Piazza Duomo ritratta da Filippo Romano, durante il Lockdown del 2020

Milano

La lenta agonia della Bella Epoque di Milano

L’ultima indagine, che ha travolto un ex dirigente del Comune di Milano e il Salva-Milano, è un punto di svolta per la politica milanese. Vale la pena di ripercorrere questi anni di scandali, entusiasmi, e disillusioni, per capire di quale futuro vorrà e potrà dotarsi Milano

6 Marzo 2025

Quando questo giornale nacque, ormai più di dieci anni fa, Milano aspettava l’Expo con aria incerta, guardinga. Si sentiva, da un lato, l’onda di un tempo nuovo, che aveva iniziato a portare in città energie e capitali freschi, attraendo fondi e cittadini con le loro rendite personali, le energie di quando ci si vuole provare, e le eredità familiari. Ma dall’altro, l’aria nuova portava in dote vecchi dubbi: riuscirà la città a farsi trovare pronta, avendo già accumulato, come da italica tradizione, ritardi, scandali e scandaletti, un avvicendarsi di uomini soli al comando che aveva trovato pace solo, infine, con la nomina di Beppe Sala, l’ex braccio destro di Tronchetti Provera, l’ex city manager di Letizia Moratti, non proprio un curriculum di sinistra? E questo oggetto strano che era Expo avrebbe lasciato qualche segno più duraturo dei sei mesi di una fiera collocata in una Milano così remota, nella percezione dei residenti, da non sembrare nemmeno la stessa città?

Filippo Romano, Navigli
Filippo Romano, Navigli

Vi ricordate il “place to be”?

Come spesso capita, a guardare con troppa attenzione verso la luna, ci si dimentica che la luce più importante del nostro sistema è il sole: e così, pensando all’evento, non osservavamo una città che stava già cambiando, era già cambiata, in profondità. Nella quale – a prescindere da Expo, sostanzialmente ignorandolo – era mutata la popolazione, coi suoi gusti e le sue inclinazioni sociali e politiche, coi suoi interessi. La vittoria del centrosinistra guidato da Giuliano Pisapia, pochi anni prima, aveva del resto interrotto un dominio del centrodestra che durava da quasi vent’anni, per inaugurarne uno di colore opposto, che negli appuntamenti elettorali dei prossimi anni proverà a superare la longevità del ciclo politico precedente. Uno sguardo politicista aveva visto – anche correttamente – lo scongelamento del berlusconismo che si manifestava nella città da cui tutto era partito. Era vero. Non era tutto. Era la conseguenza di una trasformazione, non la sua sostanza. C’era infatti una città che mutava pelle e sangue, e la vecchia borghesia moriva o lasciava casa a figli e nipoti, mentre nuovi milanesi affluivano dal resto d’Italia, o lo diventavano dopo aver studiato quassù e deciso che lavoro e vita sarebbero stati a Milano. Il collante dell’anticomunismo e i traumi post-Tangentopoli, per loro, non erano più una ragione per stare dalla parte di un Berlusconi decadente, nella sua Bisanzio popolata di ragazzine e approfittatori. Era quella una lingua arcaica, che non descriveva le passioni del loro presente.

Molti anni dopo, oggi, a un anno dalle Olimpiadi invernali e a due dalla fine del secondo e ultimo mandato del sindaco Sala, a Milano tira un’aria tutta diversa. Allora infatti eravamo immersi in un clima “ascendente”, nel quale dopo decenni vagamente depressivi, generati dalla coda lunga di Tangentopoli e segnati da riduzione e poi stagnazione demografica, ci si affacciava, quasi riluttanti o vagamente scettici, a un’epoca di neo-entusiasmo. Ma nell’aria di Milano c’era voglia di sorrisi e successo, e di soldi e divertimento, ovviamente. La stessa epoca che oggi giunge al termine, tra malesseri e malcontenti realmente vissuti e racconti a tinte fosche che rimuovono tutte le luci, dopo aver raggiunto apici di esaltazione irrealistica, che hanno sempre nei valori immobiliari il loro specchio più evidente e semplicistico. Il clima è cambiato. Le case continuano a costare tanto, ma il malessere abitativo è all’ordine del giorno di ogni agenda sociale e mediatica milanese. Il Covid, le perdonabili scivolate su Milano che non si doveva fermare, sono tutte archiviate. Il guaio esistenziale è la fine radicale dell’ottimismo come clima e collante. Del resto, ad amplificare e confermare le ragioni di un malessere, i principali casi politici e giudiziari riguardano, in modo diverso, le questioni urbanistiche ed edilizie, e coinvolgono i nomi simbolo dell’architettura milanese nel mondo e lo stesso modello di sviluppo della città di questi decenni. Ci ritorneremo.

