Milano
La consonante di differenza: kafka, kakà e milano
Potenza dell’enigmistica e di una consonante. Questi due autori di capolavori hanno in comune ben di più di quel cognome quasi simile.
Intanto, uno è forse lo scrittore più grande del Novecento e l’altro che appena dopo la fine del secolo ha toccato vette di calcio mai viste.
Uno non amava le guglie aguzze del Duomo, ma alla Cattedrale di Milano si è ispirato per le ambientazioni care a Josef K., il brasiliano ha lavorato nell’altro tempio (un pochino più periferico per la verità).
Uno era una specie di chierichetto, a letto presto e tante preghiere come raccontava Eros Ramazzotti che era suo vicino di casa; l’altro era un frequentatore di bordelli anche se quello di Brera “Al vero Eden” non gli era piaciuto perché poco coinvolgente: «Niente balli, nessuna consumazione. Solo fissare nudo e crudo».
Tutti e due sono passati da Milano e in entrambi la città ha lasciato una traccia indelebile in quello che hanno fatto.
Difficile sceglierne uno, definire chi era il migliore, diciamo che ognuno di loro ha tatuato qualcosa nell’animo umano, chi la gioia, chi un’angoscia da dormiveglia.
Chi andava in porta con una verticalità impressionante e chi con cinque parole, scritte, scarne ma affatto ermetiche, spiegava quei sentimenti che fino ad allora non si pensava di conoscere.
Due Maestri che amo.
Non so se mi piacerebbe di più saper scrivere come Kafka, la cui prosa, intesa proprio come linguaggio è grandiosa oppure giocare a calcio come Kakà, con la poesia nei piedi.
Di tutte e due mi piacerebbe avere l’umiltà, il fatto che nella loro grandezza non si sentissero delle prime donne. Inoltre mi offrono la possibilità per dire una volta di più che AMOMILANO, perché mica in tanti altri posti sono passati due così. Con solo una consonante di differenza.
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