Milano

Le conseguenze dello spazio pubblico

Ogni e iniziativa di rilettura, valorizzazione e trasformazione, cioè di amore per lo spazio pubblico si incontra e si scontra sempre, prima o poi, con alcune cruciali implicazioni e conseguenze, che occorre conoscere e di cui occorre tenere conto.

7 Aprile 2025

Gli spazi pubblici (parchi, giardini, piazze delle città) sono luoghi dove chiunque, individualmente, in coppia o in piccolo gruppo, gioca, legge, passeggia, fa sport, festeggia, ascolta musica, si riposa, mangia, balla…
Lo spazio pubblico, disponibile per tutte e tutti, è una risorsa fondamentale e necessaria come l’aria che respiriamo. È un concentrato straordinario di opportunità di vita sociale, di incontro, di aggregazione. Lo spazio pubblico è anche risorsa che supplisce – almeno parzialmente – ad alcune difficili condizioni del vivere e dell’abitare presenti in molti quartieri (case piccole, sovraffollate con pochi o nulli spazi di incontro).
È molto importante che lo spazio pubblico sia un ambito tutelato (che sia cioè preservata la sua “buona qualità” e vivibilità) e sicuro (un contesto dove le persone non si sentano minacciate e dove viga un fondamentale rispetto reciproco).

Parafrasando il titolo di un noto film di Paolo Sorrentino, affermo che ogni e iniziativa di rilettura, valorizzazione e trasformazione, cioè di amore per lo spazio pubblico si incontra e si scontra sempre, prima o poi, con alcune cruciali implicazioni e conseguenze, che occorre conoscere e di cui occorre tenere conto, per non finire nella maniera drammatica suggerita dal film sopra citato.

Quello che scrivo – stante la volontà di rendere lo spazio pubblico sempre più utile e fruibile, ben oltre il semplice concetto di decoro urbano – mira proprio ad evitare il finale amarissimo del film, e ad intravvedere invece la possibilità che un percorso, pur accidentato, possa concludersi in maniera speranzosa, magari addirittura tendente al meraviglioso.

Per meglio intenderci, porto un caso specifico su cui lavoriamo da tempo, insieme a molte altre persone e organizzazioni: una via della città e alcune vie adiacenti, che si congiungono ad essa attraverso cinque tunnel ferroviari. Parlo di Via Pontano (Municipio 2 di Milano), spazio urbano assolutamente sui generis, che da tempo è oggetto di un significativo progetto di trasformazione denominato Tunnel Boulevard. Si tratta di un progetto in corso di realizzazione da parte di un insieme di realtà del Terzo Settore – di cui faccio parte – in dialogo serrato con Istituzioni cittadine, Rete Ferroviaria Italiana (RFI), fondazioni, sponsor e soggetti privati di diverso tipo.

Identificato il contesto, passiamo quindi alle implicazioni e conseguenze sopra annunciate. La trasformazione dello spazio pubblico è infatti in gran parte – lo dico per esperienza vissuta, quella di via Pontano e non solo – un percorso ad ostacoli irto di difficoltà, blocchi difficilmente valicabili, incomunicabilità, ritorni alla casella di partenza, ricorrenze a loop in cui rischia di perdersi e da cui si fa fatica ad uscire (vittoriosi, si spera).

Provo quindi a riportare di seguito, in dettaglio, le conseguenze inizialmente poco prevedibili cui espone il succitato amore per lo spazio pubblico.

Nel momento in cui si prova a trasformare e riqualificare (cioè a valorizzare) lo spazio pubblico, succede che:

