Milano

Ingegnosità collettiva a Milano: apprendere, lavorare, condividere

23 Luglio 2015

Dal 4 giugno al 3 luglio la Galleria San Fedele ha ospitato la tappa milanese di WAVE – come l’ingegnosità collettiva sta cambiando il mondo, la mostra itinerante promossa da BNP Paribas. Contestualmente alla presenza della mostra è stato organizzato un corposo calendario d’incontri pubblici (laboratori, seminari, lecture) che hanno consentito di avviare un’ampia riflessione sui temi dell’innovazione partecipata.

WAVE ha reso evidente che alcune correnti dell’ingegnosità collettiva – economia inclusiva, economia circolare, movimento dei maker, co-creazione, economia della condivisione – stanno cambiando il nostro fare. Il messaggio offerto dai 24 incontri di WAVE è poco equivocabile: non si tratta di costruire il futuro, in gioco c’è la determinazione del presente. L’agenda d’iniziative che ha accompagnato WAVE – patrocinata dal Comune di Milano, curata da Trivioquadrivio con la fondamentale partecipazione della Fondazione Bassetti – ha confermato la fondatezza di molte osservazioni sviluppate da Milano In. In virtù di quegli “smottamenti” cui fa riferimento Cristina Tajani nel suo pezzo di apertura, ci troviamo oggi privi di indicatori eloquenti in campo economico. Una diffusa “riorganizzazione materiale e simbolica” sta determinando un cambiamento vasto, ma ci mancano le parole per riconoscerlo e favorirlo. I sistemi di misurazione di cui disponiamo nascondono più di quanto rilevano, perché è in atto una ridefinizione di alcune pratiche determinanti della comunità cui apparteniamo. A me ne stanno particolarmente a cuore tre: apprendere, lavorare, condividere.

Apprendere. È giusto, come sostiene nel suo intervento Emanuele Polizzi, ricordare che viviamo in una città che vanta nove università, a condizione di riconoscere che le università – non solo quelle milanesi, naturalmente – non detengono alcun primato in fatto di conoscenza. Alle università per lo più sfuggono i fenomeni in atto perché chi oggi vi insegna per professione, ha trascorso molti anni affaccendato in questioni che ben poco hanno a che vedere con gli “smottamenti” di cui osserviamo gli effetti. Nei casi più fortunati, le università rimangono centri di formazione, mentre il sapere scorre altrove, veicolato da diffuse decentralizzazioni, di difficile nominazione perché d’incerta riconoscibilità. Tra i partner di WAVE figura anche Polifactory, un laboratorio di apprendimento del tutto fuori standard rispetto alle tradizionali aule universitarie. Un intero hangar dedicato alla manifattura additiva nel cuore del Campus Bovisa, voluto dal Politecnico di Milano allo scopo di avviare il dialogo con il movimento dei maker italiani, tanto incerto quanto promettente. Chi oggi intenda apprendere allo scopo di contribuire (va da sé che qui risieda la migliore nobiltà dell’apprendere, il suo scopo più alto) segue strade diverse, necessariamente antiaccademiche, doverosamente clandestine, rischiose, sperimentali – strade che molti professori universitari hanno abbandonato da tempo. Milano è il luogo di un apprendimento diffuso, in ragione del quale ha saputo fare fronte alle contrazioni indotte dalla crisi finanziaria ed economica; grazie al quale i milanesi hanno potuto resistere e trasformare.

Lavorare. Muhammad Yunus ha concluso WAVE con un intervento molto incisivo, la cui traccia principale si può interpretare così: è finito il tempo dei datori di lavoro, perché è cominciato il tempo dei lavoratori. Il gran vociare di disoccupazione che occupa le pagine dei giornali e i trattati degli esperti, presuppone un’idea del lavorare che non è solo antiquata, è soprattutto penalizzante per i più giovani e mortificante per i più svantaggiati. Ove ci sia un datore si dà necessariamente un prenditore; ne fa le spese il lavorare, che si trasforma in merce di scambio, anziché rimanere (oggi solo per i più fortunati, forse domani per ciascuno) migliore opportunità di realizzazione. Intorno al lavoro c’è molto lavoro da fare e, ancora una volta, Milano si mostra capace di favorire aggregazioni progettuali che sanno recuperare all’impresa la sua ascendenza omerica, ancor prima dei suoi esiti economici. Fare impresa significa partecipare a un’avventura collettiva, che origina il senso e addensa l’esistenza – il denaro seguirà, con buona pace dei capitali finanziari, che oramai crescono solo attraverso se stessi, senza più occuparsi di coloro che cercano l’impresa, quella vera, quella distante dagli happy hour e poco sensibile agli umori televisivi. DeLab, partner di WAVE tra i più attivi, è l’unico focal point italiano del network internazionale BoP – Bottom of the Pyramid, una rete d’innovatori sociali dedicata all’economia inclusiva. All’interno di WAVE, DeLab ha realizzato, con la collaborazione del MUBA – Museo dei Bambini (un’altra eccellenza milanese, che evidenzia la vivacità culturale e progettuale della città), un video che racconta WAVE ai sordi, senza l’ausilio dei sottotitoli. Questo video è stato presentato pochi giorni fa al Global Summit BoP di Burlington (Vermont), ottenendo una grande attenzione da parte dei presenti, offrendo a Milano una ulteriore opportunità di visibilità internazionale.

Condividere. Stiamo finalmente capendo che la cooperazione non è l’inclinazione eccezionale di alcuni incorreggibili altruisti, è invece la natura stessa della specie. Cooperiamo da sempre per istinto animale e siamo diventati oggi eccellenti cooperatori grazie ad artefatti sempre più raffinati, che in misura ormai impetuosa facilitano il coinvolgimento, che è il presupposto di ogni collaborazione. La condivisione diviene la condizione di partenza di chi vuole intraprendere, ovvero lavorare, ovvero apprendere. E la crescente diffusione delle pratiche collaborative pone sulle spalle di chi se ne vuole liberare l’onere della prova: sottrarsi alla condivisione sarà sempre meno conveniente. Ecco perché tra innovazione e inclusione il legame non è arbitrario; ecco perché NCTM – lo studio legale milanese che il Financial Times considera da tre anni tra i più innovativi d’Europa – ha scelto di supportare WAVE. La parola condivisione evoca immagini di orizzontalità, una cooperazione tra soggetti accomunati da un’appartenenza culturale e professionale. Ma a Milano esiste anche una lunga tradizione di condivisione verticale che in WAVE è stata definita “temperante”. La cultura ambrosiana permea tutt’oggi le azioni di alcune professionalità “alte”, che interpretano la propria forza come strumento di energia propositiva a disposizione della collettività – poco prima che WAVE venisse inaugurata, lo studio NCTM ha regalato alla città la restituzione di uno dei segni più belli della partecipazione pubblica mediata dall’arte, il Teatro Continuo di Burri al parco Sempione.

Ora, in tale contesto la domanda posta da Milano In – con chi? – non risulta semplicemente legittima, suona piuttosto come la domanda decisiva. Occorre setacciare la città alla ricerca di chi intenda apprendere, lavorare e condividere in maniera segnatamente differente rispetto alla tradizione. Si tratta di camminare con costoro, perché è solo insieme a loro che l’esplorazione può trasformarsi in conquista.

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