Milano
Il sovrintendente della Scala spodestato da una congiura verdiana
Lunedì sera, presentatosi sul palcoscenico per ricordare Franco Zeffirelli prima che iniziasse la recita de I Masnadieri, il sovrintendente della Scala Alexander Pereira è stato accolto da un intenso, unanime applauso che veniva da tutte le zone del teatro, platea, palchi e loggione. Era il difficile, incontentabile pubblico delle prime e Pereira era appena stato licenziato dal consiglio di amministrazione presieduto dal sindaco Beppe Sala. Se si fosse trattato di San Siro, alias “la Scala del calcio”, si sarebbero viste curve e tribune applaudire l’allenatore cacciato dal presidente.
Squadra che vince non si cambia, sarà un principio troppo conservatore, ma per sostituire il mister ci vuole un motivo ragionevole, che alla Scala si fatica a intravedere. Al posto di Pereira arriverà dalla Staatsoper di Vienna, peraltro teatro di repertorio abbastanza noioso, Dominique Meyer, che non si capisce che cosa potrà fare di meglio.
Pereira è un personaggio abbastanza ingombrante, totalmente diverso dall’algido Stéphane Lissner che lo aveva preceduto, mi è sempre sembrato un impresario nella migliore accezione del termine. Un uomo che vive per il teatro, un entusiasta che ha trasmesso la sua energia e il suo ottimismo alla venerabile e difficile istituzione scaligera, il cui passato recente è più costellato di lotte intestine di quello del PD. Va dato atto a Pereira di essere un abile fundraiser e di aver perciò supplito con successo alla scarsità di fondi pubblici. È anche un decisore impulsivo e non un lento burocrate, la sua infelice scelta di accordarsi con l’Arabia Saudita, al nadir del gradimento per l’omicidio del giornalista Adnan Kashoggi, era stata ardita e cinica, ma tutto sommato essendo stata bocciata dalla politica e archiviata, non avrebbe dovuto avere gran peso sul rinnovo del mandato.
Il sovrintendente della Scala va giudicato sotto due aspetti, quello dei conti e quello della qualità degli spettacoli. I conti vanno bene e Pereira, anche in forza degli sponsor che lo seguono fedelmente, è un uomo che alla Scala ha dato, non uno che ha preso. Tra l’altro il suo stipendio è molto più basso di quello che veniva pagato al predecessore. I rapporti con i sindacati sono buoni ed è stato persino abolito il sovrapprezzo prima richiesto a chi rinnova il proprio abbonamento. Sugli spettacoli mi sembra che ci sia consenso generale su un voto discreto, l’applauso del teatro in tal senso è stato chiaro.
L’allontanamento di Pereira è dovuto alla guerra che da subito gli è stata fatta all’interno del consiglio d’amministrazione, per questioni di chi ce l’ha più lungo, cioè le solite logiche che si vanno ad instaurare quando si mettono insieme troppi maschi di successo. Facendo nomi e cognomi, è la vittoria dell’anziano ma indomito finanziere Francesco Micheli, che per anni ha reclamato un sovrintendente italiano e ora si accontenterà del francese Meyer, pur di vedere il detestato Pereira fuori dalla porta. Sono certo che Micheli, che è figlio di un musicista e a dicembre scadrà come consigliere di amministrazione, avrebbe sempre preferito un sovrintendente che si lasciasse influenzare, invece di uno che lo rimetteva al suo posto, che è quello pur rispettabile di presidente del festival MITO SettembreMusica. Insieme a Micheli contro Pereira si è schierato, dall’epoca dell’affaire saudita, pure Philippe Daverio, il quale ci permetta di dire che tanto è bravo nella storia dell’arte, quanto sembra fuori posto a teatro, dove peraltro non ricordo di averlo visto mai. La Lega non abbonda di intellettuali organici come il PCI d’antan, ma forse la Regione avrebbe meglio scelto per la Scala qualcuno che almeno la frequenta.
Il favore di Giovanni Bazoli, che pure del sindaco è suocero e quello in extremis del direttore musicale Riccardo Chailly non sono bastati a Pereira per conservare il posto. Sperando che Meyer non lo faccia rimpiangere, bisogna tirare le somme e concludere che la governance della Scala fa pena. Il sovrintendente viene cambiato senza una ragione pubblica, per manovre di corridoio che meglio starebbero in un Simon Boccanegra o con un Massimo D’Alema intorno.
La pilatesca soluzione del sindaco Sala lascia molto a desiderare. Non volendo assumersi responsabilità, ha incaricato la società di consulenza Egon Zehnder di trovare candidati alla sovrintendenza, come se si fosse trattato di cercare il direttore marketing per una società qualsiasi. I nomi che gli sono stati indicati erano quelli ovvi, che gli avrebbe potuto suggerire chiunque. Il nostro sindaco, affetto da egonzehnderite, se dovesse cercare un goleador pagherebbe per farsi suggerire Lionel Messi e Cristiano Ronaldo.
La Scala del calcio è ormai relegata al mondo dei ricordi, né Milan né Inter sono più competitive a livello europeo, quella vera è un patrimonio da custodire gelosamente e con passione. Né il sindaco né il presidente della Regione hanno amore per la musica, non glielo si può rimproverare e a loro spetta innanzitutto controllare che i conti restino in ordine, ma il consiglio di amministrazione è composto di persone tanto cariche di gloria quanto lasciate libere di seguire capricci personali o interessi politici, senza riguardo per le conseguenze sul teatro. Meglio sarebbe, in un’ottica di diversity, avere almeno un rappresentante del pubblico, come potrebbe essere il presidente degli Amici del Loggione. L’assessore alla cultura del Comune di Milano è un fine musicista, perché il Sindaco non lo delega?
Il valore dell’attuale cda è largamente inferiore alla somma delle sue parti, il sindaco Beppe Sala abbia il coraggio di spiegare e difendere la scelta di non rinnovare il mandato al sovrintendente della Scala, con trasparenza e senza trincerarsi dietro il risultato di consulenze inutili.
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