  1. occorre innanzitutto aprire un confronto con la Pubblica Amministrazione (PA). E qui emerge la prima complessità: quasi mai si tratta di un unico interlocutore. Occorre invece dialogare e relazionarsi con molteplici soggetti e realtà istituzionali, che sullo spazio pubblico in oggetto hanno differenti competenze, poteri e attribuzioni, non di rado sovrapposte e incrociate in forma varia tra loro. Una “discussione” con una pluralità di attori che tuttavia – e qui passiamo al punto successivo – è sostanzialmente impossibile mettere ad un unico tavolo, ad un medesimo confronto.
  2. Malgrado l’esistenza di strumenti amministrativo-gestionali innovativi, come ad esempio il Patto di Collaborazione, gli attori da cui occorre “passare” sono molteplici e spesso non in comunicazione tra loro. Il Patto è uno strumento mirato a creare un meccanismo virtuoso e semplificatore: dal punto di vista giuridico, pare infatti delineare e porre le condizioni atte a dar luogo al “tavolo” – cui accennavamo al punto precedente – attorno a cui riunire i diversi soggetti istituzionali coinvolti nelle possibili evoluzioni di uno spazio pubblico. Purtroppo, abbiamo invece sperimentato come esso venga nel concreto utilizzato più come meccanismo di delega, che non come fattore di collaborazione tra PA e realtà del terzo settore. Con il Patto di collaborazione, queste ultime si trovano molto spesso a doversi assumere ampie e pesanti responsabilità (oneri ed onori annessi) più che a poter esprimere (con la leggerezza che li contraddistingue) iniziative e creatività nella co-gestione dello spazio.
  3. Altro tema spinoso nella riprogettazione di uno spazio pubblico riguarda i tempi necessari ad avviare, realizzare e concludere le azioni previste. I tempi non sono in ogni fase del percorso una certezza, ma una variabile incontrollata perché ideazione, implementazione e gestione dello spazio comportano una molteplicità di adempimenti e passaggi piuttosto articolati (quasi senza fine).
  4. I costi di realizzazione di opere di pubblica utilità sono anch’essi difficilmente governabili perché, dipendenti dal confronto – e in alcuni casi dalla negoziazione – con settori e funzioni degli Enti Pubblici in relazione allo spazio in oggetto. Gli adempimenti e le richieste necessarie a procedere implicano infatti generalmente una crescita delle risorse da impiegare e uno sforamento dei costi preventivati per la trasformazione e la successiva cura dello spazio stesso.
  5. Altro tema caldo riguarda la capitalizzazione dell’esperienza e gli apprendimenti conseguenti. La trasformazione in senso generativo di uno spazio pubblico dovrebbe implicare anche la creazione di un nuovo sapere, di un saper fare da poter mettere a sistema, da poter spendere in altre situazioni e luoghi (replicabilità dell’esperienza). Ciò che anche in questo caso abbiamo sperimentato è che quanto realizzato – con grande fatica – rischia di rimanere un unicum, una specie di miracolo irriproducibile. Spesso la lunga serie di intoppi incontrati lungo il percorso (ciascuno da risolvere con inedite immaginazioni e artefici creativi) e i troppi passaggi (non sempre chiari e quasi mai razionali) non permettono che il percorso compiuto si costituisca come sedimentazione di conoscenza e – da ultimo – apprendimento di sistema, che consentirebbe di replicare in futuro quanto già fatto, magari in maniera più semplice.

Quand’anche poi si è riusciti a venire a capo del percorso di trasformazione dello spazio pubblico, emergono altre conseguenze, collegate alla sua ri-acquisizione e utilizzo da parte dei cittadini, che sono anch’esse da affrontare e gestire. E in particolare:

