Milano

Il funerale delle primarie, la scelta di Sala: Il Pd e la dignità perduta

16 Giugno 2015

Guardate questa foto. Qualcosa vi dice di Beppe Sala. Qui è con il “compagno” Morales, presidente boliviano, passato da Expo qualche giorno fa. Lo notate anche voi, qui Sala ha il braccino corto, come chiamiamo a Milano quelli che il caffè (e/o  altro) non te lo pagano mai. Ma qui il braccino del commissario dei commissari disvela una sua avarizia politica che si sta faticosamente sciogliendo, come una trasformazione da laboratorio, tipo quei campioni della Germania dell’Est che  venivano studiati e geneticamente modificati, diventando poi imbattibili mostri in vista delle Olimpiadi. Il braccino non è proprio teso come uno di sinistra fieramente slancerebbe, e il pollice è all’interno del pugno come fa chi con il gesto del comunista ha poca confidenza, sembra che un tirante glielo tenga giù e lui stia ingaggiando una mostruosa prova di forza con se stesso, chiedendosi al fondo dell’animo: ma cosa sto facendo? Del resto avete mai visto quel campione della sinistra che è Matteo Renzi con un braccino men che disteso, praticamente incollato,lungo il corpo, che solo alzandosi un pollice gli salterebbe fuori una fastidiosa orticaria? Ecco, appunto.

Ma il braccio, più che il dado, sembra esser tratto. Sembra esser tratto soprattutto perchè da Roma è arrivata la notizia che molti, noi di Stati tra questi, avevamo immaginato: le primarie del Partito Democratico, strombazzate da anni come luogo della libertà, del libero consenso, della solenne autodeterminazione degli elettori, vanno sostanzialmente in soffitta. O in cantina, scegliete voi, basso e alto in questo caso coincidono. Non ne verrà celebrato neppure un modesto funerale con i soli, strettissimi, parenti stretti. Niente di niente. Si cambia, e si cambia perchè si perde a rotta di collo soprattutto con i candidati scelti proprio dal partito attraverso quel meccanismo.

Il tormento piddino lo descrive bene Goffredo De Marchis su Repubblica, e il tumulatore prestigioso non è altro che il presidente del partito: «Senza primarie avremmo vinto in Liguria e a Venezia – dice Orfini – così come abbiamo vinto nel Lazio e in Piemonte con Zingaretti e Chiamparino che non sono passati attraverso i gazebo». Adesso voi penserete che questi del Pd sono gente strana e come darvi torto, soprattutto perchè il fuoriclasse assoluto delle primarie è stato proprio Matteo Renzi, che ben due ne combattè e all’ultimo sangue, perdendo e poi trionfando. Com’è possibile che un testimone del tempo di questa portata possa oggi ripudiare lo strumento che lo portò a guidare il Paese? In realtà l’orientamento di Renzi e Orfini, scrive ancora De Marchis, «non significa che il Pd abolirà la selezione popolare dei candidati, significa però che cercherà di limitarne l’uso, che proverà a guidare la scelta dei candidati in altri modi, anche più tradizionali, per non incorrere negli errori decisivi di Paita in Liguria e di Casson a Venezia».

Qui dobbiamo prenderci tutti una piccola pausa. Respiriamo. Lo so che manca l’aria, che non troviamo un grammo di logica in tutto questo, che in una famiglia normale avrebbero già chiamato la neuro. Ma qui siamo al Pd e se dobbiamo richiamare uno straordinario (semplicemente straordinario) libricino per bambini citeremmo «I     coniglietti Tontoloni» di Dav Pilkey, famigliola impagabile che carica sdraio e ombrelloni sulla  macchina e si fionda al mare appena vede che fuori sta cominciando a diluviare. Per tornare agli errori, alle scelte sbagliate. Se le parole hanno un senso, quelle scelte sbagliate potevano essere migliori, gentile Orfini?

