Milano

La potenza di Alda Merini tra il pop e la poesia

20 Luglio 2018

VADO FUMANDO
Vado fumando questa sigaretta
e il mio tempo, lo spazio e ogni riposo
stento nell’ozio che non più mi affretta
ma intanto brucio questo verde alloro
e qualche forte mio pensiero audace
che mi viene a trovare qual sirenetta.

Alda Merini, L’altra verità

Milano è un posto incredibile, abitato da personaggi altrettanto incredibili. Parlo di quelli che hanno fatto la storia di questa città e di quelli che la ricercano in tutti gli angoli.
Durante una passeggiata di Passeggiando per Milano (e dintorni) un gruppo facebook che, con una sola vocale aggiunta, passa da social a sociale; ma anche da virtuale a reale e da artificiale a naturale. Insomma ci si incontra, si parla, si impara a conoscere Milano da punti di vista inaspettati e sorprendenti.

Uno degli ultimi giri si è svolto prevalentemente sul Naviglio Grande e i suoi dintorni. Abbiamo visto gli spot della zona (da San Cristoforo a Vicolo lavandai, dai vari ponti allo Spazio Alda Merini, che ha aperto solo per noi). Abbiamo incontrato Gregorio Mancino (artista dei navigli), che si è esibito in una performance live regalando “Un pianoforte di colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde..” avrebbe detto Pirandello nell’Enrico IV.
Il cuore dell’esperienza è stata Alda Merini, alcuni dei “passeggiandi” hanno letto, di fronte alla sua casa, chi dei versi, chi degli aforismi. Io ho letto un pezzo in prosa tratto dal “Diario di una diversa”, un libro asciutto, inquietante, dolce, intimo, nudo.

Chi ha letto ha provato una profonda commozione, qualcuno l’ha tenuta dentro, a qualcun altro sono ballate le labbra, un momento davvero intenso. Tutto questo mi ha fatto pensare a come il personaggio Merini sia, a un certo punto, deflagrato tra i sentimenti delle persone.
Ho avuto la fortuna di conoscerla tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta.
Addirittura c’era il progetto che il Libraccio (per il quale lavoravo) pubblicasse un suo libro di poesie. E che io me ne dovessi occupare, nel senso di stare dietro alla Merini per raccogliere il materiale, prendere nota di quello che dettava estemporaneamente, versi, pensieri, aforismi, alcuni bellissimi folgoranti, altri più difficili da comprendere.
Oltre a vederla quotidianamente in libreria, ricordo che le avevo telefonato all’Hotel Certosa di corso San Gottardo dove si era trasferita. Aveva vinto un premio letterario e aveva deciso di chiudere casa andare in albergo, comunque sempre in zona, così, per un vezzo. Non dava importanza ai soldi, se li aveva li spendeva; se non li aveva, li chiedeva agli amici.
Era un personaggio con cui lavorare era difficile, difficile starle dietro, difficile organizzare la scrittura, difficile ripartire ogni volta daccapo, bisognava dedicarcisi a tempo pieno.
Era di una spontaneità disarmante, tabagista accanita, strappava il filtro delle sigarette per sentirle di più. Eravamo nel periodo prima dell’interessamento di Manconi per la legge Bacchelli, prima del Maurizio Costanzo Show, prima del successo editoriale, se si può chiamare veramente successo. Le grandi case editrici cominciarono, dopo le apparizioni in tv, a interessarsi a lei. Einaudi e Bompiani pubblicarono cose sue, ma non credo che avesse dei contratti esagerati. Sicuramente non proporzionati alla popolarità che, in seguito, avrebbe raggiunto. I suoi testi e le sue poesie erano già pubblicati da Alberto Casiraghi e Vanni Scheiwillerer, piccoli editori e suoi amici di una vita.
Non racconterò tutta la vicenda umana della Merini perché è molto conosciuta, tuttavia rammento il suo internamento in manicomio (dove fu richiusa da persona sana per circostanze incredibili), la sua grande passionalità, la sua generosità. Con la patina di Milano e dei vecchi navigli che teneva insieme tutto.

Sicuramente è stata una grande poetessa, a diciannove anni Quasimodo la volle in un’antologia, ma è stata, e sempre più lo è diventata, grazie alla tv e ai media un personaggio pop; border line ma anche main stream, un corto circuito che, alla fine, ha funzionato e l’ha rese celebre. Aveva tutte le caratteristiche giuste per esserlo e sono convinto, purtroppo, che molti si siano innamorati più del personaggio che della sua arte.
A me è rimasto il rammarico dei se, se le fossi stato più dietro, se mi fossi impegnato di più, se mi fossi fatto firmare una copia, se le cose fossero andate diversamente. Ma lei era una donna davvero ingestibile, evanescente, luccicante, folle, imprendibile, lunare, sgusciante, ispirata, incessante nella produzione (a tutti dettava qualcosa), perciò mi sono detto che non devo avere rimpianti.
Per riuscire a pubblicare con continuità si era, a un certo punto, circondata di persone di fiducia che riuscivano, in qualche modo, a seguirla.
Averla conosciuta, non frequentata, ma conosciuta è stato già un bel regalo.
Adesso le hanno dedicato un piccolo museo, tutti sanno chi è e in moltissimi la adorano – istituzioni comprese – ma mi sono chiesto tante volte dov’erano quando, nei pomeriggi invernali, passava il ponte per venire in negozio ed era sempre da sola?

Oggi mi rimangono le passeggiate sull’Alzaia (anche se lei abitava sulla Ripa), la possibilità di leggere i suoi versi in compagnia e sapere che i milanesi non l’hanno dimenticata.

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