Milano

Inizia la conta degli orfani (ma valgono di più il culo e il talento di Renzi)

8 Febbraio 2016

Le uniche primarie (vere, contese, belle e polemiche) che Matteo Renzi voleva davvero eliminare – le primarie di Milano – gli restituiscono interamente il senso della forza, in una sapiente amministrazione di proprietà politiche, dove a una certa attitudine al talento si unisce un’impareggiabile ed evidente dose di culo. Un libello delizioso di Gene Gnocchi di qualche anno fa («Il culo di Sacchi», Edizioni Zelig) proponeva fantasticamente ciò che fu evidente a tutti la notte di Belgrado (9 novembre 1988), dove un Milan che stava per essere messo alla porta dalla Coppa dei Campioni venne salvato da una demoniaca acquerugiola che avvolse il campo di gioco e che costrinse l’arbitro a sospendere una partita che vedeva i rossoneri sotto di un gol. La nebbia, che a Belgrado non scendeva da qualche secolo, consentì all’Arrigo una pienissima ricongiunzione tra talento e fortuna.

In politica senza fortuna non si va da nessuna parte ma è chiaro che l’uccellino con il biglietto vincente non si posa mai sulla spalla degli sfigati. Sceglie personaggi meritevoli, spesso imponendo scelte ch’essi stessi magari non farebbero e che si trovano a condividere solo perché in quel momento il treno passa. Non ci voleva Pico della Mirandola per capire che Beppino Sala era il Frecciarossa giusto, se lo avevamo capito noi di Stati Generali ben prima di Matteo Renzi. Quindi un pezzetto della fortuna del premier gli è completamente estraneo. Ha avuto culo a sua insaputa, si direbbe oggi. Il suo talento, semmai, è stato quello di frenarsi, di mordersi la lingua, di non essere platealmente e sconsideratamente prevaricatore, anche se il suo endorsement sotterraneo era più che evidente. Ma dopo aver pensato di eliminarle, Renzi ha capito che le primarie di Milano potevano essere un’occasione storica per riposizionare sul tappeto la sua «nuova» idea di partito. Ha patito un po’ quando il sindaco gli ha messo davanti il suo dolcetto-scherzetto Balzani, sapendola sufficientemente credibile per battersi ad alto livello e poi con quel padrino. Ma ha fidato sull’orgoglio d’altri tempi di Pierfrancesco Majorino, il quale, restando in campo, ne avrebbe frenato la corsa. E così è andata. E oggi Renzi festeggia (vedremo invece dove ha scelto lui cosa succede).

Già da oggi però il presidente del Consiglio resta sullo sfondo. I veri protagonisti di queste primarie, fondamentali per capire il futuro della sinistra, diventano gli Orfani. Ce ne sono di tutti i tipi, gli orfani più diretti riconducibili a Majorino che mai e poi mai con Sala e gli orfani indiretti, i “balzaniani”, che per interessi e visioni del mondo (e dell’economia) non differiscono poi tanto dal commissario di Expo, ma che considerano uno sfregio nel tabernacolo della politica la sola ipotesi di considerarlo di sinistra. (Qui si pone subito una questione politica/politica, che riguarda le singole persone e non i popoli di riferimento. In un rovesciamento solo apparentemente paradossale, è decisamente più possibile che sia Majorino a lavorare in giunta con Sala piuttosto che Balzani. Ma queste sono le realpolitik a cui siamo discretamente abituati).

Intanto. Gli orfani di Majorino e Balzani potrebbero unire i loro destini a livello nazionale, creando una nuova forza a sinistra del Pd? Tutti quelli che lo auspicano, quelli che uniscono automaticamente i voti dell’uno a quelli dell’altro, vivono sul pianeta che non c’è. Non c’è nemmeno una piattaforma comune su cui lavorare, se non forse sul terreno del sociale, dove gli orfani balzaniani sarebbero costretti a riconoscere la primazia dei majoriniani.

Del resto, abbiamo fatto un giocherello facile che è poi quello di scorrere le personalità che si sono dichiarate per questo o quel candidato. La lista Balzani non è affatto composta da orfani inconsolabili, semmai consolabilissimi con le opportunità che eventualmente dovesse offrire il mercato. Ma insomma, pensare che l’esimio professor Giavazzi (per una volta senza il suo navigatore Alesina) possa mettersi in un angolo rimuginando tra sé e sé ostilità perenne a Matteo Renzi, il giorno che si voterà per le nazionali, è un esercizio ai limiti dell’impossibile. Così come pensare che Gad Lerner, al quale piace ormai indirizzare le coscienze politiche dei candidati, voglia aderire a qualche progetto imbastito da Fassina , D’Attorre o un Civati. Tutti questi mondi borghesi, molto borghesi, hanno certamente licenza di critica, anche aspra, nei confronti di Renzi, ma poi dove vanno? O non votano, il che è plausibile ma forse non probabile, o votano l’ex sindaco turandosi moderatamente il naso. Alternative non appaiono all’orizzonte.

Degli orfani majoriniani si può dire tutto il bene possibile perché è gente appassionata e anche un po’ idealista. Ma forse anche un po’ fuori dal mondo. Che combatte la sua battaglia da dentro ma vorrebbe tanto stare fuori e però fuori un posto (ancora) non c’è e chissà mai se ci sarà. Gente per cui il bulletto toscano non è digeribile, che non ha intenzione di scostarsi da “quei” valori della sinistra che hanno fatto della sinistra un corpo riconosciuto. Gente che parte dal sociale per arrivare all’economia e non viceversa. Gente bellissima, che ha perso.

Il talento di Renzi, grazie a queste primarie, è stato quello di cristallizzare perfettamente questi due mondi, lasciando l’illusione che gli orfani di riferimento potessero parlarsi. In realtà sono orfani non compatibili. Ognuno parla una sua lingua senza essere compreso dall’altro.

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