Finanza

Le favole sindacali dei tagli occupazionali per far dire sì ai dipendenti BPM

14 Ottobre 2016

Il valore dell’uomo non è nella verità che ritiene di possedere, ma nello sforzo incessante per raggiungerla
G.E. Lessing

Con gli anni e l’erudizione si impara che le verità sono molteplici e che quelle alle quali gli uomini credono con onestà sono tutte degne di essere conosciute e rispettate.

Da uomo libero che aspira alla continua ricerca della Verità, però, ogni tanto mi arrabbio, quando vedo che la verità viene strumentalmente piegata per cercare di convincere persone vulnerabili a decidere, nel caso in questione a votare, qualcosa che non necessariamente corrisponde ai loro interessi. O quando la stampa viene gestita all’unisono, non dando spazi alle voci dissonanti.

Allora diventa un atto dovuto fare chiarezza, per permettere a quanti devono decidere della loro vita, di farlo con consapevolezza. Magari a decidere la cosa sbagliata, ma facendolo da uomini liberi, non soggetti alla costrizione derivante dal timore di ritorsioni nel caso in cui si voti in modo contrario a quella che è la volontà dei vertici aziendali (quando mai fu più opportuno un voto segreto per consentire un esercizio libero del voto? E che senso ha un voto non libero?). E da uomini che almeno comprendono gli effetti delle loro scelte.

Diventa un atto dovuto, tanto più se si tratta di un campo che da banchiere conosco come pochi, ossia quello delle aggregazioni bancarie. E se si tocca la Banca Popolare di Milano, istituzione di nobili natali, infangata da troppi anni di gestione poco illuminata, e che meriterebbe un futuro brillante, nell’unica città dalla quale può partire un nuovo Rinascimento italiano (che temo di non poter vedere).

Allora proviamo a fare un po’ di luce. Non credo che la Banca Popolare di Milano, se si trasformasse senza un’aggregazione, sarebbe vulnerabile rispetto ad una scalata dei fondi cattivi che licenzierebbero tanti dipendenti. I fondi mobiliari (quelli veri, ovviamente non gli investitori privati travestiti da fondo) non scalano le banche. Al massimo moralizzano i manager quando esagerano o ne favoriscono il cambiamento, ma non prendono il controllo di una banca.

I fondi di private equity hanno bisogno di realizzare un ritorno pari ad un multiplo dell’investimento iniziale, per cui una transazione sulla BPM sarebbe difficile da realizzare (il controllo si prenderebbe a prezzi ben superiori a quelli attuali, sia che si rastrelli i titoli, sia che si lanci un’OPA). Allora il prezzo di cessione delle azioni, per garantire i rendimenti richiesti, sarebbe difficile da realizzare. Per questo normalmente i fondi amano entrare a forte sconto sul prezzo di borsa, tipicamente in fase di aumento di capitale. Basta guardare UBI ed Unicredit. Sono S.p.A. La maggioranza nell’ultima assemblea era dei fondi. Non mi sembra che abbiano mangiato i dipendenti.

Anche se qualcuno volesse razionalizzare i dipendenti della BPM, per quanti tagli proponga, non potrebbe mai neanche lontanamente avvicinarsi ai tagli di una fusione, che prevede l’eliminazione di duplicazioni, sia nelle funzioni di direzione, sia delle filiali sovrapposte/accorpabili.

Se così è, allora perché si ventila uno scenario difficile a realizzarsi e che se anche si realizzasse comporterebbe meno tagli?

Non credo che nel settore bancario “grande” sia necessariamente meglio. Le aggregazioni bancarie funzionano se una realtà di successo riesce ad applicare il proprio modello ad un’altra azienda, normalmente più piccola.