Filippo Romano, Bosco Verticale

Il sottofondo narrativo: una città “pericolosissima”

Ma prima di guardare in alto, agli smottamenti che riguardano i simboli del potere di questi anni, vale la pena di partire dal basso, dal livello della strada. Dove il nome dell’archistar indagata e del “Salva-Milano” arrivano forse di terza mano, ma realtà e immaginazione di una città pericolosa e insicura invece popolano gli immaginari di molti. Uscendo dai palinsesti di tutte le ore della tivù generalista, il grido di allarme per la sicurezza è diventato il ritornello sulla bocca di tutti. Guardo le statistiche, e dicono di una situazione in continuità col recente passato. È vero, alcuni indicatori di criminalità sono in lieve aumento, altri sostanzialmente stabili, ma insomma: parliamo di una città con un milione e mezzo di abitanti, e circa venti milioni di visitatori all’anno. Nella quale ogni giorno entrano per lavorare e poi per uscire a sera centinaia di migliaia di persone. E chi ci abita, chi magari come me abita in un quartiere di periferia che è un reticolo di strade vuote e spesso deserte, chi la cammina in lungo e in largo a varie latitudini e prende i mezzi pubblici anche a sera tardi, non si ritrova nei racconti da Gotham City che arrivano dai media. Racconti che, tuttavia, spesso circolano anche tra le persone residenti a Milano e tra i visitatori, a volte allarmati oltre ogni limite, che pure quando arrivano in città chiedono in quali zone è meglio non andare. Capita anche a chi scrive, spesso, di chiedere ai concittadini, ai vicini di casa, che invocano più sicurezza e polizia se siano mai stati vittime di violenze, o anche solo di minacce. La risposta è quasi sempre “a me no, ma…”, e in poche parole si ritorna alla cattiva maestra televisione descritta da un filosofo liberale, sul finire del secolo scorso. La realtà è un’altra cosa, ma come si sa bene, quello a cui credono o temono le persone, in politica, finisce col contare più di ciò che gli succede davvero, perché quel che si crede e si ricorda conta infine più di quel che è successo davvero. La televisione, proprio lei, che sembrava un vecchio arnese già molti anni fa, eppure ancora influenza, determina.

Questo racconto di pericolo costante, di minaccia che tutti circonda, conta molto di più di una realtà diversa, certo composita e contraddittoria – come capita sempre alle grandi città – perché costruisce un clima, un immaginario. È forse anche un’onda lunga e sotterranea della pandemia, rimossa come ricordo attivo, ma che permane sotto pelle in tante inquietudini. Che si proietta in una nube di emozioni e parole che hanno cambiato verso, come fosse un’inversione a U, rispetto all’ottimismo entusiasta e fuori dal mondo della città di prima.  Nel quadro dei malcontenti a livello della strada, trovano posto anche le attese sempre più lunghe alle fermate dei mezzi pubblici (quelli di superficie, principalmente), e un certo senso di abbandono che sembra circondare molti quartieri appena fuori dal centro, dove l’assenza di cestini per la spazzatura fa rima con cartacce e avanzi sui marciapiedi e negli angoli delle strade. Un senso di “periferia” che si estende, dopo che la parola è stata abolita dal lessico comunale per lasciare il posto – per volontà improvvisa di Sala, e di chi lo consigliava, a un certo punto, dopo che aveva promesso che le periferie sarebbero state la sua ossessione –  alla neutrale definizione di “quartieri”. E tutto succede in un tempo, nel quale, come mai prima, il percepito e il raccontato invadono la realtà materiale come mai prima.