  1. lo spazio pubblico messo a disposizione degli abitanti non è semplicemente un obiettivo raggiunto, un termine del percorso al di là del quale non occorre più gestire e intervenire. Lo spazio pubblico riqualificato comporta infatti una necessità di manutenzione ordinaria e straordinaria. Se questa manca, se lo spazio pubblico non viene curato e manutenuto, le incurie e le carenze (che  tendono  a degradarlo), ma anche il semplice utilizzo (che inevitabilmente lo logora) produce conseguenze ed effetti di “de-qualificazione” che risultano ancora più evidenti rispetto alla fase precedente alla riqualificazione (cioè quando su quello spazio non vi erano da parte dei cittadini aspettative e investimenti);
  2. il fatto che lo spazio pubblico riqualificato venga non di rado preso di mira e deturpato non dipende solo dalla “cattiveria” di chi compie questi atti, ma è conseguenza della scarsità di spazi pubblici adeguatamente attrezzati e rispondenti ai bisogni. Quando una risorsa utile e necessaria è molto scarsa, è più facile che essa venga “predata” da una comunità affamata di spazi. Occorre quindi tenere conto che è difficile far funzionare e far utilizzare in maniera virtuosa una risorsa pubblica, quando essa costituisce oggettivamente una semplice goccia nell’oceano delle esigenze e delle aspettative sociali legittime. Perché essa venga positivamente acquisita e impiegata, occorrerebbe che essa facesse parte di un sistema – il più possibile adeguato – di altrettante risorse a disposizione, un tessuto consistente di ambiti e opportunità da poter abitare;
  3. l’utilizzo dello spazio pubblico ha a che fare con pubblici differenti (famiglie con bambini, anziani, giovani, single, senza fissa dimora, persone di diverse comunità e subculture, vicini di casa…). Ciascuna di queste persone e gruppi esprime idee, bisogni e desideri propri e anche divergenti. Ognuno tende a vedere e utilizzare lo spazio pubblico con intenzioni ed esigenze diverse (tempo libero, decoro, riposo, divertimento, vita all’aria aperta, spazio presso il quale ripararsi, sport, libera espressione artistica) che possono anche confliggere tra loro. Per questo occorre mediare e contemperare tali spinte, trovando forme di equilibrio, stabilendo e facendo rispettare regole di convivenza reciproca. Occorre quindi mettere in campo ed attivare forme di responsabilità e presidio pubblico (super partes) di questi luoghi, in base al principio che lo spazio pubblico è di tutti, non di nessuno!
  4. il progetto di riqualificazione di uno spazio pubblico inoltre solleva molteplici aspettative in differenti gruppi di cittadini, entusiasmi e scetticismi corrispondenti ai loro bisogni e desideri. La riqualificazione effettivamente realizzata genera poi altrettante reazioni da parte dei medesimi soggetti, sia per quanto realizzato (mi piace / non mi piace, è utile / è inutile, è di valore / è uno spreco) sia per le ulteriori conseguenze che quanto realizzato produce (“si stava sempre meglio quando si stava peggio”) fino all’effetto nimby, cioè all’opposizione a priori e a prescindere per ogni iniziativa pubblica di intervento (“non potevate farlo da un’altra parte?”). Anche questo livello di aspettative e reazioni al cambiamento deve essere coltivato e governato con costanza e tenacia, perché può avere sia un lato costruttivo (generatività sociale) che distruttivo (conflitto fine a se stesso).
  5. E’ utile infine ricordare che creare e mantenere spazi pubblici di qualità presenta una serie inevitabile di contraddizioni; quelle che in economia si definiscono come esternalità positive e negative. La riqualificazione – per fare un esempio – porta con sé spinte di gentrificazione, con conseguenti interessi commerciali (nuovi locali e attività) che potrebbero entrare in campo. Fattori che dovrebbero anch’essi venir considerati e, nel limite del possibile, governati. Certo non dovrebbero diventare un elemento ostativo alla riqualificazione: non si dovrebbe cioè mai arrivare a teorizzare che spazi pubblici abbandonati, degradati e insicuri siano in fondo in fondo la soluzione ottimale!

Per tutte queste ragioni e conseguenze, nella gestione di spazi pubblici è fondamentale passare dalla logica delle delega a quella della collaborazione tra PA, realtà del territorio e del terzo settore.
Si possono fare passi avanti significativi quando si incontrano politici, funzioni amministrative e strumenti che permettono di co-costruire; coordinarsi, facilitare e semplificare il dialogo tra il basso e l’alto, l’alto e il basso ed i settori e le funzioni della PA.
La sfida collegata alla valorizzazione dello spazio pubblico è tutt’altro che agevole e piana, ma vale la pena di giocarla, perché dagli spazi pubblici passa la qualità urbana e la possibilità che la città sia percepita come luogo di vita attiva; ambito di reale inclusione e mix sociale tra condizioni dell’abitare, lavoro, formazione e tempo libero.
Sarebbe quindi necessaria ed auspicabile una maggiore incisività dell’azione integrata tra attori e settori della macchina comunale, ma finalmente in città qualcosa che sembrava impossibile è diventato possibile e fattibile.
Avanti!

 

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