Perché le primarie, per come sono concepite oggi, hanno spesso il potere satanico di premiare i peggiori, come autentica autoflagellazione. Che la signora Paita,  per dire appunto di un esempio citato da Orfini, fosse destinata alla tragedia politica (sua e del partito) era piuttosto evidente sin dal momento della sua candidatura. Le caratteristiche perchè venisse abbandonata dai cittadini erano luminose, riconducibili a stilemi scolastici su cui si è alimentato il sentimento anticasta ormai così diffuso: l’essere stata benedetta dal governatore uscente ma mai uscente del tutto, avere un marito presidente dell’autorità portuale, dunque famigliuola di pienissimo potere e in odore di conflitto di interessi, simpatia personale prossima allo zero e, “last but not least”, non avere lavorato un solo giorno in vita sua.

Senta un po’, Orfini, ma una motozappa di questa dimensione chi caspita la doveva votare? E ancora avete il coraggio di mettere di mezzo Pastorino?

Diciamo allora che le primarie si possono far meglio, solo se è il partito a “indirizzare” le candidature, a stimolarle, ad affiancare (in modo intelligente) questo o quel candidato. Il Pd è sufficientemente forte come organizzazione politica per disciplinare questo flusso? Temiamo di no. E forse, l’idea di sciogliere nell’acido le primarie è frutto di questa consapevolezza. Il Pd attuale non ha forza sufficiente per imporre i suoi ed è così debole che subisce i non-suoi (caso De Luca su tutti, ma anche Emiliano e altri). E alla fine, non riesce a intestarsi quasi mai nulla di quello che felicemente esce dalle urne, ma solo le sconfitte brucianti.

E adesso veniamo a Milano. Un caso di scuola, uno snodo di rilevanza nazionale, la città produttiva per eccellenza, la città che si è trasformata di più (e in meglio), la città-traino del Paese grazie anche a Expo (non torneremo sulle critiche, il fierone che è ha comunque una sua forza propulsiva, anche e soprattutto di immagine). A livello  ufficiale, a Milano non si è ancora mosso nessuno. Lo farà probabilmente Pierfrancesco Majorino il 9 luglio prossimo, presentando un’iniziativa sulle idee e i progetti per Milano, lo ha fatto capire il vice sindaco, Ada Lucia De Cesaris. I due, ovviamente, immaginano di sfidarsi su regolari primarie regolarmente organizzate dal Partito Democratico. Naturalmente, la battaglia per Milano non può ridursi a due soli candidati, per cui è immaginabile che da qui a qualche mese si facciano sotto altre candidature.

E qui torniamo a Beppe Sala. Il sacrificio delle primarie, immaginato a Roma, ha nel commissario di Expo uno dei suoi veri obiettivi. Lo si considera in grado di vincere e soprattutto di vincere bene contro qualsiasi candidato, sia anche un Salvini razzisticamente modificato. Sala potrebbe vincere perchè omogeneo al tessuto produttivo di questa Milano, perchè con Expo ha lavorato in modo più che dignitoso, perchè ha costruito nel tempo una serie di relazioni internazionali, perchè – scusate se torniamo su questo tasto – ha lavorato. Sì, nella sua vita ha lavorato. E giocandosi un’eventuale partita contro, mettiamo, Salvini, gli consiglierei questo modestissimo slogan: “Affidereste l’amministrazione non della città, ma del vostro condominio, a uno sfaticato che non ha mai lavorato un giorno?” Temiamo che sui milanesi questo aspetto avrebbe ancora un valore.
Beppe Sala difficilmente farà primarie di partito. Anche questo è un fatto. Inutile tentare di ingabbiarlo in questa pastoia politica, si rischia di perderlo. Ma il suo braccino semiteso della foto qualcosa forse vuol dire. Per essere pienamente dignitoso, ora il Pd deve trovare una sintesi virtuosa tra le legittime aspettative di chi crede di poter essere utile alla città come Pierfrancesco Majorino o Ada Lucia De Cesaris e il «tradimento» di un istituto come le primarie, vendute in tutti questi anni come un afflato di libertà.

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