Enti locali
La marcia dei ventimila: Milano, 3 maggio 2015
Quando il 14 ottobre 1980 i quadri intermedi Fiat, gli impiegati scendono in piazza e sfilano, in gran parte in silenzio, per dire che basta, che quell’occupazione che dura ormai da 35 giorni deve finire, tutti percepiscono che quella scena cambia le regole del gioco. È la scena che è rimasta nella storia come “marcia dei quarantamila”. Domenica pomeriggio a Milano è accaduta una scena simile? Forse. Al di là del giudizio politico, ci sono alcuni aspetti che ricordano profondamente la scena del 14 ottobre 1980 e non considerarli è sbagliato.
Il primo aspetto riguarda la necessità di rivendicare una identità e di garantire una fedeltà. Chi è sceso in piazza domenica, al di là della questione della garanzia del diritto di parola a chiunque, lo ha fatto per orgoglio meneghino, certo. Ma lo ha fatto anche per dire “questo mi riguarda”, me ne devo prendere cura, dipende da me.
Un altro aspetto ha contenuti più significativi e riguarda che cosa sia il futuro di Milano. Davvero come afferma uno dei manifestanti che aggrediscono verbalmente una giovane che manifesta le sue perplessità e esprime le sue critiche al progetto Expo, “Expo è l’unica possibilità del rilancio di Milano”? Vorrei pensare di no. In ogni caso la sensazione immediata è che Milano non sia messa bene se il senso comune dice che il futuro passa completamente per lì. Tuttavia se è davvero è così o se la percezione e la convinzione sono queste, allora si pone un problema di futuro: di che cosa questa città racconta di sé, di come si vive oggi, di come proietta il domani sul suo vivere oggi.
Qui sta la prima questione che mi ricorda la scena del 14 ottobre 1980.
Perché anche allora, al di là dell’orgoglio, del dissenso, oppure della voglia di riprendersi un ruolo, poi lo sguardo era verso qualcosa che comunque doveva garantire futuro e da cui il proprio presente in un qualche modo dipendeva. Insomma dietro quella legittima scelta di autonomia e di orgoglio stava una dimensione di affidamento e per certi aspetti di passività che era l’esatto opposto di ciò che si voleva testimoniare andando in piazza, presentandosi, cioè, come i protagonisti di una nuova stagione. La piazza di domenica che si è radunata con lo slogan “Nessuno tocchi Milano”, di cui facevo parte, aveva una temperatura che non mi lascia indifferente e nemmeno quieto.
Ci sono altre cose che mi hanno colpito.
La prima. Mi ha colpito chi non c’era, a dimostrazione che davvero i black bloc come a Genova hanno di nuovo vinto e hanno tolto la parola a chi era lì venerdì 1 maggio.
Questa sconfitta non è avvenuta l’1 maggio con le violenze di strada. E’ avvenuta domenica 3 maggio, quando la possibilità di presentarsi protagonisti di dire “tengo a questa città, anch’io” avrebbe significato non perdere la propria autonomia o subire il ricatto dell’ordine, ma ritrovare i margini di legittimità della critica. Non si trattava di andarci individualmente o separatamente, si trattava di presentarsi come soggetti organizzati. L’opportunità c’era.
Riepiloghiamo come è stata decisa l’adunata dei volenterosi di domenica. Ancora a scontri di piazza in corso, c’era la possibilità che quella mossa di orgoglio meneghino la proponesse la Lega. L’hanno proposta altri e il fatto che Pisapia la convocasse poteva essere una chance per tornare a parlare a Milano, dopo le violenze di venerdì. Il fatto che nessuno abbia avvisato questa opportunità, è sicuramente una spia della dimensione impolitica dei movimenti (che non dipende solo dall’avere o meno dei servizi d’ordine efficienti), è anche la spia indiziaria che il senso di quella opportunità è andato perduto.
La seconda. Non credo che Pisapia ci ripenserà e revocherà la sua decisione di non ripresentarsi per un secondo mandato , ma è certo che ieri pomeriggio, tra Cadorna e la Darsena, un pezzo di città ha dichiarato che è in cerca di un sindaco e in quel percorso ha anche comunicato cosa vuole che garantisca il prossimo sindaco di Milano. Anche in questo caso conta sia chi c’era, sia chi non c’era sia chi c’era ma ci stava stretto. Perché che piaccia o meno, in quel tragitto si è cominciato a scrivere un pezzo dell’agenda per Milano dopo Expo e forse un pezzo del programma del partito del Sindaco di Milano 2016-2021.
Anche per questo è stato sbagliato non esserci.
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