Milano

La debolezza di Alitalia e il ruolo di Air Italy nei voli transatlantici

7 Luglio 2019

Da più di due anni l’opinione pubblica viene subissata della cronaca della difficile ricapitalizzazione di Alitalia, erroneamente presentata come soluzione dei problemi della linea aerea e dunque dell’aviazione italiana. In realtà, per parafrasare Churchill, la ricapitalizzazione sarà soltanto la fine dell’inizio e il vero problema sarà andare oltre i quick  wins dei commissari straordinari e portare il bilancio almeno in pareggio.

Anche se lo si ottenesse, l’aviazione italiana dovrà sempre vedersela con l’eredità di almeno tre decenni di perdite, che hanno ridotto le compagnie aeree italiane a controllare solo una piccola parte del traffico e a una presenza poco più che simbolica nei traffici intercontinentali. La Caporetto definitiva avvenne nel 2008, quando Alitalia, chiudendo l’hub di Milano Malpensa, abbandonò il cuore economico del Paese, che batte nella pianura padana.

Successivamente l’enorme sviluppo dei voli con l’Asia è stato appannaggio delle compagnie asiatiche, del Golfo e turche, ma lo stesso è accaduto quasi ovunque in Europa. È andata diversamente però nei voli sull’Atlantico settentrionale, dove si sono create tre grandi alleanze o joint ventures che insieme formano un oligopolio che controlla quasi tutto il mercato fra Europa da un lato e Stati Uniti e Canada dall’altro. Le tre joint ventures fanno capo rispettivamente a Lufthansa, British Airways e Air France KLM da questo lato dell’oceano e a United Airlines, American Airlines e Delta dall’altro lato dell’Atlantico.

Le vicissitudini della ricapitalizzazione di Alitalia giocano comunque intorno al suo mantenimento all’interno dell’alleanza fra Air France e Delta, con quest’ultima che prenderebbe il posto che la prima ebbe nella privatizzazione berlusconiana di Colaninno. In ogni caso il ruolo che spetta all’Italia è quello di Cenerentola, con qualche marginale miglioramento rispetto a dieci anni fa, ad esempio ora è concesso ad Alitalia un volo fra Roma e Los Angeles.

Milano, nel gioco dell’oligopolio delle tre JV, non può assurgere al ruolo di hub e non può avere voli diretti per il Nordamerica se non per New York, con qualche rinforzo qua e là in alta stagione. Il ricco traffico da e per il nord Italia deve continuare ad essere incanalato attraverso gli hub di Parigi, Amsterdam, Londra, Francoforte, Monaco etc., perché  via Roma si allungherebbe il viaggio. Ne risulta un deciso impoverimento del servizio per i nostri territori, perdita di traffico, di PIL e soprattutto di posti di lavoro.

La situazione di sottosviluppo nei voli intercontinentali del nord Italia è anomala e a Milano si sono presentati nuovi attori per sfruttare le opportunità che il suo mercato presenta, che la debolezza di Alitalia non permette di sfruttare e che le tre joint ventures preferiscono soffocare nella culla.

Per prima Emirates ha aperto un volo diretto fra Milano Malpensa e New York JFK, abbattendo su quella tratta i prezzi e insieme gli extraprofitti delle joint ventures, poi sempre dal Golfo è arrivato il frutto dell’investimento di Qatar Airways nella traballante Meridiana.

Cambiato il nome in Air Italy, con aerei moderni che permettono di offrire un servizio di alto livello, nel giugno 2018 sono partiti i voli da Milano per New York JFK e Miami, seguiti pochi mesi fa da quelli per Los Angeles e San Francisco, che da oltre un decennio non vedevano voli diretti per il nord Italia, nonché per Toronto che ha l’aeroporto più importante del Canada. Air Italy sta costruendo a Milano un hub alternativo a quello romano di Alitalia, i due mercati sono di fatto indipendenti e con i brevi voli di collegamento con Milano le stesse destinazioni americane sono già disponibili anche ai passeggeri di Roma, del sud e delle isole.

Le tre joint ventures o meglio i loro membri americani, cercando di approfittare della ventata protezionista dell’amministrazione Trump, hanno risposto con un fuoco di sbarramento e vorrebbero impedire ad Air Italy di volare sopra l’Atlantico, esattamente come avevano già fatto con Norwegian negli anni precedenti. L’obiettivo è difendere profitti e quote di mercato delle JV dagli effetti della concorrenza, il tutto mentre le autorità italiane o sono distratte o non capiscono o sono alla mercé di Delta perché partecipi al salvataggio di Alitalia.

Tra Europa e Stati Uniti e Canada sono in vigore accordi Open Skies, cioè qualunque linea aerea che a loro appartiene è libera di volare sull’Atlantico dove, come e quando vuole, ma American, United e Delta, che pure possiede il 49% della londinese Virgin Atlantic e robuste quote in Air France KLM e si appresta a entrare nel capitale di Alitalia, chiedono a Trump di bloccare Air Italy perché ha un socio extracomunitario al 49%, Qatar Airways.

Nelle ultime settimane Emirates ha visto riconfermato il suo diritto, sancito dagli accordi che a suo tempo gli USA fecero firmare agli Emirati Arabi, di caricare passeggeri nella tappa a Milano del suo volo fra Dubai e New York JFK e, nel silenzio del governo italiano, è stata la Commissione Europea a dare un altolà all’amministrazione Trump, intimando di non porre ostacoli ai voli di Air Italy, perché altrimenti si metterebbe a rischio l’intero quadro regolatorio dei voli fra Europa e America.

Nemmeno sull’altra sponda dell’Atlantico il sostegno al comportamento prepotente delle tre compagnie principali è unanime, di tutt’altro avviso e a favore del mantenimento dei cieli aperti sono Fedex che è leader nel trasporto delle merci e JetBlue Airways, che con i piccoli, ma efficientissimi Airbus A321XLR vuole aprire nuovi voli e scardinare l’oligopolio.

Sorprende l’assenza di pubblici commenti e iniziative delle nostre alte sfere. La disponibilità dei voli diretti da Milano verso l’America che oggi Air Italy garantisce è un vantaggio importante per la capitale economica del Paese, anzi è la fine di uno svantaggio, dovuto all’eterna crisi di Alitalia e durato oltre dieci anni. Sarebbe una follia lasciar ricacciare il nord Italia in serie B. Per ora ci ha pensato l’Unione Europea, ma il governo italiano deve capire che, visto che Alitalia non potrà mai andare oltre un modesto ruolo regionale e da tempo si avvale di capitali esteri, chi investe per aumentare la nostra limitata connettività intercontinentale va sostenuto e difeso. Lo stesso vale per il sindaco di Milano Beppe Sala, la cui fortuna politica nasce dall’evento globale EXPO e vuole proseguire con le Olimpiadi Invernali. Milano e il nord Italia hanno bisogno che il nuovo hub carrier di Malpensa possa svilupparsi senza essere sacrificato all’attenzione per la sempre gracile Alitalia, che è e resterà compagnia romana. Sala è pure il dominus degli aeroporti milanesi, che rendono annualmente al Comune lauti dividendi e meritano attenzione affinché si possano sviluppare come meritano.

È arrivato il momento di comprendere che lo sviluppo di Milano passa per lo sviluppo della sua connettività intercontinentale.

 

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