Milano

“L’avvocatessa aveva ragione a sentirsi perseguitata dal giudice”

25 Luglio 2017

Erano “fondate” le lamentele di un’avvocatessa milanese sull’atteggiamento “persecutorio” manifestato a suo danno dal giudice Benedetto Simi De Burgis. Lo scrive il giudice di Brescia Vincenzo Nicolazzo nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione pronunciata a gennaio nei confronti della legale accusata dal magistrato di calunnnia. De Burgis aveva querelato l’avvocatessa perché lei lo aveva accusato di avere pronunciato frasi “offensive, denigratorie e umilianti” durante alcune procedure in cui era stata curatrice “finalizzate a farle togliere gli incarichi e diffamarla”.

Dalle motivazioni si scopre che, tra le altre cose, De Burgis, nelle sue vesti di giudice tutelare, si sarebbe rivolto in modo offensivo verso l’avvocatessa sostenendo che si era intascata una liquidazione troppo alta nell’ambito di una procedura da lui ritenuta “priva di specifica complessità” perché la persona sottoposta a tutela era “sufficientemente autonoma”. L’avvocatessa ha invece spiegato che la sua assistita era affetta dal morbo di Alzheimer in un contesto di “condizioni familiari critiche”. E ancora:  De Burgis avrebbe mostrato poco rispetto per la legale accusandola, nelle sue vesti di amministratore di sostegno”, di “depauperare” la sua assistita.  Ma anche qui la presunta calunniatrice ha risposto in modo puntuale alle critiche. In un altro caso ancora, l’aveva tacciata di essersi trattenuta illecitamente 5mila euro nell’ambito di una curatela, accusa anche questa vanificata da tutti i chiarimenti del caso.

Per spiegare l’assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato’, il giudice Nicolazzi ricorda che il reato di calunnia c’è quando il calunniatore “abbia la certezza dell’innocenza” della vittima. “Non si vede – scrive il magistrato – come si possa affermare che l’imputata fosse convinta  dell’innocenza dell’incolpato, emergendo, al contrario, non solo la sua buona fede, ma altresì la fondatezza delle sue doglianze “.

La vicenda penale deriva da una disciplinare, chiusa con un provvedimento definitivo di ‘censura’ da parte della Corte di Cassazione a carico del magistrato per avere tenuto “un tono irridente e allusivo” nei confronti della curatrice. Il legale aveva fatto scattare il procedimento disciplinare lamentadosi col presidente della sezione in cui lavora De Burgis del contenuto di alcuni scritti, da lei ritenuti offensivi, e lui aveva ribattuto denunciandola per calunnia.  Nel suo ricorso alla Cassazione, dopo una prima censura del Csm, il giudice si era difeso sostenendo che la donna avesse “specifici motivi di astio” contro di lui.

Manuela D’Alessandro

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