Le aggregazioni bancarie non funzionano soltanto cercando le dimensioni ed il taglio dei costi. La dimostrazione è lampante: tante delle banche che oggi sono in difficoltà, citate dai rappresentanti nazionali dei sindacati, sono cresciute in modo spinto mediante aggregazioni: Monte dei Paschi, Carige, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare di Lodi. Lo stesso Banco Popolare ha visto l’utile solo nel 2015 dopo tanti anni di perdite e molti aumenti di capitale, solo per ritrovarsi con un’elevata perdita nel primo semestre 2016, con il dubbio di qualcuno che la distribuzione del dividendo fosse legalmente opportuna.

Creare la terza banca del paese non è di per sé una garanzia di stabilità e successo. Creare una banca solida, scegliendo i sistemi migliori, su basi robuste, è una base di successo.

Ho la sensazione che i sindacati nazionali siano genuinamente preoccupati del futuro del Banco Popolare e sperano che un’aggregazione con la BPM possa aiutare il sistema bancario italiano a rafforzarsi, visto che di problemi ce ne sono fin troppi. Quelli citati sempre sono le 4 banche (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara), le due venete (Veneto Banca e Popolare di Vicenza), MPS. Preoccupa anche qualche banca non citata, tra le casse di risparmio e le popolar (e non dimentichiamoci le BCC). I sindacati nazionali sono interessati anche ai dipendenti del Banco Popolare, non solo a quelli della BPM.

Se così fosse, il Banco Popolare avrebbe potuto perseguire anche altre soluzioni aggregative, ad esempio UBI, non gradite perché avrebbero comportato effetti penalizzanti per la governance del Banco Popolare. E quindi rifuggite. Ma ad opinione di chi scrive preferibili per la stabilità del sistema finanziario italiano e più robuste redditualmente e patrimonialmente. UBI aveva le spalle più larghe della BPM.

La BPM fa gola perché ha tanto capitale in eccesso, che sarà evidente quando si applicheranno i modelli interni come già il Banco fa. Fa gola per il livello delle sofferenze, ben coperte, per il potenziale di taglio di costi e la clientela non troppo spremuta da commissioni upfront. Fa gola per la rete forte in una regione in crescita. Ma non sono sicuro che anche apportare questa ricca dote basti a far passare il Banco Popolare dal gruppo delle banche con problemi a quelle di successo. Se invece di essere risolutiva questa aggregazione fosse una soluzione che differisce solo il problema, il conto sì che lo pagherebbero nuovamente i dipendenti con un nuovo giro di tagli.

Se poi proprio non ci fossero state altre soluzioni e si fosse trattato di aiutare il Banco, forse le condizioni della transazione avrebbero potuto essere negoziate diversamente.

Se domani l’assemblea voterà contro la fusione, il management cercherà di riproporre l’operazione di fusione dopo la trasformazione in S.p.A., contando su qualche azionista amico. Gli scenari saranno più complessi perché il management sarà meno il dominus incontrastato, e probabilmente le condizioni dovranno essere ben altre per passare il vaglio assembleare (anche con i fondi veri che voteranno in assemblea). E Milano non lascerà sola la sua banca, su questo sono sicuro.

Se domani l’assemblea voterà contro, gli investitori finanziari internazionali si spaventeranno perché dedurranno che in Italia non si riescono a fare aggregazioni bancarie. Questo è il vero pasticcio che hanno combinato quanti hanno forzato un’operazione che lo stesso Giarda guarda caso prima ha valutato con simpatia e poi ha condannato in assemblea (e con questo ho detto tutto).

Quindi nel caso di votazione negativa perderemo un po’ tutti sui titoli azionari in portafoglio. Ma la libertà non ha prezzo. E gli investitori tornerebbero, perché le aggregazioni ci saranno presto, così come le riduzioni di personale che tanto gli piacciono.

Sulla BPM sarebbe però necessario comunicare bene le ragioni della scelta e la direzione futura, per il bene del paese, per evitare questi effetti negativi anche nel breve. Speriamo che domani i soci della BPM votino bene. Soprattutto che votino da uomini liberi.

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