Carissimo abitare

Quel che non è determinato solo dal racconto, ma semmai lo determina, è l’oggettivo, verticale aumento dei costi dell’abitare in questi anni a Milano.  Le ragioni sono tante, di lungo periodo, in una città che nei decenni ha vissuto una  fisarmonica demografica e una pressione sull’immobiliare accelerata nei lunghi anni di tassi a zero, fenomeno che capita ovunque il mercato immobiliare risulti attrattivo, e non certo solo qui. Solo che la congiuntura socio-economica del dopo-Covid, i lunghi mesi di congelamento di risorse e mobilità e l’accumularsi di incentivi e aiuti vari, hanno prodotto la tempesta perfetta su una nave che già viaggiava incerta: i prezzi sono ulteriormente schizzati verso l’alto, quelli delle case – affitti, mutui a tasso variabile, ecc – e quelli di tutto il resto, e così ci si è accorti in maniera esplicita, innegabile, che con gli stipendi della città si fa fatica ad abitare in città, se si vuole anche mangiare. A patto di non avere una casa di proprietà, cosa che tuttavia riguarda un’ampia maggioranza di milanesi residenti (attorno al 75%), molti dei quali avranno anche un mutuo, non sempre elevato e non sempre a tasso variabile. Questo, che sembra un inciso, tale non è, perchè spiega bene una città che è si escludente, ma lo è sulla base degli interessi di un blocco importante dei suoi insider, per i quali – molto spesso – la crescita della rendita fondiaria, cioè del valore degli immobili e della loro capacità di generare reddito e plusvalenze, non è vissuto come un problema – cosa che è per chi è fuori – bensì come un valore. Perché al limite quella casetta ereditata dalla nonna o comprata tanti anni fa coi risparmi di nonni di altre latitudini la si può vendere, o mettere su Airbnb. Resta che il problema ha cominciato ad essere riconosciuto e percepito per quello che è: un fattore e acceleratore di diseguaglianza che segna le differenze tra chi è dentro, o per rendita ereditata o per redditi molto elevati, e chi è fuori, come capita peraltro in tutte le città “di successo” d’Europa e del mondo occidentale (forse con la sola eccezione di Vienna, per ragioni che meriterebbero ragionamenti e approfondimenti specifici).  Non è un caso se, proprio ai temi dell’edilizia, dell’urbanistica e dell’architettura, in queste settimane e nei mesi precedenti si sono concentrate inchieste, scandali, e discussioni politiche.

