Beni comuni
Io pedalo. La messinscena del Corriere sui cattivi ciclisti senza luci
Perfetto. Sono arrivati i giornalisti del Corriere, quelli che fanno opinione, a mettere i puntini sulle I. Una bella pagina aperta alla discussione sulle biciclette senza luci. E sono partite le lettere indignate, additando il pericolo, la maleducazione, di questi ciclisti che paiono scorrazzare come barbari nelle strade infestate di automobili. Solo chi non ha mai più poggiato le chiappe sul sellino dopo l’adolescenza (chi non l’hai fatto nemmeno prima ha tutta la mia compassione) può montare un tale gnègnè spacciandolo per informazione e confronto. Io mi brucio la città, sì, come la bella canzone, tutti i giorni, le ciclabili le vivo per dovere, mi muovo soprattutto tutto a destra delle auto, non le temo, sono anche un automobilista, ho patente da 40 anni, le conosco, so come proteggermi, e nel dirlo mi metto le mani a coppa sui santissimi, io conosco la strada. Loro pare di no. Oppure non capiscono. Fanno pure il verso liberal, che si potrebbe tradurre così: Ma dai, è giusto parlarne, facciamo un po’ di pulci anche a voi, che il popolino rinchiuso e iperteso si accende e partecipa! Giusto, le pulci. Invisibili. Rispetto a un plateale SUV, per esempio. E poi, ecco la farsa di accogliere a braccia aperte il mix di perplessità e incazzatura di chi ha letto e trovato la questione insulsa. Perché fuorviante. Che sposta, quindi nasconde, il vero problema, meglio detto trauma urbano. Questo è pericoloso. Non esistono incidenti dovuto alla mancanza di luci sulle nostre belle bike. Si tratta di fastidio puzzone, da frustrati, quelli del “Uffa, e allora loro”, insomma, quello sconfinato benaltrismo che ammorba e avvelena questo paesone. Certo, è da coglioni non mettere la luce alla bici, ma questi guardano il famoso dito che indica il satellite dei poeti, invece di infilarselo nel naso (non voglio scomodare l’orifizio principe) mentre sono fermi al semaforo a bestemmiare. Perché, ripeto, non si legge alcuna tragedia per quella mancanza, dove facciamo invece la conta quotidiana dei falciati su due ruote a pedali, perché invisibili, trattati con fastidio, pur essendo gli unici a far del bene al bene comune dello spazio e dell’aria. Mi sale il sangue alla testa, e per farlo diluire e concentrare dove sarà più utile, salgo sulla bici e pedalo. Anche se c’è luce, una bella luce secca che ricalca i contorni, accendo la mia lucina a cravatta. La lascio a intermittenza. Mi va di lampeggiare. Fa un bel freddo becco, sale facile l’adrenalina, e pure la temperatura corporea, e lentamente tutte quelle puttanate scritte e rilanciate evaporano, come i cattivi pensieri. I cattivi maestri, oggi, sono i superficiali.
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