Milano
Il lavoro sociale tra fatica e felicità
“Felicità, comunità, cooperazione, leggerezza, fragilità, potere e fatica”. Un agile volume scritto a più mani contenente queste sette parole che costituiscono sette dimensioni del lavoro sociale pensate dalla Cooperativa sociale Comin per celebrare i suoi 40 anni di vita; “pausa di pensiero” per ”abitare le contraddizioni e le sfide del lavoro sociale” (Emanuele Bana).
Ad essere esplicitamente chiamato in causa è il mito di Sisisfo obbligato a spingere per l’eternità un enorme masso fino alla vetta dove questo finisce per rotolare di nuovo giù a valle. Nella rilettura del 1942 di Albert Camus Sisifo è evocato a rappresentare anche un’epoca di forte crisi identitaria e, per certi versi, di “auto ghettizzazione da angolo dei buoni” (Piefrancesco Majorino) del mondo della cooperazione sociale.
Tema al centro di un convegno che si è svolto venerdì 19 ottobre nell’affollata Sala Alessi di Palazzo Marino a Milano. Una mattinata vissuta come un fitto dialogo intorno al senso, al valore e all’intenzionalità del lavoro sociale come lavoro politico per la promozione del bene comune. Un confronto che ha coinvolto esperienze dal mondo della cultura, del lavoro, delle professioni, della politica e della ricerca sociale.
A me che stavo li ad ascoltare e riflettere su quanto faccio quotidianamente nell’ambito del lavoro sulle reti sociali pare importante constatare quanto fatica e felicità costituiscano ingredienti inestricabili; materia vitale della gratitudine che respirano, a tratti, coloro che fanno lavoro sociale.
La fatica e la felicità di un lavoro sociale che è “stare in relazione con i fatti, le persone, i luoghi nell’incontro, del confronto, dello scontro, esercitando mediazione e risignificazione di quello che le persone vivono nella quotidianità” (Liviana Marelli).
Stefano Granata (Presidente di Federsolidarietà) ricorda i fasti della “cooperazione come motore di consenso sociale, di un’epoca ormai lontana con la debolezza sociale che è a più dimensioni e frammentata”. Granata formula l’invito ad “essere sempre più produttori di ricchezza sociale da redistribuire evitando di dare risposte semplici a domande complesse”. L’esortazione è a “studiare, fare investimenti, parlare e comprendere i linguaggi della comunità affrontando questioni nuove e complesse per essere costruttori di consenso sociale e di ricchezza sociale che significa benessere, inclusione e coesione”.
La fatica generativa nell’impegno per fare comunità vive su diversi fronti; la fatica necessaria a “tenere alta l’attenzione sulle riforme per migliorare le condizioni normative e di regolazioni possibili del sociale, incrementare e riconoscere la capacità di produrre gratitudine intesa come ingaggio, collaborazione vissuta con leggerezza non arrogante e colpevolizzare”(Tommaso Vitale).
“Operare con le tecnologie che ci sono e sono sempre più centrali e comportano fatica e apprendimento. Le dimensioni virtuali dello scambio e della condivisione hanno bisogno di lavoro cooperativo per produrre e tenere il contatto tra persone che c’è sempre e ci sarà comunque. La fatica di praticare la comunicazione per creare narrazioni di contrasto alle narrazioni tossiche. La fatica della comunicazione come capacità di relazione nel riprendere le domande dei cittadini che si esprimono in maniera disordinata. La fatica del costruire comunità quando la comunità non c’è perché la comunità va fatta e rifatta mettendosi insieme, costruendo alleanze, rielaborando il senso di quello che viene fatto” (Tommaso Vitale).
La fatica di costruire politiche pubbliche a partire da quello che si fa con le persone nei territori per costringere le politiche a fare meglio quello che si è fatto apprendendo ed elaborando dall’esperienza. Nuove politiche capaci di mettere a sistema le esperienze e le riflessioni che si fanno intorno ad esse calibrando interessi e bene comune.
Non ultima una fatica che non renda vana la fatica quando innovazione significa limitarsi a continuare a “sperimentare senza consolidare” (ancora Vitale) quando invece occorre innovare proprio mettendo a sistema e quindi consolidando ciò che si è sperimentato positivamente.
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