Filippo Romano

La procura, rieccola nel cuore di Milano

Partiamo dal fondo, dal Salva-Milano, che sarebbe dovuto faticosamente arrivare – sia per chi lo voleva, sia per chi lo avversava – verso la fine della discussione, prima che l’ultima inchiesta della magistratura milanese obligasse la politica di ogni colore ad alzare bandiera bianca, e perfino il sindaco Sala a cedere sul provvedimento che aveva chiesto con forza tutti i giorni da settimane e settimane. Il finale della vicenda è molto istruttivo, perché fa riassunto di contraddizioni e debolezze enormi in poche righe di giornale. Il Pd milanese,  in Consiglio Comunale, aveva proposto una mozione di sostegno al provvedimento che poi è passata con qualche spaccatura nella maggioranza e l’astensione del centrodestra. È il Pd di Milano, cioè la città che col suo voto alle primarie è risultata decisiva per l’elezione a segretaria di Elly Schlein. Sembrava, quel voto in consiglio, il segnale di una volontà politica maturata, ma dopo quel voto sono seguite altre inversioni a U in una storia che ne ha conosciute già tante. Prima appunto dell’epilogo giudiziario in una vicenda tutta guidata dalle inchieste. Subito dopo l’ultima pagina giudiziaria, quella appunto che chiude la vicenda, il Pd recita in coro che “serve una profonda discontinuità sull’urbanistica, in città”. Se non ci fosse stata l’indagine – viene da chiedersi – questa discontinuità non sarebbe servita, e quindi si poteva pur con qualche mal di pancia votare un provvedimento come il Salva-Milano, che non solo puntava a sanare il passato ma finiva con il proiettare le stesse lassiste non-regole nel futuro, ed estendole peraltro a tutto il paese?  Per non perdere memoria di un dibattito comunque utile al futuro di una città e più in generale dell’urbanistica italiana, mi permetto di segnalare – ormai come reperti di un dibattito superato dalla cronaca – una serie di interventi in proposito. Su queste pagine, abbiamo infatti pubblicato uno tra i primi e più forti appelli accademici contro la norma, e dato spazio a una discussione tecnico-politica tra lo sguardo di chi riconosceva all’intervento legislativo  diverse ragioni, e quello di chi invece ne evidenziava i rischi e i torti.

A comporre il quadro di questa vicenda sono molti elementi, come succede a una storia iniziata ben più di dieci anni fa. La prassi urbanistica ed edilizia, contestata prima davanti al TAR diverse volte e senza successo, e poi diventata oggetto di un’indagine della procura della Repubblica che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati per abuso edilizio diversi professionisti e funzionari del Comune di Milano (e nessun politico), è la fotografia perfetto di un cambio di direzione e forza del vento. Di molti venti, potremmo dire. Quando si “sperimenta” questa prassi, che prevedeva procedure autorizzative molto semplificate, semplici “silenzi-assenso”, anche per interventi volumetrici molto imponenti, che potevano portare anche al cambio di destinazione d’uso e a profonde e invasive innovazioni di paesaggio, siamo in piena giunta Pisapia, la sua assessora e vicesindaca è Ada Lucia De Cesaris (che nell’ordinanza del GIP di questi giorni risulta attivissima per far approvare il Salva-Milano), l’edilizia in città è abbastanza al palo, come  sono fermi i prezzi degli immobili, da un po’, e la nuova ventata narrativa che coincide con Expo ancora lontana. È un’interpretazione delle regole molto permissiva e assolutamente minoritaria rispetto a quelle che si seguono in giro per l’Italia, anche perché si appoggia a norme della regione Lombardia particolarmente permissive. Leggi votate dal centrodestra, ragionevolmente senza l’appoggio del centrosinistra (regionale): mentre quello cittadino, evidentemente, trovava che fossero altrettante opportunità.

A pesare, nel costruire questo umore permissivo, oltre a un’onda lunga di stagnazione demografica e di poca attrattività della città, era anche anche un ciclo monetario restrittivo, con tassi abbastanza elevati, che porta i risparmi ad essere allocati altrove, sul mercato mobiliare o in titoli di stato di lungo periodo che offrono una remunerazione sicura. Lo abbiamo già accennato ma è bene ribadirlo: sul mercato immobiliare, oltre a elementi storici e territoriali specifici, pesano, e molto, fattori macroeconomici e di politica monetaria che vengono molto spesso trascurati, almeno nei racconti semplificatori che hanno maggiore successo, perchè non aiutano il racconto binario che vede la speculazione da un lato della barricata e la cittadinanza su quello opposto.
Quello che inizialmente viene vissuta come un’interpretazione tecnica per facilitare lo sblocco dell’edilizia, diventa presto la prassi che porta a sorgere grattacieli dove prima c’erano palazzine di uffici a due piani. A un certo punto, dopo ormai un decennio pieno di “prassi”, la questione diventa oggetto di attenzione della giustizia penale, e di una procura oggi guidata dalla corrente di destra di Magistratura Indipendente, dopo lunghi anni targati Magistratura Democratica, e improntati a uno stile “morbido”, che ha avuto nella “moratoria per Expo” il suo sigillo più evidente. Una moratoria ufficialmente terminata con il processo e la condanna al sindaco Sala per falso ideologico, andata poi prescritta in appello nel 2020.

