minore. Elementi divenuti costitutivi del paesaggio mediterraneo.
Una riviera senza aranci, una Toscana senza cipressi, il cesto di un ambulante senza peperoncini, delle coste senza palme: che cosa può esservi di più inconcepibile per noi?”
[Lucien Febvre, Les surprises d’Hérodote, in “Annales d’Histoire Sociale”,1940, n. 1, p. 29].
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