Milano
Il voto dei ciellini a Milano: può contare ora per pesare poi
La prendo larga, ma spero non vi annoierete.
Il nuovo mantra di alcuni esponenti di spicco del Partito Democratico è che i voti di tutti coloro che vogliono votare il Partito Democratico devono essere ben accetti, che ci si deve rallegrare se molti cittadini si sono accorti di chi “vuole davvero cambiare le cose” e li premiano con il voto.
Questo è certamente vero, ma se pensiamo di aver davanti un corpo elettorale più o meno razionale e, per dirla come gli economisti, massimizzatore, allora gli elettori ti voteranno se pensano, più o meno legittimamente, che contribuirai alla massimizzazione della loro utilità (che ha molte dimensioni, non solo quella reddituale). Se un partito allarga la constituency da un lato dello spettro, ma non cedendo sull’altro, si puo’ (ma non è ovvio, anzi) pensare che non ci sia un completo snaturamento. Ma se un partito allarga i consensi presso elettori di destra e ne perde a sinistra bisogna dedurne che è il partito che ha spostato la sua collocazione nello spettro politico, gli elettori hanno sempre gli stessi interessi e votano razionalmente di conseguenza.
Quindi se al Meeting di Rimini i ciellini dicono a Matteo Renzi che il Partito Democratico è ormai votabile, lui potrà esserne contento ma io fossi un elettore tradizionale del partito democratico mi preoccuperei (uso il condizionale perché ho smesso di essere una elettrice tradizionale del PD). Non per snobismo o mangiapretismo, ma semplicemente perché gli interessi di Comunione e Liberazione non penso che coincidano con i miei e se il movimento del Don Gius decide che si può votare PD allora qualcosa è cambiato. Poi, ad esempio, non stupiamoci delle difficoltà nell’iter di approvazione di una legge sulle unioni omosessuali già parecchio annacquata come il DDL Cirinnà.
L’ultimo esponente di rango del Partito Democratico che davanti all’endorsement di esponenti dello schieramento, che fu, avversario non si scompone (eufemismo) è Piero Fassino che addirittura si giustifica riscrivendo un pezzo di storia affermando che “Pisapia vinse il ballottaggio nel 2011 anche grazie ai voti del centrodestra. Non vedo quale sia il problema”. Il problema principale è che non è vero, visto che, come sostiene lo studio dei flussi dell’Istituto Cattaneo, Pisapia vinse al ballottaggio perché mobilitò una parte degli astenuti del primo turno e ottenne una percentuale maggiore di Moratti degli elettori del terzo polo. Ma i blocchi degli elettori partitici tennero e votarono senza defezioni il candidato dello schieramento.
Quindi il sindaco di Milano fu eletto senza grossi travasi trasversali e c’è anche da dire che negli ultimi anni la potenza di fuoco elettorale di Comunione e Liberazione si è di molto ridotta, sia per le pessime performance dei loro rappresentanti politici sia per l’orientamento più “intimista” del nuovo leader Julian Carron che ha rimpiazzato l’atteggiamento più “mondano” di Don Giussani. Si dice che gli elettori obbedienti ai dettami elettorali del movimento siano al massimo 100 mila in tutta Italia e poche migliaia a Milano.
Sembra quindi risibile la preoccupazione che un sindaco a Milano possa essere “eletto da CL” ma non è affatto risibile pensare che CL possa essere determinante alle primarie, dove bastano poche migliaia di voti per vincere o perdere (Pisapia le vinse per circa tremila voti).
I segnali sembrano essere univoci su chi sia il candidato alle primarie del 7 febbraio che potrebbe beneficiare di un intervento dei ciellini ai gazebo della coalizione di centronistra, i segnali sono molteplici. Dal cursus honorum ad alcuni incontri semi-segreti a gennaio 2016, dalle prime dichiarazioni in campagna elettorale all’agenzia di comunicazione che lo seguirà per la campagna delle primarie. Ha infatti scelto SEC la formigoniana società di comunicazione e pubbliche relazioni molto radicata nelle fasce popolari del movimento (e che seguì Pisapia nel 2010 durante le primarie di coalizione).
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