Una città “mondo a parte” (che se ne vanta)

Quando parte dunque l’indagine della procura, a metà tra il ricatto voluto dalla politica e la comprensibile paura degli uffici amministrativi, tutto si blocca, e siamo ad adesso. Sia le poche pratiche interessate dall’eventuale provvedimento, che molte altre, che con la fattispecie nulla avrebbero a che fare. Per questo serve un intervento legislativo e una sottostante, precisa, idea politica. La fatica di arrivare dignitosamente al primo dipende probabilmente dall’assenza della seconda. Con i singoli politici di ogni colore – emerge dall’inchiesta, non sono indagati, non è reato, ma qualcosa racconta – che passano il tempo coi rappresentanti dei costruttori e i professionisti dell’architettura a farsi dire come scrivere le norme. È vero, è normale interloquire, ma la sensazione che resta è quella di un’interlocuzione nella quale una politica debolissima, da ogni lato, non ha alcuna forza dialettica, nessuna visione da mettere in rapporto con i vari interessi rappresentati. La vicenda evidenziava, già prima, un tema politico di fondo, che riguarda il Pd in particolare, ma l’intero quadro politico: Milano è sempre più spesso vista come un mondo a parte, un’enclave che segue logiche tutte sue. Per cui, un provvedimento come il Salva-Milano che sembrava stare molto a cuore alla borghesia milanese, in buona parte sostenitrice del Pd di governo della città, e che ha trovato nel sindaco Sala il suo massimo sostenitore, tende a non piacere alla base elettorale nazionale, che invece si ritrova sulla linea Schlein, con un radicamento più “a sinistra” e più a sud. Archiviato il Salva-Milano, entrambi nodi resteranno sul tavolo, e continueranno a corrodere la politica nazionale.

La politica e la società milanese, invece, proprio perché lontane per tante ragioni da dinamiche comuni a molti altri pezzi d’Italia, hanno davanti e dentro varie ragioni di inquietudine. Non è un caso, evidentemente – e se lo è significa che il caso ha occhio, senso del tempo e diremmo anche dell’umorismo – se varie questioni che attraversano agitandola la scena milanese hanno in comune il campo di partenza: edilizia, urbanistica, architettura. Del Salva-Milano, dell’inchiesta da cui è nata l’idea di una maxi-sanatoria, e di quella che ne ha archiviato l’iter per come lo conoscevamo, abbiamo appunto detto. Ma non sarebbe giusto dimenticare, in questo quadro, la recente inchiesta sul concorso internazionale per la progettazione della Beic, che vede indagati diversi professionisti di primo piano del mondo dell’architettura milanese, a cominciare da Stefano Boeri, progettista di fama mondiale, autore del simbolo della “nuova Milano”, il Bosco Verticale, presidente della Triennale che proprio in questi giorni ha lanciato la prossima Esposizione, intitolata Inequalities, ed ex assessore alla Cultura nella prima parte della Giunta Pisapia. Boeri è accusato, assieme ad altri architetti e ingegneri, di aver favorito illecitamente i vincitori del concorso, e di aver violato, con loro, le regole di segretezza e riservatezza. La procura aveva chiesto addirittura gli arresti domiciliari, il Gip si è “limitato” a disporre la sospensione per un anno della possibilità di sottoscrivere contratti con la Pubblica Amministrazione, oltre alla partecipazione ai concorsi, per lo stesso Boeri e per Pier Paolo Tamburelli, interdicendo dalla sola attività concorsuale un altro indagato eminente, l’architetto Cino Zucchi. È vero, non sono gli arresti. È vero, non è una sentenza ma solo un’ordinanza che dispone misure cautelari sulla base di una valutazione di gravità indiziaria che sarà comunque oggetto di un vaglio più approfondito e totalmente autonomo da parte di altri giudici. È tutto vero, e tuttavia fa una certa impressione che a nessuno, nè in Comune nè in Regione nè al Ministero, per parlare di articolazioni dello Stato che governano altrettante importanti pubbliche amministrazioni, abbia avuto da ridire – anche solo in forma di domanda pubblica, aprendo uno straccio di dibattito civico e politico – sulla permanenza al vertice di un presidente che non può contrattare con la Pubblica Amministrazione di un ente espressione, appunto, delle loro pubbliche amministrazioni. E che nessuno, tranne il consigliere di amministrazione Stefano Zecchi, abbia sollevato obiezioni. Certo, tra i consiglieri di amministrazione di Triennale siede anche Regina De Albertis, che non è indagata personalmente nell’inchiesta che ha portato agli arresti di Oggioni, ma che presiede Assimpredil-Ance, la confindustria dei costruttori, che avrebbe dato “altra utilità” allo stesso Oggioni per sveltire in modo irregolare le pratiche edilizie. La stessa Regina De Albertis della quale si è fatto molte volte il nome come potenziale candidata sindaca del centrodestra, assieme a quello di Maurizio Lupi, anche lui non indagato, nemmeno per mezzo di un’associazione che a lui fa capo, e anche lui molto attivo sul Salva-Milano, nelle carte giudiziarie di cui parliamo in questi giorni.

Foto di Filippo Romano


E adesso?

Un dettaglio, parrebbe, che però illumina bene una situazione generale: l’endogamia assoluta che regna tra salotti, istituzioni pubbliche e interessi privati. Chi si alza a dire beh, se ieri o domani, qualcuno è o sarà così clemente da non dire nemmeno bah? Per cui poi, arrivati al dunque, sembra di tornare a vedere quel che ha molte volte generato il populismo, in Italia e nel mondo: una classe dirigente distaccata dal mondo, chiusa in circoli autoreferenziali, che vive come un peso ogni critica e non ricorda il dovere del rapporto con la società. È una questione più grande, ma riguarda sicuramente anche il prossimo futuro della città di Milano. Sala ha provato a insistere – non è chiaro a chi scrive se credendoci davvero, o per il puntiglio di dimostrare che tante critiche non avrebbero comunque fatto di lui un perdente – sull’ipotesi impossibile di un terzo mandato. Un’altra impuntatura che è ragionevole ritenere archiviata, come quella sul Salva-Milano. Le due questioni di fondo però restano sul tavolo. Come si uscirà dal pantano edilizio-urbanistico che è derivato dalle inchieste della procura su una prassi urbanistica inveterata quanto evidentemente disinvolta? Quel salva-Milano non era una soluzione, ma una soluzione serve, e lo sanno tutti quanti osservano – innocenti e impotenti – la paralisi degli uffici comunali. E cosa si inventerà la politica, se esiste ancora, per immaginare un futuro per il suo ruolo in una città che, altrimenti, ha già dimostrato di sapersela cavare benissimo da sola, autogovernandosi, cioè facendosi governare senza infingimenti e mediazioni, dal “mercato”, continuando comunque ad offrire opportunità e casa, per lo più a chi ha già avuto molto della prima cosa, e può scegliere dove mettere la seconda?

Sono domande cruciali, ben più del destino di una media città europea – che comunque sopravviverà “dignitosamente” e continuerà a fare bella figura in un paese moribondo -, perché riguardano le basi dello stare insieme in democrazia, in un’epoca che ha dimenticato il dovere e il valore della pianificazione politica, e adesso conta i cocci, sperando che non siano troppo piccoli per rimettere insieme il vaso. A essere ottimisti, la galassia di casini esplosi in serie nel capoluogo lombardo sono un’ottima occasione di lavoro. Un bel laboratorio per provare a rifondare un modo di progettare e amministrare. O anche, “solo”, di fare battaglia politica.

 

(Foto di Filippo Romano, che ringraziamo per la generosità)

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